Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1133 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6386/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 5073/2016 depositata il 06/09/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc: CTR), con sentenza n. 5073/2016 depositata in data 06/09/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE con un unico socio in liquidazione ( hinc: RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 11706/2014, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Roma aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’avviso di accertamento di maggiore IRES per l’anno 2008.
La CTR -richiamata la distinzione tra società di gestione immobiliare, la cui attività è incentrata sulla locazione di immobili, diversamente dalle società che acquistano questi ultimi a fini speculativi -ha rilevato che nel caso di specie risultava prodotto un unico contratto di locazione di Euro 500.000 e che tale allegazione non cambiava la natura giuridica della società non riconducibile a quella di gestione. Tanto più che, nelle more del giudizio, almeno un immobile di proprietà della parte appellante risultava ceduto.
2.1. Ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per la detrazione degli interessi passivi. Difatti, affinché questi ultimi fossero detraibili fino a concorrenza degli interessi attivi o proventi assimilati, era necessario che: a) gli interessi passivi fossero corrisposti da una società con i requisiti per rientrare tra le « immobiliari di gestione» (cioè società la cui attività principale consiste nella locazione di immobili); b) gli interessi riguardassero contratti per l’acquisto e la costruzione di immobili destinati alla locazione, indipendentemente dalla tipologia di immobile da locare (patrimoniale, strumentale o per
natura); c) ci fosse perfetta corrispondenza tra l’immobile su cui grava l’ipoteca e l’immobile concesso in locazione.
2.2. La CTR ha ritenuto, inoltre, illegittimo l’incremento delle rimanenze di esercizio, trattandosi di questione, peraltro, legata alla natura della società: le società immobiliari di gestione non iscrivono, infatti, gli immobili tra le rimanenze, ma tra le immobilizzazioni materiali alla voce «Terreni e fabbricati», posto che, ai sensi dell’art. 2424 bis c.c., gli elementi patrimoniali destinati a essere usati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni. In ogni caso, la società contribuen te, anche se fosse stata un’immobiliare di gestione, non avrebbe soddisfatto il requisito della prevalenza: in base alla Risoluzione n. 323/E del 09/11/2007 dell’Agenzia delle Entrate, sono immobiliari di gestione le società il cui valore del patrimonio, assunto a valori correnti, è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività, nonché dagli immobili usati direttamente nell’esercizio dell’impresa.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stato contestato l ‘illegittimo disconoscimento dell’applicazione dell’art. 1, comma 36, legge 24/12/2007, n. 244.
1.1. La ricorrente rileva come la sentenza impugnata abbia negato alla società contribuente la qualifica di società di gestione, nonostante il dato contabile evidenziasse che la principale fonte di reddito fosse costituita dai ricavi provenienti dalla locazione di uno dei due immobili costituenti il patrimonio della società stessa. La CTR avrebbe, quindi, errato nel dare rilievo a un dato puramente formale,
omettendo la valutazione della realtà delle attività della società. Il fatto che il secondo immobile nel patrimonio della società non fosse concesso in locazione era legato alla consistenza e alla natura del bene, costituito da capannoni industriali in completo stato di abbandono, per i quali era necessario un imponente intervento di ristrutturazione, prospettabile solo in presenza di concrete proposte di locazione. L’unica attività svolta dalla società nel periodo era, quindi, quella di gestione degli immobili in patrimonio, comprovata dall’ingente importo dichiarato di Euro 500.000.
1.2. Passando all’esame del motivo di ricorso, premesso che la ricorrente non censura adeguatamente la qualificazione che il giudice fa, con accertamento in fatto, della sua natura giuridica di società di gestione, occorre rilevare come l ‘art. 1, comma 36, legge n. 244 del 2007 nella versione applicabile ratione temporis al caso in esame (diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente a pag. 5 del controricorso) fa riferimento alla « non rilevanza ai fini dell’articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione » .
L’art. 4, comma 4, d.lgs. 14/09/2015, n. 147 ha stabilito, poi, che: « Al comma 36 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dopo le parole: «immobili destinati alla locazione» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «per le società che svolgono in via effettiva e prevalente attività immobiliare. Si considerano società che svolgono in via effettiva e prevalente attività immobiliare, le società il cui valore dell’attivo patrimoniale è costituito per la maggior parte dal valore normale degli immobili destinati alla locazione e i cui ricavi sono rappresentati per almeno i due terzi da canoni di locazione o
affitto di aziende il cui valore complessivo sia prevalentemente costituito dal valore normale di fabbricati.» .
L’art. 4, comma 5, d.lgs. n. 147 del 2015 sta bilisce che: « Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. » Il decreto è entrato in vigore il 7/10/2015 e si applica dal 01/01/2016, mentre la ripresa a tassazione nel caso in esame è stata fatta con riferimento all’anno d’imposta 2008 . Di conseguenza, trova applicazione al caso di specie la versione originaria dell’art. 1, comma 36, legge n. 244 del 2007, con la conseguenza che a incidere sulla deducibilità degli interessi passivi è la circostanza che il finanziamento fosse, in primo luogo, garantito da ipoteca e che l’immobile fosse destinato a locazione.
