Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 538 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30896/2019 R.G. proposto da : AGENZIA DELLE ENTRATERAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE DI NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
e
COGNOME
contro
NOME
-intimata-
avverso SENTENZA COMM.TRIB.REG. Toscana n. 447/2019 depositata l’ 08/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso dei contribuenti ed annullato l’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, previa riqualificazione in unica operazione traslativa di atti collegati ex art. 20 Tur.
ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con un due motivi di ricorso (1- violazione o falsa applicazione degli art. 20 e 76, d.P.R. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -violazione del termine triennale di decadenza -; 2- violazione o falsa applicazione dell’art. 140, cod. proc. civ. e dell’art. 16, quinto comma, d. lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.);
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME resistono con controricorso, integrato anche da successiva memoria, e chiedono il rigetto del ricorso; COGNOME COGNOME è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è infondato e deve respingersi . Le spese del grado di legittimità e dei giudizi di merito possono compensarsi interamente, in considerazione del consolidamento della legislazione e della giurisprudenza della Cassazione, in materia, solo dopo la proposizione del ricorso.
I due motivi si trattano congiuntamente essendo logicamente connessi. In data 23 gennaio 2013 COGNOME e COGNOME NOME cedevano le quote della nuova società RAGIONE_SOCIALE, costituita il 2 agosto 2012; il conferimento di immobili nella società RAGIONE_SOCIALE è stato registrato in data 7 agosto 2012 e l’avviso di liquidazione impugnato risulta notificato il 31 gennaio 2016 (o per
la ricorrente il 20 gennaio 2016, come si impugna con il secondo motivo di ricorso).
Questa Corte di legittimità ha già deciso in materia di interpretazione dell’art. 20, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che viene in rilevo nel caso in giudizio.
Al riguardo, si osserva che, in tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile. Invero, l’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 prevede che: «Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: «degli atti presentati» sono sostituite dalle seguenti: «dell’atto presentato»; 2) dopo la parola: «apparente» sono aggiunte le seguenti: «sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». L’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, prevede che: «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
La sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della
Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali. Secondo il giudice delle leggi, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico». Per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe «incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10bis della legge 212 del 2000» e «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)».
Da ultimo, poi, la sentenza della Corte Cost. n. 39 del 16 marzo 2021 ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dichiarando manifestamente infondata la questione con specifico riguardo all’efficacia retroattiva della disposizione interpretativa. Secondo il giudice delle leggi, «si deve escludere che possa essere considerato
irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema». In tale prospettiva, la Corte cost. ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta all’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente. Inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, n. 9065).
Adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extratestuali, poiché l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (tra le tante: Cass. sezione tributaria del 13 marzo 2024 n. 7470; Cass., Sez. 5, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, n. 9065; Cass., Sez. 6-5, 25-7 maggio 2021, nn. 14318 e 14342; Cass., Sez. 5, 21 settembre 2021, n. 25601; Cass., Sez. 65, 22 ottobre 2021, nn. 29620 e 29623; Cass., Sez. 5, 18 novembre 2021, n. 35220; Cass., Sez. 6^-5, 2 dicembre 2021, nn. 38003 e
38005; Cass., Sez. 6^-5, 11 gennaio 2022, n. 590; Cass., Sez. 6^5, 12 gennaio 2022, n. 715).
Da ciò consegue, in definitiva, che la individuazione del regime tributario applicabile, quanto all’imposta di registro, avrebbe dovuto essere operata dall’amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento all’atto registrato.
Conseguentemente, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sui limiti della riqualificazione ex art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, alla luce delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, impone di rivalutare la questione della decorrenza del termine triennale di decadenza ex art. 76, secondo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Invero, ai fini dell’applicazione dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel testo vigente prima delle menzionate variazioni, questa Corte ha sempre ritenuto che il termine triennale di decadenza per l’amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 76, citato, iniziasse a decorrere soltanto dalla registrazione dell’ultimo negozio della complessiva sequenza (Cass., Sez. 5^, 11 dicembre 2015, n. 25001; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2018, n. 11474; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2019, n. 1962; Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2021, n. 19865). Tuttavia, questa esegesi deve essere rivista in correlazione alla riaffermata natura dell’imposta di registro in termini di imposta d’atto, che deve essere autonomamente liquidata e riscossa -come detto – per ciascun atto presentato alla registrazione. Difatti, in tale ottica, il termine triennale di decadenza deve essere computato con decorrenza dalla registrazione dell’atto stesso (vedi in tal senso Sez.5, n. 14193 del 2024). Né si può invocare, con riguardo alla fattispecie in giudizio, che la decadenza decorra dall’ultimo atto riqualificato, quindi dal 24 gennaio 2013 (data della registrazione dell’atto che cedeva le quote della nuova società RAGIONE_SOCIALE ai due figli di COGNOME NOME) in quanto quello che rileva è la
registrazione dell’atto di conferimento degli immobili nella società RAGIONE_SOCIALE registrato il 7 agosto 2012 e, quindi, il termine triennale scadeva il 7 agosto 2015, come puntualmente rilevato dalla decisione impugnata.
Conseguentemente l’avviso di liquidazione risulta emesso (gennaio 2016) oltre il termine di decadenza dei tre anni.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Spese compensate interamente.
Così deciso in Roma, in data 08/10/2024 .