Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13101 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13101 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12447/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente e ricorrente incidentale – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 6872/15/16 depositata il 14/11/2016;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 25455/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 583/04/18 depositata il 05/02/2018;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 31213/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -controricorrente – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 1286/03/20 depositata il 11/03/2020;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 15418/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO. (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 3668/06/20 depositata il 24/11/2020;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 24003/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 889/07/2021 depositata il 15/02/2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/02/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
quanto al ricorso rgn. 12447/2017
La società RAGIONE_SOCIALE ha per oggetto la locazione a terzi di beni immobili ed è proprietaria, tra l’altro, di un compendio a destinazione abitativa di interesse storico artistico, insistente in adiacenza al Palazzo della Consulta, sottoposto a vincolo diretto ai sensi della l. n. 1089/ 1939, poi trasfusa nel decreto legislativo 42/2004. Essa società ha contabilizzato i redditi prodotti da tale compendio secondo le disposizioni in allora vigenti di cui al secondo comma dell’articolo 11 della legge numero 413/1991, ove dispone che il reddito sia determinato applicando la minore fra le tariffe
d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato. A seguito della richiesta di esibizione della documentazione contabile, sull’anno d’imposta 2007 la società era attinta da avviso di accertamento con ripresa a tassazione a fini Ires ed Irap, vedendosi rimodulato il ricavo come reddito di impresa, senza possibilità di fruire dell’agevolazione normativa sopra citata.
Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni della parte contribuente, ma il collegio d’appello riformava la sentenza e confermava l’impianto di ripresa a tassazione.
Donde ricorre per Cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due mezzi, cui replica l’avvocatura generale dello Stato con tempestivo contro ricorso e spiegando, a sua volta, ricorso incidentale autonomo, ancorato ad unico motivo.
In prossimità dell’adunanza la parte contribuente ha depositato memoria, rappresentando ius superveniens in materia di sanzioni.
quanto al ricorso rgn. 25455/2018
Le medesime circostanze di fatto di cui al ricorso che precede sfociano qui nel contenzioso per l’anno d’imposta 2006. Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni della parte contribuente, ma il collegio d’appello riformava la sentenza e confermava l’impianto di ripresa a tassazione.
Donde ricorre per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque mezzi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo contro ricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria.
quanto al ricorso rgn. 31213/2020
Le medesime circostanze di fatto di cui al ricorso che precede sfociano qui nel contenzioso per l’anno d’imposta 2011. I gradi di merito erano favorevoli alla parte contribuente, donde interpone ricorso per Cassazione il patrono erariale affidandosi ad un unico motivo, cui replica la società con tempestivo contro ricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria, chiedendo in subordine, l’applicazione dello ius superveniens in tema di sanzioni.
quanto al ricorso rgn. 15418/2021
Le medesime circostanze di fatto di cui al ricorso che precede sfociano qui nel contenzioso per l’anno d’imposta 2008. I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente che propone ricorso per Cassazione affidandosi a sei mezzi, cui replica il patrono erariale con tempestivo contro ricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria.
quanto al ricorso rgn. 24003/2021.
Le medesime circostanze di fatto di cui al ricorso che precede sfociano qui nel contenzioso per l’anno d’imposta 2010. Il collegio di prossimità apprezzava le ragioni di parte contribuente, ma la sentenza veniva riformata in appello, donde la parte contribuente propone ricorso per Cassazione affidandosi a tre mezzi, cui replica il patrono erariale con tempestivo contro ricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
quanto al ricorso rgn. 12447/2017
In via preliminare occorre rilevare l’istanza di riunione del giudizio con gli altri connessi cui si può dar seguito disponendo la riunione al presente dei ricorsi rgn. 25455/2018; rgn. 31213/2020; rgn. 15418/2021; rgn. 24003/2021.
