Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
SOCIETA’ NON OPERATIVE -IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI O IMMATERIALI -CONGRUITA’.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8484/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-ricorrente –
contro
PAGANO ILARIA, in proprio e quale socia e l.r. di RAGIONE_SOCIALE e NOME, in proprio e quale socio di RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, p.e.c. EMAIL;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. DELLA TOSCANA n. 1889/2017, depositata in data 11/09/2017, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’ Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito di impresa in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994; in particolare l’ufficio contestava alla società di aver irregolarmente contabilizzato tra le immobilizzazioni materiali nel conto immobili le spese di ristrutturazione sostenute su un edificio di proprietà di terzo (e in particolare del socio NOME COGNOME che lo aveva concesso in comodato alla società), mentre tali oneri avrebbero dovuto essere contabilizzati tra le immobilizzazioni immateriali; ciò aveva determinato una irregolarità sia nel calcolo del test di operatività sia nella redazione dello studio di settore, la cui congruità era posta a fondamento della esclusione dalla disciplina predetta.
La Commissione tributaria provinciale di Pisa accoglieva, previa riunione, i ricorsi proposti da società e soci.
La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello erariale; riteneva che la società fosse congrua e coerente ai fini degli studi di settore, per cui era da ritenersi sussistente l’esclusione prevista dall’art. 30, comma 2, lett. 6 -sexies , della legge n. 724 del 1994; evidenziava che la qualificazione della spesa per immobili come operata dal contribuente era corretta, dovendosi fare riferimento alla natura sostanziale del bene e non al titolo di disponibilità del medesimo; inoltre evidenziava che l ‘ assimilazione della predetta spesa all’investimento su immobili di proprietà risultava rafforzata dalla durata del contratto di comodato, che era a tempo indeterminato, il che faceva optare per la considerazione dell’effettiva
operatività della società perché rendeva evidente che la logica economica dell’operazione era costituire una società con il fine di ristrutturare l’immobile e metterlo a frutto, destinandolo ad attività ricettiva mediante affitto di ramo d’azienda.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l ‘Agenzia delle Entrate, in base ad un motivo.
NOME e NOME COGNOME in proprio e la prima anche quale rappresentante della società, resistono con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria illustrativa.
Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’adunanza camerale del 6/02/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo, proposto ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la difesa erariale deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. c) n. 6sexies , della legge n. 724 del 1994, dell’ art. 62 del d.l. n. 331 del 1993, dell’art. 5 t.u.i.r., nonchè dei principi contabili nazionali di cui ai nn. 16 e 24 quali usi normativi richiamati dall’art. 2219 c. c. e dalla legislazione fiscale (art. 22 d.P.R. n. 600 del 1973), del decreto MEF del 20 marzo 2007 e susseguente provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 27 marzo 2007.
I controricorrenti hanno eccepito la tardività del ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, per violazione del cd. termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c.
L’eccezione è infondata.
Risulta, infatti, provato dagli atti e altresì pacifico in causa che la sentenza impugnata sia stata pubblicata in data 11/09/2017; la notifica del ricorso a mezzo p.e.c. in data 12/03/2018 risulta tempestiva e rispettosa del cosiddetto termine lungo di sei mesi, tenuto conto della circostanza che l’11/03/2018 cadeva di domenica, con conseguente
proroga al giorno successivo della scadenza del termine (art. 155, quarto comma, c.p.c.).
Devono altresì disattendersi l’eccezione di inammissibilità, formulata in riferimento ad un asserito difetto di specificità del ricorso erariale, che non avrebbe riportato con completezza le doglianze ulteriori proposte dai contribuenti nel giudizio di primo grado (in particolare il difetto di contraddittorio e il limite di responsabilità dei soci) e accolte dalla CTP, nonché l’ulteriore eccezione di giudicato, in quanto tali ulteriori doglianze erano state ritenute fondate dalla CTP con pronuncia confermata dalla CTR mentre il ricorso, in riferimento ad esse, non formula alcuna censura.
Le eccezioni sono infondate in quanto l’unica ratio decidendi esplicitamente adottata dalla CTR è relativa alla corretta contabilizzazione delle spese di ristrutturazione dell’immobile mentre essa, nel riportare conformemente il contenuto della decisione della CTP, non fa alcun riferimento alla decisione di ulteriori doglianze proposte dal contribuente; per cui correttamente l’ufficio ha impugnato la sentenza in relazione all’unica esplicita ratio decidendi e correttamente evidenziato l’ iter processuale utile a comprendere e a valutare tale doglianza.
Nel merito il ricorso erariale è fondato.
4.1. La disciplina delineata dall’art. 30 della l. 724 del 1994 mira a disincentivare la costituzione di società «di comodo», ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale ( ex multis , Cass. 13/5/2015, n. 21358; Cass. 28/9/2017, n. 26728).
Il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario -ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.
La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (Cass. 24/02/2020, n. 4850).
La presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. 10/03/2017, n. 6195, in motivazione) ed ha carattere relativo. In particolare, secondo il primo comma dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società.
Tale presunzione può, tuttavia, essere vinta mediante la dimostrazione, il cui onere grava sul contribuente, di situazioni oggettive -ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore – che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.
Infine, per quanto nella causa specificamente rileva, la disciplina non si applica nel caso previsto dall’art. 30, comma 1, lett. c) n. 6-
sexies , della legge n. 724 del 1994, e cioè alle società che risultino congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.
4.2. Sebbene ad altri fini, ma esprimendo un principio di carattere generale, questa Corte ha chiarito che le spese incrementative di beni non di proprietà dell’impresa – che li utilizza in virtù di un contratto di locazione o di comodato -debbano essere iscritte tra le immobilizzazioni materiali solo ove al termine del periodo di locazione o di comodato possano essere rimosse dall’utilizzatore ed avere un impiego a prescindere dal bene a cui accedono; viceversa, qualora si tratti di opere non separabili dal bene altrui, devono essere iscritte tra le immobilizzazioni immateriali (Cass. n. 15572/2016; Cass. n. 20814/2017).
Si tratta di un principio logico che trova conferma nel principio contabile OIC 24, appendice A.22, il quale prevede che i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni non de ll’impresa (anche in leasing) sono capitalizzabili ed iscrivibili tra le «altre» immobilizzazioni immateriali se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi (ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità); altrimenti sono iscrivibili tra le «immobilizzazioni materiali» nella specifica voce di appartenenza.
Premesso che appare pacifico che si verta in tema di spese di ristrutturazione di immobili di un terzo, in via presuntiva non amovibili, ha quindi errato la CTR nel ritenere che la dichiarazione di dette spese tra le immobilizzazioni materiali, ai fini dello studio di settore, fosse corretta, espressamente negando rilevanza al dato che l’immobile fosse di terzi e in ragione della mera durata del comodato, dando quindi rilievo ad elementi irrilevanti per una corretta contabilizzazione.
Occorre appena precisare che la parte controricorrente, in memoria, enfatizza il passaggio della motivazione ove si fa riferimento all ‘ effettiva operatività della società e alla logica economica
dell’operazione, evidenziando che vi sarebbe stato un accertamento sulla natura effettivamente operativa della società, ma appare chiaro che tali considerazioni siano svolte dalla CTR solo per confermare la (unica) ratio decidendi esplicita della regolarità dell’inserimento dei costi tra le immobilizzazioni ai fini della congruità con gli studi di settore, e non si fondino su una prova contraria offerta dalla società.
Concludendo, il ricorso va accolto; la sentenza va quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana la quale, in diversa composizione, provvederà a nuovo esame; alla stessa è altresì demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 06/02/2025.