Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16110 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 10/06/2024
Registro Invim Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22127/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del prof. avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente al prof. avvocato NOME AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Direttore p.t. , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, ope legis domicilia;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 31/2020, depositata il 14 gennaio 2020, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 29 aprile 2024, dal AVV_NOTAIO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto che la Corte accolga il ricorso.
Rilevato che:
-con sentenza n. 31/2020, depositata il 14 gennaio 2020, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME, così confermando la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione (n. NUMERO_DOCUMENTO ) dell’imposta di registro dovuta dallo stesso contribuente in relazione alla registrazione di un decreto ingiuntivo (n. 238/2015) che, munito di formula esecutiva, recava l’enunciazione di una transazione intercor sa tra le stesse parti dell’atto giudiziario;
1.1 – a fondamento del decisum , e per quel che qui ancora rileva, il giudice del gravame ha considerato che:
il primo giudice aveva rilevato che «l’art. 37 DPR 131/1986 assoggetta ad imposta di registro anche i decreti ingiuntivi muniti di esecutività; che la esecutività è una condizione dell’atto e a nulla rilevano gli esiti concreti possibili RAGIONE_SOCIALE iniziative dirette al recupero del credito; che le condizioni di decozione e insolvenza della società e del debitore personalmente sono solo allegate e non provate e, peraltro, ammesso che così fosse rimane ferma la possibilità di un ritorno in bonis »;
-dette conclusioni andavano, per l’appunto, condivise in quanto la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro ne implicava l’applicazione « indipendentemente dalla sorte concreta del tentativo di recupero del credito (peraltro non verificabile in senso assoluto e oggettivo in quanto possibile anche in tempo successivo)»;
-l’imposta, pertanto, era dovuta a fronte di decreto ingiuntivo munito di clausola di esecutività, a nulla rilevando «l’eventuale impossibilità di recupero effettivo di quel credito.» né sussistendo violazione del principio di capacità contributiva in quanto l’imposta «colpisce una dichiarazione di credito azionata esecutivamente per quell’importo, e ciò di per sé implica manifestazione di capacità contributiva»;
-l’atto enunciato (una transazione del 6 marzo 2014) – come (anche qui) già rilevato dal primo giudice -legittimamente era stato sottoposto a tassazione in quanto atto non registrato che risultava posto a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo « … e ciò anche a prescindere da ogni valutazione circa il luogo di sottoscrizione della transazione – comunque Padova e Pama de Maiorca – e a prescindere dal termine entro il quale l’atto doveva essere portato alla registrazione – che comunque sembra più correttamente il termine fisso non trattandosi di atto relativo a operazioni soggette a IVA -»;
andavano condivise le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice (anche) in punto di motivazione degli interessi applicati in quanto specificata «la norma di riferimento, da cui sono agevolmente desumibili tutti i parametri di calcolo.»;
–COGNOME NOME ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;
-l’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Considerato che:
-il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 37 e art. 8 della tariffa allegata, parte prima, deducendo, in sintesi, che -pena, altrimenti, la violazione del principio di capacità contributiva (art. 53
Cost.) -l’esecutività del decreto ingiuntivo, quale presupposto dell’imposta di registro, deve essere intesa quale concreta, ed effettiva, possibilità «per il creditore, di ottenere il pagamento del proprio credito», dovendosene, quindi, escludere la sussistenza -per l’appunto in difetto «di un effettivo trasferimento di ricchezza» – «nel caso dell’ottenimento di un decreto ingiuntivo esecutivo in relazione ad un credito non più riscuotibile»; condizione, questa, che il giudice del gravame avrebbe dovuto riconoscere, nella fattispecie, siccome il debitore ingiunto (NOME COGNOME) era stato sottoposto a procedura concorsuale di diritto spagnolo (già in data 17 aprile 2015) -senza che esso esponente risultasse «tra i soggetti che possano vantare diritti sulla eventuale massa attiva» – e la RAGIONE_SOCIALE (società dallo stesso COGNOME rappresentata) costituiva un mero ufficio di rappresentanza sprovvisto di personalità giuridica e cancellato «dai Registri Britannici già in data 4 novembre 2014»;
1.2 -il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1 e 36, comma 2, n. 4, e degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. , sull’assunto dell’omessa pronuncia sul motivo di appello che involgeva il difetto di motivazione dell’atto impositivo;
si deduce, nello specifico, che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sull’eccezione di difetto di motivazione che era stata articolata a riguardo della tassazione per enunciazione di un atto di transazione che, in quanto formato all’estero, – con ciò sottoposto a registrazione in caso d’uso ( d.P.R. n. 131/1986, cit., art. 11 della tariffa allegata, parte seconda) – era stato (diversamente) tassato secondo la disciplina degli atti da registrare in termine fisso (d.P.R. cit., art. 9 della tariffa allegata, parte prima);
1.3 -col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 17, assumendo che illegittimamente il giudice del gravame aveva ritenuto assolto l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo con riferimento alla liquidazione degli interessi a fronte di un atto che non recava «alcuna indicazione sui parametri concretamente presi in considerazione per determinare l’importo addebitato (in particolare, capitale, tasso e giorni)»;