Nel caso di specie la ricorrente, nell’articolazione del motivo di ricorso, fa riferimento ai proventi ricavati dalla locazione degli immobili, mentre fornisce l’informazione a pag. 5 del ricorso in ordine al fatto di essere proprietaria di due immobili, uno dei quali ubicato a Bologna e interessato dalla locazione. N ell’illustra zione del motivo di ricorso incentrato sulla violazione dell’art. 1, comma 36, legge n. 244 del 2007 non è, tuttavia, enunciato che gli interessi passivi per i quali è invocata la deduzione fossero riferiti a un finanziamento garantito da ipoteca sull’immobile , in relazione al quale erano maturati i canoni di locazione.
Il motivo di ricorso è pertanto inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso è stato contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
2.1. La ricorrente contesta l’affermazione della sentenza impugnata che ritiene illegittimo l’incremento delle rimanenze di esercizio. In particolare, la CTR ha rigettato il secondo motivo di
ricorso incentrato sulla rettifica del dato contabile relativo alle rimanenze per l’importo di Euro 951.889, contraddicendo, ad avviso di parte ricorrente, lo stesso avviso di accertamento, dove l’amministrazione finanziaria, ai sensi degli artt. 39, primo comma, 40 e 51 d.P.R. 29/09/1973, n. 600 aveva recuperato a tassazione ai fini IRES gli interessi passivi ai sensi dell’art. 96 d.P.R. 22/12/1986, n. 917 e aveva rettificato in diminuzione per l’importo di Euro 951.889 il valore delle rimanenze finali. In sostanza, a seguito del recupero a tassazione degli interessi passivi, ritenuti indeducibili, l’ufficio avrebbe dovuto procedere alla rettifica in diminuzione per l’importo di Euro 951.889 delle rimanenze finali dichiarate dalla società per l’esercizio 2008.
La contestazione mossa all’operato dell’ufficio, avallato dalle sentenze di merito, è che, pur avendo assunto come legittimo l’abbattimento delle rimanenze finali dichiarate , non è stato provveduto, nel proseguimento dell’accertamento , a tale rettifica con conseguente riflesso sull’imponibile accertato. Anche a voler ammettere che gli interessi passivi non potessero essere capitalizzati in ragione della loro indeducibilità, la loro ripresa a tassazione, in ragione della non condivisa contabilizzazione a incremento delle rimanenze, avrebbe imposto la riduzione di queste ultime, con effetto pari a zero sul reddito imponibile.
2.2. In punto di ammissibilità del motivo di ricorso occorre evidenziare l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità della controricorrente. Difatti, nonostante la duplice soccombenza della società contribuente in entrambi i gradi di giudizio, emerge (v. pag. 5 del ricorso) che la questione oggetto del secondo motivo di ricorso non fosse stata decisa da parte del giudice di prime cure, al punto che, in sede di appello, era stata articolata una censura di omessa pronuncia circa la rettifica del dato contabile pari a Euro 951.889,05.
2.3. Esaurita tale precisazione preliminare, il motivo è, comunque, inammissibile, in quanto la censura articolata dalla ricorrente avrebbe dovuto essere veicolata in relazione al n. 3 (e non al n. 5) dell’art. 360 c.p.c., dal momento che viene contestata, di fatto, una violazione di legge.
N ell’ incipit dell’illustrazione del motivo di ricorso si legge (pag. 8-9), infatti, che: « ulteriore argomento di censura per la sentenza impugnata risulta la statuizione assunta circa la valutazione delle rimanenze di esercizio, laddove il Collegio ritiene l’incremento dichiarato dalla società non sia legittimo. In altre parole, il Giudice del merito è giunto alla conclusione di rigettare il secondo motivo articolato nel ricorso, attinente la mancata rettifica del dato contabile.»
2.4. Questa Corte ha, tuttavia, precisato che il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (Cass., 08/09/2016, n. 17761; Cass. 05/02/2011, n. 2805).
Nello stesso senso è stato affermato che: « In tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40 del 2006 – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale
specifico accadimento in senso storico-naturalistico. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE., in applicazione del principio, ha dichiarato inammissibile la censura della motivazione fondata sull’imputazione del versamento dell’importo contestato). » (Cass., 03/10/2018, n. 24035).
Come risulta da quanto evidenziato, supra, in relazione ai contenuti della censura articolata dalla ricorrente nell’illustrazione del secondo motivo di ricorso, nel caso di specie non viene in rilievo l’omesso esame di un fatto inteso quale accadimento in senso storico naturalistico, ma la contestazione di una pretesa rettificazione delle rimanenze finali conseguente al recupero a tassazione degli interessi passivi, che costituisce, in realtà, l’esito di una valutazione conseguente all’interpretazione della norma tributaria.
Alla luce di quanto sin qui rilevato il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/11/2024.