Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12876 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 14/05/2025
Registro Invim Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29058/2021 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate (06363391001), in persona del suo Direttore p.t. , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (c.f.: 80224030587), presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, domicilia (EMAIL;
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE ( P_IVA), in persona del suo legale rappresentante p.t. , quale incorporante della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende (DNGQRN63T24G482N; EMAIL;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2092/2021, depositata il 22 aprile 2021, della Commissione tributaria regionale del Lazio; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 28
novembre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. -con sentenza n. 2092/2021, depositata il 22 aprile 2021, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione (n. 2017/0RA0087) dell’imposta di registro dovuta dal contribuente dietro riqualificazione, quale cessione di azienda, dell’atto di cessione (totalitaria) del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e la stessa ricorrente;
1.1 -il giudice del gravame ha rilevato che illegittimamente, nella fattispecie, l’Agenzia aveva riqualificato l’atto presentato alla registrazione ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, alla cui stregua doveva aversi riguardo agli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, e senz’alcuna considerazione degli elementi extratestuali;
-l’ Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo;
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.
Considerato che:
1. -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, ed agli artt. 1362, 2727, 2729 e 2697 cod. civ., assumendo, in sintesi, che -dovendosi aver riguardo, secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, alla causa reale del contratto, sulla base di disposizione (art. 20, cit.) cui
non si correla una ratio antielusiva -correttamente nella fattispecie l’atto di cessione totalitaria della partecipazione sociale era stata riqualificata in termini di cessione di azienda, e tanto senz’alcun ricorso interpretativo ad elementi estrinseci all’accordo negoziale sot toposto a tassazione;
-il motivo è destituito di fondamento e va senz’altro disatteso;
– il testo originario del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (in buona sostanza riproduttivo del previgente d.P.R. n. 634 del 1972, art. 19) disponeva che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.»;
la Corte, in relazione alla portata applicativa di detta disposizione, ha avuto modo di precisare che la stessa ha natura di regola interpretativa e non di norma antielusiva, sicché l’Amministrazione finanziaria può procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale (Cass., 13 ottobre 2020, n. 22037; Cass., 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., 9 aprile 2018, n. 8619; Cass., 9 gennaio 2018, n. 313; Cass., 19 giugno 2013, n. 15319); e, per quel che qui più rileva, che detta disposizione deve essere intesa nel senso che, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, l’Ufficio è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate, così che l’Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti ad un altro gruppo o individuo (v. Cass., 2 dicembre 2015, n. 24594;
Cass., 20 maggio 2009, n. 11666; per il rilievo che la riqualificazione, ex art. 20, cit., «non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile» salva la prova di un disegno elusivo e delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici, v. Cass., 27 gennaio 2017, n. 2054 cui adde Cass., 10 marzo 2020, n. 6790, in motivazione; Cass., 15 gennaio 2019, n. 722);
3.1 -la l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a ), ha, quindi, ridisegnato le coordinate regolative dell’art. 20, cit., il cui contenuto ne è uscito riformulato nei seguenti termini: «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi.»; e detta disposizione – cui la Corte aveva attribuito natura innovativa e, con ciò, non retroattiva (Cass., 9 gennaio 2019, n. 362; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4589; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2007) – ha formato oggetto di un ulteriore intervento da parte del legislatore che, con la l. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ha precisato che «La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a ), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1.»;
3.2 -le questioni di costituzionalità sollevate nei riguardi della riformulazione dell’art. 20, cit., quale disposizione di interpretazione autentica, sono state, quindi, disattese dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 21 luglio 2020, n. 158; Corte Cost. 16 marzo 2021, n. 39); e il Giudice delle leggi ha, in particolare, rimarcato che:
«il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa all’art. 1,
comma 87, della legge n. 205 del 2017) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare, quello sistematico) convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati», salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986.»;