-il ricorso -che pur prospetta profili di inammissibilità -è, nel suo complesso, destituito di fondamento e va senz’altro disatteso;
-quanto, difatti, al primo motivo di ricorso, occorre premettere che – come reso evidente dalle stesse (sopra ripercorse) pronunce dei giudici di merito -nella fattispecie -in disparte la identificazione del presupposto d’imposta con riferimento agli atti giudiziari è stato escluso lo stesso riscontro di una condizione di concreta, ed effettiva, impossibilità «per il creditore, di ottenere il pagamento del proprio credito», essendosi rimarcato che la «sorte concreta del tentativo di recupero del credito non era «verificabile in senso assoluto e oggettivo in quanto possibile anche in tempo successivo», ovvero «che le condizioni di decozione e insolvenza della società e del debitore personalmente sono solo allegate e non provate e, peraltro, ammesso che così fosse rimane ferma la possibilità di un ritorno in bonis»;
3.1 -per converso -e risultando l’atto giudiziario (decreto ingiuntivo esecutivo) espressamente contemplato dal dato normativo, in relazione ai suoi effetti giuridici, quale presupposto del tributo (d.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37, comma 1, 8, comma 1, della tariffa allegata, parte prima) -va rimarcato che l’imposta di registro, quale imposta d’atto ( Corte Cost., 21 luglio 2020, n. 158), non colpisce l’atto giudiziario in quanto tale ma il rapporto in esso racchiuso, quale indice di capacità contributiva secondo gli effetti giuridici che l’atto è destinato
a produrre, così che il rapporto sottostante viene preso in considerazione nei limiti in cui è oggetto di giudizio ed in relazione (proprio) agli effetti giuridici che sullo stesso l’atto produce (v. Cass., 19 giugno 2020, n. 12013; Cass., 18 aprile 2018, n. 9501; Cass., 7 novembre 2012, n. 19247; Cass., 20 luglio 2011, n. 15918; Cass., 27 ottobre 2006, n. 23243; Cass., 12 luglio 2005, n. 14649; v. altresì, con riferimento agli effetti giuridici potenziali dell’atto , Cass., 17 giugno 2021, n. 17233; Cass., 13 novembre 1987, n. 8345; Cass., 28 gennaio 1986, n. 551 nonché Corte Cost., 18 febbraio 1988, n. 203; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 198; Corte Cost., 29 dicembre 1972, n. 200);
– non è, pertanto, in dubbio che, nella fattispecie, al decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva si correlasse, da un lato, un effetto giuridico che, incidendo sul rapporto sostanziale tra le parti intercorso, esso stesso comportava l’emersione di un indice concretamente rivelatore di ricchezza (v. ex plurimis , sulla nozione di capacità contributiva, Corte Cost., 18 aprile 2024, n. 60; Corte Cost., 31 gennaio 2023, n. 10 ); e dall’altro che diversamente da quanto assume lo stesso P.G. nelle sue conclusioni scritte -al titolo giudiziario in questione -in quanto non oggetto di riforma secondo il meccanismo che, delineato dalla disposizione di cui all’art. 37, cit., correla la cessazione degli effetti giuridici potenziali dell’atto alla pronuncia che ne determina la rimozione (o modificazione; Cass., 29 novembre 2023, n. 33273; Cass., 9 novembre 2021, n. 32626; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3617) -si correlava la definitività dell’indice rivelatore di ricchezza;
-in conclusione, la stessa prospettazione dell’illegittimità costituzionale (art. 53 Cost.) finisce per poggiare su di una assunta impossibilità, per il creditore, «di ottenere il pagamento del proprio credito» che non trova alcun obiettivo riscontro e che, in siffatti termini, si risolve in una (del tutto) generica, ed indistinta, censura;
-il secondo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento;
4.1 -la censura, innanzitutto, prospetta un insussistente error in procedendo (per omessa pronuncia) in quanto il giudice del gravame -che ha correttamente riportato il motivo di appello in questione nella ricostruzione dei fatti di causa («… avviso di liquidazione … nullo per difetto di motivazione non richiamando la normativa di riferimento in merito») – ha espressamente pronunciato, come anticipato, sulla legittimità della tassazione per enunciazione, con ciò chiaramente disattendendo detto motivo di gravame;
va, difatti, rimarcato che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda o con l’eccezione di parte, nel qual caso può parlarsi di statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 11 gennaio 2022, n. 531; Cass., 13 agosto 2018, n. 20718; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 14 gennaio 2015, n. 452; Cass., 25 settembre 2012, n. 16254; Cass., 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., 19 maggio 2006, n. 11756);
per di più (anche qui) il motivo di ricorso espone la (mera) riproposizione di una quaestio facti (luogo di conclusione della transazione) che è stata espressamente esaminata dal giudice del gravame – secondo i rilievi che il luogo di sottoscrizione dell’ atto non registrato si identificava con « … Padova e Pama de Maiorca» e si configurava come atto da registrare in «… termine fisso non trattandosi di atto relativo a operazioni soggette a IVA -» – e che viene (così) riproposta sotto il velo della censura di un error in procedendo (per omessa pronuncia);
5. -quanto, da ultimo, al terzo motivo, la pronuncia del giudice del gravame è conforme alla giurisprudenza della Corte, avendo le Sezioni Unite statuito che l’atto recante la liquidazione degli interessi deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati -la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o RAGIONE_SOCIALE modalità di calcolo (v. Cass. Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281);
6. -le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità liquidate in € 8.000,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2024.