Vengono proposti due motivi di ricorso principale.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione di norme di diritto (art. 11 comma 2 l. n. 413/1991 e art. 40 dpr n. 917/1986) per avere la CTR pronunciato sul presupposto che la società gestisse l’immobile, oggetto di rilievo fiscale, con modalità d’impresa, pur trattandosi di immobile di
interesse storico ed artistico, disconoscendo l’applicazione del regime speciale di cui all’art. 11 cit.
La questione è già stata affrontata da questa Suprema Corte di legittimità proprio con riguardo all’odierna parte ricorrente, con orientamento cui preme qui dare continuità non vendo ragioni per discostarsene.
I.1. In materia di imposta sui redditi locativi generati da immobili locati nell’esercizio di un’attività di impresa è assolutamente costante l’indirizzo – cfr. Cass. nn. 18921/2015, 7615/2014, 10563/2014, 7542/2011, 26343/2009, 2232/2009 -secondo cui il beneficio introdotto dall’art. 11, comma 2, 1. 413/1991, concernendo la determinazione del solo reddito fondiario, non si applica agli immobili d’interesse storico ed artistico strumentali all’esercizio di attività d’impresa. In particolare, è stato ribadito che in tema di imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art. 3 della legge 10 giugno 1939, n. 1089, che siano oggetto dell’attività dell’impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, secondo le norme che lo disciplinano, senza che sia applicabile l’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato “mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”, si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili, giustificazione, quest’ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che, invece, sono indeducibili rispetto ai redditi fondiari (cfr. Cass. nn. 18921/2015, 7615/2014, 7542/2011, 26343/2009).
Più analiticamente per i suddetti immobili che siano strumentali all’esercizio di un’impresa, la tassazione ordinaria è dovuta (e non si applica il regime agevolativo invocato), quanto alle imposte sui redditi, sulla base del principio affermato da questa Corte, secondo cui: “In tema di imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3, che siano oggetto dell’attività dell’impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, secondo le norme che lo disciplinano, senza che sia applicabile la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 2, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato “mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”, si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili, giustificazione, quest’ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che, invece, sono indeducibili rispetto ai redditi fondiari” (Cass. n. 7542 del 2011).
Parimenti, la tassazione ordinaria è dovuta, quanto all’IRAP sulla base del principio affermato da questa Corte, secondo cui: “I canoni prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della L. n.1089 del 1939, art. 3 e successive modificazioni, che siano oggetto dell’impresa, ne rappresentano dei ricavi e come tali rientrano nella determinazione della base imponibile dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), essendo essa diretta alla tassazione del valore della produzione ed articolata, ai sensi del d.lgs. n. 446 del 1997, artt. 5, 11 e 11-bis, in base alla natura del soggetto passivo (nella specie, società di capitali) ed alla differenza tra la somma delle voci della produzione e quella dei costi di cui all’art. 2425 cod. civ., comma 1,
rispettivamente lettere A) e B), con i correttivi dettati dal richiamo a specifiche norme del testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. n. 917 del 1986, artt. da 53 a 76), effettuati peraltro solo ai fini della quantificazione dei valori; ne consegue che resta inapplicabile ai predetti ricavi la l. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, che, operando come norma qualificatoria del valore da considerare ai fini del reddito, prevede che il reddito dei predetti immobili sia determinato secondo la minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato” (Cass. n. 2332 del 2009).
I.2. Appurato così che gli immobili sottoposti a vincolo, per questo solo fatto, non sono sottratti al regime ordinario di tassazione, occorre vedere se, nel caso concreto, integrino anche la fattispecie dei beni strumentali, revocata in dubbio dalla circostanza che si tratta di beni locati secondo la dicitura di affittacamere, quindi non escludenti la destinazione ad abitazione. In tesi di parte contribuente, infatti, la circostanza che si tratti di beni locati a terzi come affittacamere (o casa per ferie o residenza d’epoca) non è incompatibile con la destinazione a civile abitazione che porta con sé il reddito dominicale sui minimi catastali di cui alla legge agevolativa più volte citata.
