Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16969 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5330/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) ;
EMAIL;
-controricorrente-
nonchè
contro
COMUNE
TIVOLI
-intimato-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4138/2017 depositata il 10/07/2017, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO
1.La contribuente ha impugnato l’avviso d i accertamento t.a.r.su./t.i.a. 2008/2009/2010/2011, con cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE accertamento RAGIONE_SOCIALE, verificato il pagamento della sola quota fissa per una superficie, ha chiesto l’integrazione del tributo con la quota variabile, oltre agli interessi ed alle sanzioni. Nel ricorso introduttivo si è dedotta la carenza motivazionale dell’atto, la mancata occupazione della particella 169 e la produzione di rifiuti speciali.
2.Il ricorso è stato parzialmente accolto in primo grado. La Commissione provinciale tributaria ha escluso la tassazione per la superficie di cui al foglio 67, particella 169, sub 2-3-501, avendo la contribuente dimostrato l’utilizzo di tali immobili da parte di altri soggetti, ma ha, invece, affermato la debenza dell’imposta (conformemente alle allegazioni della contribuente ed al calcolo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) nella sola misura fissa sulla superficie di cui al foglio 67/168/501, smaltendo il laboratorio autonomamente i rifiuti speciali, ed, invece, nella misura fissa e variabile per la restante parte, destinata ad uso ufficio.
3.L’appello della contribuente è stato rigettato. Nella sentenza della Commissione tributaria regionale si legge che, da un lato, la ricorrente, nella dichiarazione, non ha formulato alcuna istanza di esclusione dell’imposizione tributaria e che ha prodotto in giudizio documentazione fotografica inidonea alla prova delle circostanze allegate e, dall’altro, che «per la porzione immobiliare utilizzata come locale accessorio rispetto al laboratorio, è stata considerata la produzione di rifiuti ordinari e non speciali».
4.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, che ha depositato successiva memoria.
5 Si è costituita con controricorso la RAGIONE_SOCIALE di accertamento e RAGIONE_SOCIALE mentre il Comune è rimasto intimato.
6.La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale dell’11 giugno 2024.
CONSIDERATO
1.Con il primo motivo la contribuente ha denunciato l’intervenuta decisione sui medesimi presupposti di fatto oggetto del presente giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., visto che l’avviso di accertamento emesso nei propri confronti con riferimento all’annualità del 2012 e relativamente al medesimo immobile è stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale per difetto di motivazione (sentenza Commissione tributaria provinciale di Roma n. 19026/9/2017).
Il motivo è infondato.
In primo luogo parte ricorrente ha invocato una decisione di merito di cui non ha né allegato né provato il passaggio in giudicato. In proposito deve rilevarsi che la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 19026/9/2017 è stata impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE e che il provvedimento che ha dichiarato inammissibile l’appello è stata cassato con rinvio da questa Corte (vedi ordinanza della Sez. 6 n. 25936 del 2 settembre 2022), sicché non si è formato alcun giudicato sulla sentenza in esame.
Ad ogni modo, l’eventuale giudicato sull’illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto motivazionale, riguardando un elemento formale dell’atto impositivo, proprio esclusivamente di esso, è inidoneo a fare stato in altri giudizi su diversi atti impositivi (v., tra le altre, Cass., Sez. 5, 28 gennaio 2014, n. 1837, secondo cui la sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il
contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicchè, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorchè, siano coinvolti tratti storici comuni – nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha escluso l’efficacia esterna di un giudicato di annullamento di un avviso di rettifica, privo di adeguata motivazione e fondato su elementi inidonei a dimostrare l’inattendibilità della dichiarazione dei redditi, in altra controversia relativa ad un avviso, derivante dal medesimo verbale di constatazione, ma avente ad oggetto diversa annualità dello stesso tributo). Del resto, la motivazione dei due atti impositivi, anche laddove fondata sul medesimo sopralluogo, resta differente e può essere esaustiva in un atto e insufficiente nell’altro.
Con la seconda censura la contribuente ha lamentato l’omesso esame di un punto decisivo delle questioni in esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., e, cioè, della mancanza di motivazione dell’atto impugnato.
La censura è inammissibile.
