Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5995 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5995 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29585/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 2348/2017 depositata il 02/05/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente RAGIONE_SOCIALE si vedeva ripresi a tassazione sull’anno di imposta 2009 i canoni percepiti per la locazione di immobili strumentali sottoposti a vincolo storico architettonico.
Lamentava che tali immobili, in quanto vincolati, dovessero fruire dell’agevolazione fiscale prevista dall’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991, ovvero fare riferimento al reddito catastale o fondiario, senza quindi ripresa a tassazione secondo i criteri del reddito da impresa.
Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni della parte contribuente, ma la sentenza veniva integralmente riformata in appello, donde ricorre per Cassazione la società privata contribuente, affidandosi a tre strumenti cassatori, cui replica l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, il Pubblico Ministero in persona del sost. Procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in forma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Successivamente, sempre in prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991.
Nella sostanza si lamenta che sia stata applicata la tassazione del reddito d’impresa sui canoni di locazione ricavati da beni immobili vincolati, in luogo della agevolazione prevista dalla citata legge, ove consente la minor tassazione calcolata sul reddito catastale.
Con il secondo motivo, posto in via dichiaratamente subordinata, si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’articolo 112 del medesimo codice di rito.
Nella sostanza si lamenta che non sia stata data risposta alla domanda concernente l’errore di procedimento seguito dall’Ufficio per mancata considerazione delle voci di costo per interessi passivi sul finanziamento relativo all’acquisto dell’immobile sottoposto a tutela storico artistica e per quota di ammortamento dello stesso immobile di competenza dell ‘esercizio, regolarmente appostati in dichiarazione dei redditi.
Con il terzo motivo, proposto invia dichiaratamente subordinata, si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per omissione di pronuncia ai sensi dell’articolo 112 del medesimo codice di rito sull’autonoma domanda concernente l’inapplicabilità delle sanzioni al caso di specie in ragione della obiettiva incertezza giuridica.
Il primo motivo è infondato e non può essere accolto.
Se è vero infatti che questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato il carattere speciale della tassazione prevista per i beni sottoposti a vincolo storico artistico, non è men vero che il principio è stato affinato distinguendo il reddito dominicale, dal reddito di impresa.
Ed infatti, in tema di imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 1089 del 1939, che siano oggetto dell’attività dell’impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, secondo le norme che lo disciplinano, senza che sia applicabile l’art. 11, comma 2, della l. n. 413 del 1991, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato “mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella
quale è collocato il fabbricato”, si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili, giustificazione, quest’ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che, invece, sono indeducibili rispetto ai redditi fondiari (cfr. Cass. V, n. 6515/2019; altresì n. 8164/2019).
Il primo motivo non può pertanto essere accolto.
Neppure possono essere accolti i motivi secondo e terzo, posti in via dichiaratamente subordinata, laddove lamentano che siasi tenuto conto solo dei costi inerenti all’immobile e non anche quelli relativi agli interessi passivi sul mutuo necessario per il suo acquisto (secondo motivo) e che non siasi applicata l’esenzione dalle sanzioni per oggettiva incertezza normativa (terzo motivo).
Per giurisprudenza costante, non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando, cioè, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537).
Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di
per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. III, n. 24953/2020).
Con particolare riguardo al terzo motivo, inerente alle sanzioni, occorre ricordare che in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la
ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. V, n. 3108/2019).
In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € settemilaottocento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20/02/2025.