La questione è mal posta. Devesi, infatti, aver riguardo al rapporto che lega un bene a chi ne dispone e, qualora sia una società, all’oggetto sociale dell’impresa cui afferisce. Per cui sarà strumentale il bene che consente di ricavarne un reddito secondo lo scopo speculativo che innerva la società: nel caso di specie non è controverso in atti che la società contribuente sia un’immobiliare avente ad oggetto, tra l’altro, la locazione a terzi degli immobili di cui dispone. Infatti, ai fini della determinazione del reddito di impresa, la distinzione fra immobili “merce”, ossia destinati al mercato della compravendita ed al cui scambio o produzione è diretta l’attività di impresa, immobili “patrimonio”, destinati al
mercato locativo, e immobili “strumentali”, destinati alla produzione, implica che l’allocazione in bilancio dei beni societari debba avvenire sulla base della destinazione economica ad essi concretamente impressa (Cass. V, n. 24720/2022). Peraltro, come è stato sopra osservato, se la ratio della norma agevolativa del 1991 è quella di favorire il proprietario di beni vincolati i cui costi di manutenzione sono superiori agli altri beni, ciò non vale per i beni con cui esercita l’impresa, i cui costi sono ded ucibili (cfr. ancora Cass. V, n. 7542/2011).
I.3. Per completezza, va ricordato che questa Corte, con arresto a Sezioni Unite, ha previsto l’estensione di benefici agevolativi a favore degli immobili vincolati, ma trattavasi di fattispecie diversa, non sovrapponibile al caso in esame, riguardante tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico, l’art. 2, comma 5, del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75, come interpretato dall’art. 74, comma 6, della legge 21 novembre 2000, n. 342, ove prevede un regime di natura speciale giustificato dai pesanti oneri manutentivi che il riconoscimento della specifica qualità comporta per tale tipologia di immobili – applicabile in via esclusiva anche se gli immobili stessi siano oggetto degli interventi edilizi indicati dalle lettere c), d) ed e) dell’art. 31, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 457 (restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica), in quanto i criteri di determinazione della base imponibile ICI previsti per tali interventi dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, costituiscono un’eccezione (o agevolazione fiscale) interna al regime ordinario di tassazione degli immobili non altrimenti qualificati, che non può avere, per sua natura e collocazione, applicazione in altri regimi di tassazione caratterizzati da specialità propria, connessa ad una qualità specifica (e sostanzialmente intrinseca) dell’immobile oggetto dell’imposta (Cass. S.U. 5518/2011). Come si vede, tale assunto con contrasta, ma si
coordina con la coeva pronuncia n. 7542/2011 sopra citata, trattandosi di diverso presupposto impositivo che anima la cessata imposta comunale sugli immobili e la tassazione dei redditi da impresa (esercitata con quegli stessi immobili).
Altrettanto, con conseguenza diretta, i costi sostenuti per la manutenzione di tali beni funzionali all’esercizio dell’impresa seguono le regole generali a garanzia della parità di trattamento fra le imprese e non possono essere ammortizzati con le regole dell’art. 100, come all’ora vigente, del d.P.R. n. 917/1986 che indica criteri diversi sul presupposto, però, che non si tratti di beni strumentali, qualità che invece dev’essere affermata nel caso di specie, come si è detto.
Il motivo non può dunque essere accolto.
II. Con il secondo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di rito civile per errata valutazione di un fatto decisivo che ha formato oggetto di dibattito tra le parti. Nella sostanza si contesta l’assunto della sentenza in scrutinio laddove, affermando che l’immobile fosse stato locato con destinazione di affittacamere, deduceva che lo stesso cespite non potesse essere qualificato come a destinazione abitativa, su un tanto affermando la natura strumentale del bene. In altri termini si contesta che la destinazione di affittacamere sia incompatibile con la destinazione abitativa.
II.1. Il motivo, così come posto, è inammissibile poiché non attiene a un omesso esame di un fatto, ma una dichiarata errata valutazione del giudicante, con ciò sollecitando un diverso apprezzamento di merito dell’apporto probatorio offerto dalle parti con un sindacato che è inibito a questa Suprema Corte di legittimità.