Il mancato esame di una censura non integra l’omesso esame di un fatto decisivo, che deve consistere in un fatto storico.
La ricorrente avrebbe dovuto piuttosto denunciare, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 o n. 4, cod.proc.civ., la violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente o dell’art. 112 cod.proc.civ. per omessa decisione. Non è, tuttavia, possibile la riqualificazione del motivo, visto che nel ricorso per cassazione non risulta né trascritto né riprodotto in forma sintetica alcun motivo di appello in ordine all’omessa decisione o al rigetto (esplicito o implicito) del motivo, formulato nel ricorso introduttivo del giudizio,
concernente il difetto motivazionale dell’atto impugnato. Invero, tale motivo di appello non risulta dalla sentenza oggi impugnata e neppure dall’atto di appello in atti, in cui si è lamentata piuttosto la carenza motivazionale e l’erroneità della sentenza di primo grado. Sulla completezza o, quantomeno, sufficienza motivazionale dell’atto impositivo impugnato in questa sede risulta, pertanto, essersi formato il giudicato interno.
Con il terzo motivo la contribuente ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., e, cioè, della documentazione fondamentale, ritualmente prodotta, consistente nel contratto di locazione e nelle dichiarazioni in atti di COGNOME NOME.
La censura, a prescindere da ogni valutazione sulla sua ammissibilità, è infondata, visto che nella sentenza di appello i documenti de quibus (in particolare il contratto di locazione) sono stati menzionati e, quindi, valutati, ma ritenuti non decisivi. Solo per completezza deve sottolinearsi che il giudice di primo grado ha già escluso la debenza dell’imposta per la superficie di cui al foglio 67, particella 169, sub 2-3-501 (proprio in base ai documenti invocati dalla parte ricorrente), per cui la superficie in contestazione si identifica nel solo sub 1 della particella 169, il cui utilizzo, da parte della RAGIONE_SOCIALE contribuente, è stato oggetto di accertamento di fatto da parte del giudice di primo grado.
Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., la violazione del d.lgs. n. 22 del 1997, in relazione al d.lgs. n. 152 del 2006, essendo stata la t.i.a. soppressa.
Il motivo è infondato. L’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 ha introdotto la ‘tariffa per la gestione dei rifiuti urbani’ (comunemente indicata come ‘tariffa integrata ambientale’ o TIA2) e contemporaneamente disposto l’abrogazione della precedente “tariffa Ronchi”. Tuttavia, l’attuazione concreta della
TIA2 è stata differita dal comma 11 dell’art. 238 citato fino all’emanazione di un apposito decreto attuativo, che non è mai stato adottato, sicché nelle more è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti e, quindi, fatta salva l’applicazione della ‘tariffa Ronchi’ nei comuni che l’avevano già adottata.
Con il quinto motivo la contribuente ha dedotto l’omessa motivazione su un punto fondamentale e la violazione di legge per errato riferimento ad una pretesa dichiarazione a cui il contribuente sarebbe tenuto per ottenere l’esclusione dall’imposizione tributaria. In particolare la ricorrente ha sottolineato che la legge impone al contribuente di indicare i motivi di esclusione della imposizione tributaria allorché sia intervenuta una variazione degli elementi originari, assente nel caso di specie.
Il motivo è infondato, in quanto è basato su una erronea interpretazione della sentenza, che non ha affatto imposto un inesistente onere dichiarativo in capo al contribuente. Invero, nella sentenza in esame si legge che «parte appellante ..riconosce che i dati utilizzati dall’amministrazione per l’emissione dell’avviso di accertamento si rifanno a quanto originariamente denunciato dalla stessa parte privata allorché era richiesto il pagamento della Tarsu, ammettendo di non aver effettuato alcun aggiornamento della situazione dichiarata». La sentenza ha fatto, dunque, applicazione degli stessi esatti principi invocati nel ricorso («nessuna norma .. impone al medesimo contribuente di reiterare tale dichiarazione allorchè viene modificata la normativa relativa al tributo. Tale obbligo sussiste … allorché sia intervenuta variazione degli elementi originari») e semplicemente ha evidenziato che l’imposta è stata calcolata in base ai dati indicati dalla stessa contribuente nella originaria dichiarazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.