Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5875 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA
sul ricorso iscritto al n. 9768/2020 R.G. proposto da : GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, ROMA n. 4763/2019 depositata il 5/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma ha emesso un decreto ingiuntivo in danno dell’odierno controricorrente , per il mancato pagamento di un credito derivante da inadempimenti correlati ad atto di cessione di partecipazioni societarie. Con successivo accordo stragiudiziale stipulato davanti al notaio, le parti processuali del procedimento monitorio hanno concordato la cessione pro-soluto del credito, con accordo che impegnava altresì il controricorrente a non notificare né eseguire il decreto ingiuntivo.
Con avviso di liquidazione, l’Ufficio ha richiesto il pagamento dell’importo di € 61.883,75 a titolo di imposta di registro per la registrazione del detto decreto ingiuntivo.
L’odierno controricorrente ha impugnato l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che, con sentenza n. 203/44/2018, ha respinto il ricorso del contribuente.
Il contribuente ha proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, ribadendo, come sostenuto nel ricorso di primo grado, che dalla sottoscrizione dell’accordo stragiudiziale tra le parti, nella forma della scrittura privata autenticata da notaio, si evinceva chiaramente la rinuncia al decreto ingiuntivo e la volontà di non dare esecuzione all’atto giudiziario.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto l’appello sulla base del fatto che l’articolo 37 del d.p.r. 131/86 prevede l’applicazione dell’imposta di registro solo quando al decreto ingiuntivo è apposto il visto di esecutività, mentre nel caso di specie, le parti avevano stipulato un accordo che prevedeva la non esecuzione del decreto ingiuntivo e il decreto non era stato munito di formula esecutiva, sicché non si era realizzato il presupposto per il pagamento dell’imposta di registro.
Avverso la suddetta sentenza di gravame, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, cui ha resistito il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del D.P.R. 131/1986 e dell’art. 642 c.p.c.
1.1. Richiamando la risoluzione n. 122/E del 7 novembre 2006 dell’Agenzia delle Entrate, contesta testualmente che il ‘ presupposto dell’imposta di registro è la natura esecutiva del decreto ingiuntivo (ossia la clausola di provvisoria esecutorietà), senza che rilevi l’eventuale apposizione della formula esecutiva da parte della cancelleria, formalità necessaria per intraprendere in concreto la procedura dell’esecuzione forzata. L’imposta è applicata, pertanto, sulla base della “esecutività del decreto ingiuntivo e non sulla sua esecuzione in concreto” (cfr. Cass., Sez. trib., 24 aprile-17 settembre 2001, n. 11663). L’imposta di registro, infatti, colpisce una manifestazione di capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), indipendentemente dalla volontà dell’istante di procedere all’esecuzione del titolo. Pertanto, l’atto che presenti tutti i requisiti formali del decreto ingiuntivo deve essere assoggettato a tassazione, non ostandovi la possibilità che lo stesso, nei giudizi successivi, sia dichiarato nullo, salvo però conguaglio o rimborso a seguito di successiva sentenza passata in giudicato’.
1.2. Parte controricorrente ha contestato la interpretazione, chiedendo, in via subordinata, di sollevare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 37 d.p.r. n. 131/1986 e dell’art. 8, comma 3, lett. b) della Tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986, per contrasto con art. 53 della Costituzione.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Invero, deve ribadirsi, in primo luogo, che ‘Presupposto dell’imposta è la natura esecutiva del decreto ingiuntivo (vale a dire, la clausola di provvisoria esecutorietà) e non già l’apposizione della “formula esecutiva” con la quale si intraprende l’esecuzione. L’imposta è applicata sulla base della “esecutività” del decreto, non già della sua esecuzione in concreto, né dell’apposizione della formula esecutiva da parte della cancelleria’ (Cass. 17/09/2001, n. 11663).
3.1. Inoltre, per la validità della conciliazione giudiziaria intervenuta dopo il decreto ingiuntivo, posta a giustificazione della non esecutività dello stesso, deve essere anche parte la pubblica amministrazione, ai sensi del chiaro tenore letterale dell’art . 37, primo comma, d.P.R. 131 del 1986.
Questa Corte si è già espressa sul punto, chiarendo che in tema d’imposta di registro, ai fini del rimborso dell’importo pagato sugli atti che definiscono, anche parzialmente, il giudizio civile, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, non può essere equiparata alla sentenza di riforma passata in giudicato la transazione stragiudiziale di cui non sia parte l’Amministrazione dello Stato, essendo irrilevante che la stessa sia stata edotta della data dell’atto dinanzi al notaio ed invitata a parteciparvi, attesa la necessità d’impedire indebite sottrazioni all’obbligazione tributaria (Cass. 24/02/2016, n. 3687 (Rv. 638797 01)).
3.2. Ne consegue che il motivo formulato dalla ricorrente Agenzia delle Entrate è fondato, avendo la CTR fatto erronea applicazione del principio.
3.3. Quanto alla questione di costituzionalità sollecitata dal controricorrente, deve rilevarsi che la stessa è proposta in modo molto vago, non indicando i parametri di riferimento su cui la stesse si fonderebbe. In ogni caso, la Corte di legittimità si è già pronunciata su tali dubbi di natura costituzionale, incentrati sulla mancanza di capacità contributiva, rilevandone la conformità costituzionale sulla
considerazione che la tassa di registrazione colpisce una dichiarazione di credito azionata esecutivamente, per un determinato importo, il che implica di per sé manifestazione di capacità contributiva (Cass. 17/09/2001, n. 11663).
In conclusione, per le ragioni sinora esposte, il ricorso deve essere accolto.
In ragione della fondatezza del motivo di ricorso, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. con il rigetto del ricorso originario del contribuente.
In una valutazione complessiva del giudizio di merito, si ritiene di dover compensare le spese dei giudici di merito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa le spese di merito.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 28/02/2025.