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Imposta di registro atto enunciato: no identità parti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31828/2024, ha stabilito che l’imposta di registro su un atto enunciato, come una cessione di credito, non è dovuta se le parti dell’atto enunciante (un decreto ingiuntivo) non coincidono con quelle dell’atto enunciato. Nel caso di specie, la diversità tra il creditore originario e il cessionario che ha agito in giudizio esclude il presupposto soggettivo per l’applicazione dell’imposta.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta di Registro Atto Enunciato: la Cassazione ribadisce il requisito dell’identità delle parti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: l’applicazione dell’imposta di registro atto enunciato. La decisione chiarisce che la tassazione di un negozio giuridico menzionato in un provvedimento giudiziario è subordinata a un requisito fondamentale: la perfetta coincidenza soggettiva tra le parti dell’atto enunciante e quelle dell’atto enunciato. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Una società, agendo come procuratrice di una società veicolo, otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di un debitore. Il credito alla base del decreto derivava da un contratto di finanziamento originariamente stipulato tra il debitore e un’altra società finanziaria. Successivamente, tale credito era stato oggetto di una cessione in favore della società veicolo.

L’Amministrazione Finanziaria notificava un avviso di liquidazione con cui richiedeva il pagamento dell’imposta di registro non solo sul decreto ingiuntivo (in misura fissa), ma anche sull’atto di cessione del credito, in quanto “enunciato” nel decreto stesso. La società contribuente impugnava l’avviso, sostenendo che mancasse il presupposto dell’identità delle parti, necessario per l’applicazione dell’imposta sull’atto enunciato. Sia la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado che quella di secondo grado accoglievano le ragioni della società, annullando la pretesa fiscale relativa alla cessione.

La questione sull’Imposta di Registro Atto Enunciato

La controversia verteva sull’interpretazione dell’art. 22 del Testo Unico dell’Imposta di Registro (d.P.R. n. 131/1986). Questa norma prevede che se in un atto vengono enunciate disposizioni contenute in altri atti non registrati, l’imposta si applica anche a queste ultime, a condizione che siano state poste in essere “fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione”.

Il punto cruciale era quindi stabilire se, nel caso specifico, vi fosse coincidenza tra le parti del decreto ingiuntivo (atto enunciante) e quelle della cessione di credito (atto enunciato).

La posizione dell’Amministrazione Finanziaria

L’Agenzia Fiscale, ricorrendo in Cassazione, sosteneva un’interpretazione estensiva del concetto di “parte”, tale da includere anche i soggetti che, pur non intervenendo formalmente nell’atto, ne risentono direttamente gli effetti, come il cessionario di un credito. Secondo questa tesi, la corrispondenza tra le parti doveva essere intesa in senso sostanziale e non meramente formale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato la tesi dell’Amministrazione Finanziaria, confermando il proprio orientamento consolidato. I giudici hanno chiarito che il requisito della medesimezza soggettiva previsto dall’art. 22 è inequivocabile e non può essere interpretato in senso lato o sostanziale.

Nel caso esaminato, le parti erano palesemente diverse:
* Atto enunciante (Decreto ingiuntivo): le parti erano la società cessionaria (creditore procedente) e il debitore ingiunto.
* Atto enunciato (Contratto di finanziamento/cessione): le parti originarie erano la società finanziaria mutuante (cedente) e il medesimo debitore (mutuatario/ceduto).

L’assenza della finanziaria originaria (cedente) nel giudizio monitorio impedisce di considerare soddisfatto il requisito della “identità delle parti”. Di conseguenza, l’enunciazione della cessione di credito nel decreto ingiuntivo non può far scattare l’obbligo di versare l’imposta di registro su tale cessione.

Pur rigettando il motivo principale del ricorso, la Corte ha tuttavia accolto un motivo di carattere procedurale. Ha osservato che i giudici di merito, pur avendo correttamente escluso la tassabilità della cessione, avevano erroneamente annullato l’intero avviso di liquidazione. Avrebbero invece dovuto confermare la debenza dell’imposta di registro in misura fissa sul decreto ingiuntivo, poiché non contestata dalla contribuente. Per questa ragione, la Corte ha cassato la sentenza senza rinvio, decidendo nel merito e confermando la sola imposta dovuta per la registrazione del decreto.

Conclusioni

La pronuncia ribadisce con fermezza un principio fondamentale in materia di imposta di registro atto enunciato: la tassazione dell’atto menzionato scatta solo in presenza di una piena e formale identità tra i soggetti dei due negozi giuridici. L’interpretazione estensiva o sostanziale del concetto di “parte” è esclusa. Questa decisione offre un’importante tutela per gli operatori economici, in particolare nel contesto delle operazioni di cessione dei crediti, scongiurando l’imposizione di oneri fiscali impropri basati sulla semplice menzione di un’operazione in un successivo atto giudiziario a cui non tutte le parti originarie hanno preso parte.

Quando si applica l’imposta di registro su un atto enunciato in un provvedimento giudiziario?
L’imposta di registro si applica alle disposizioni enunciate in un altro atto solo se queste sono state poste in essere “fra le stesse parti” intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione (l’atto enunciante).

La cessione di credito menzionata in un decreto ingiuntivo è soggetta a imposta di registro?
No, se le parti del decreto ingiuntivo (cessionario e debitore) sono diverse da quelle dell’originario contratto di finanziamento da cui deriva il credito (finanziaria originaria e debitore). Manca infatti il requisito della medesimezza soggettiva richiesto dalla legge.

Cosa deve fare il giudice tributario se ritiene parzialmente illegittimo un avviso di accertamento?
Il giudice tributario non deve limitarsi ad annullare l’atto in toto, ma è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla alla corretta misura, entro i limiti delle domande delle parti. Deve quindi annullare la parte illegittima della pretesa e confermare quella legittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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