-l’interpretazione evolutiva della disposizione di cui all’art. 20, cit., quale sottesa alla ricostruzione operata dalla Corte, «non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata» dei parametri costituzionali evocati (art. 3 e art. 53 Cost.), in quanto «è possibile ritenere compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse, rispetto a quelle utilizzate dal rimettente, di «atto presentato alla registrazione» e di «effetti giuridici», in relazione alle quali considerare la capacit à contributiva, tenendo conto dell’individuazione delle voci in tariffa distintamente stabilite dal testo unico dell’imposta di registro. Tali possibili diverse nozioni, convalidate dalla novella censurata, riguardano lo stesso presupposto d’imposta individuato dall’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, che deve essere vagliato alla luce della disciplina del tributo nel suo complesso.»;
-gli interventi normativi che hanno inciso sull’originaria formulazione dell’art. 20, cit., «nel confermare la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili», risultano coerenti «con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolare, con la natura di ‘imposta d’atto’ storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta. Per quanto possa apparire, de iure condendo , in parte obsoleta rispetto all’evoluzione delle tecniche contrattuali, tale natura non risulta superata dal legislatore positivo tenuto conto dell’attuale impianto
sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro.»;
detti interventi – in quanto volti ad escludere il rilievo di elementi extratestuali e di atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto sottoposta a registrazione – sono, quindi, finalizzati «a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum , rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico), senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico. … le ipotesi riconducibili all’accezione restrittiva ge nerale della nozione di «atto» presentato alla registrazione sono individuabili solo al di fuori di quelle, espressamente regolate dallo stesso testo unico, che ammettono la rilevanza degli effetti di separati atti o fatti collegati o, in altri termini, di vicende rientranti nel complessivo programma di azione costituito da un precedente negozio, che incideranno sul regime fiscale di quest’ultimo o comporteranno trattamenti d’imposta diversificati.»; da tanto conseguendo che «il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata.»;
-«l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di ‘causa reale’, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10 -bis della legge n. 212 del 2000. Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del
contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).» (così Corte Cost., 21 luglio 2020, n. 158);
3.3 -la giurisprudenza della Corte, successiva alla riformulazione dell’art. 20, cit., ed agli interventi della Corte costituzionale, ha rimarcato che il ricordato principio giurisprudenziale del rilievo preminente da attribuire alla «causa reale» del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti (cd. prevalenza della sostanza sulla forma), può continuare ad essere fatto valere dall’amministrazione – con riferimento agli effetti giuridici dell’atto presentat o per la registrazione – seppur nei (più ristretti) limiti della unicità del dato documentale ( instrumentum ) che non consente più la considerazione di elementi extra -testuali e impone un’interpretazione ab intrinseco del gestum (v. Cass., 28 gennaio 2022, n. 2677; Cass., 22 aprile 2021, n. 10688; Cass., 1 aprile 2021, n. 9065); nonché che la funzione antielusiva deve essere fatta valere dietro applicazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10bis (Cass., 22 aprile 2021, n. 10688, cit.; v. altresì, in motivazione, Cass., 20 luglio 2023, n. 21535);
3.4 -nella fattispecie va, pertanto, rilevato, per un verso, che -dovendosi aver riguardo agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, tariffa allegata, parte prima, art. 11) -la tassazione di registro dell’atto di cessione (sia pur totalitaria) delle quote sociali andava strettamente correlata all’atto tipico presentato per la registrazione e, dunque, ai suoi effetti giuridici che hanno ad oggetto la partecipazione societaria e non anche l’azienda che ri mane nella titolarità del soggetto collettivo, così senz’alcuna
considerazione, nell’interpretazione dello stesso atto di cessione, della sostanza economica dell’operazione (in tesi) perseguita dai contraenti (v. Cass., 19 giugno 2024, n. 16953; Cass., 21 marzo 2024, n. 7613; Cass., 20 marzo 2024, n. 7495; Cass., 20 marzo 2024, n. 7470; in relazione alla medesima contribuente, Cass., 28 aprile 2022, n. 13249); e, per il restante, giustappunto che la funzione antielusiva non poteva che essere perseguita secondo i presupposti sostanziali, e la disciplina procedimentale, posta dalla l. n. 212 del 2000, art. 10bis , una volta esclusa, ad ogni modo, la legittimità di un’interpretazione dell’atto registrato complementare a quella desumibile da elementi extra -testuali;
-le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ), trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis , Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955);
4.1 -non sussistono, peraltro, in considerazione dell’ampio dibattito giurisprudenziale di cui si è dato conto, i presupposti per la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., sollecitata in controricorso e in memoria.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.600,00 per compensi professionali ed € 200,00 per
esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2024.