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui
riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. NUMERO_DOCUMENTO).
Con memoria depositata in prossimità dell’adunanza, la parte contribuente rappresenta lo ius superveniens in tema di sanzioni, tale da non poter essere rappresentato in ricorso.
III.1. Va dato atto che è stata ridisciplinata la materia delle sanzioni a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 158/20215, sicché la controversia va rimessa alla Corte di merito per la valutazione in ordine all’applicabilità alla fattispecie in esame della novella e per la concreta rideterminazione della sanzione, anche alla luce della rimodulazione del concorso e della continuazione, i ncidendo sull’art. 12 del d.lgs. n. 472/1997. (Cfr. Cass. V, n. 4960/2017; T, n. 2392/2024).
Il ricorso principale è quindi fondato limitatamente al profilo di rimodulazione dele sanzioni in base alla sopravvenuta disciplina di favore e per tale aspetto il giudizio dev’essere rinviato al giudice di merito.
Può quindi passarsi all’esame del ricorso incidentale.
IV. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si prospetta censura ex articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 329 dello stesso codice, nonché dell’articolo 56 del decreto legislativo 546 del 1992 e dell’articolo 102, comma sesto, del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986.
Nella sostanza si critica che la CTR abbia affermato la sussistenza di un giudicato interno con riferimento alla questione del limite di deducibilità delle spese di manutenzione sul rilievo che non vi sarebbe un espresso motivo di appello sul punto.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
IV.1 Ed infatti può essere logicamente implicito (come afferma la stessa Avvocatura a pag. 11 del suo atto) che la CTP, ritenendo fondiario il reddito in questione, abbia considerato assorbita (in senso improprio) ogni questione relativa alla misura della deducibilità delle spese di manutenzione e restauro. Di conseguenza, l’Ufficio non aveva l’obbligo, per evitare il giudicato, di estendere l’appello espressamente anche alle questioni assorbite, risultando bastevole una critica integrale alla sentenza per far scattare l’effetto devolutivo su ogni profilo della controversia. La questione è già stata affrontata, affermando che nei gradi di impugnazione, il principio dell’interesse ad agire si configura diversamente rispetto al giudizio di primo grado, dovendosi tener conto dell’intervenuta pronuncia della sentenza di primo grado, idonea ad assumere la consistenza del giudicato per le parti non impugnate, a causa dei limiti dell’effetto devolutivo dell’appello; ne deriva che nel decidere sulla sussistenza di tale interesse, e quindi sull’ammissibilità dell’impugnazione proposta, si deve aver riguardo agli effetti che potrebbero derivare dal suo accoglimento e alla loro idoneità a soddisfare un interesse della parte impugnante in relazione ai temi del giudizio. Pertanto, l’interesse, ed il conseguente onere, della parte soccombente ad impugnare è esteso e nel contempo limitato alle “rationes decidendi”
poste a base della sentenza, ma non coinvolge le questioni sulle quali questa non si sia pronunciata, perché ritenute assorbite (Sulla base del principio di cui in massima, la S.C. – in un caso nel quale la Commissione tributaria di primo grado aveva annullato la cartella esattoriale impugnata dal contribuente, perché notificata oltre il termine, senza pronunciarsi su altri vizi della cartella denunciati dal contribuente, ritenuti assorbiti dal motivo di annullamento accolto ha confermato la sentenza impugnata che aveva respinto l’eccezione, sollevata dal contribuente, di inammissibilità dell’appello proposto dall’Amministrazione che non toccava le questioni assorbite) (cfr. Cass. V, n. 12700/2001).
IV.2 Più precisamente, in tema di assorbimento cd. improprio, nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa. (In applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE. ha precisato che, a fronte di una decisione di primo grado che, decidendo sulla revocatoria di rimesse in conto corrente, ha rigettato la domanda per difetto di scientia decoctionis , senza nulla dire sulla revocabilità delle rimesse, l’appellante correttamente può limitarsi a sostenere, nel giudizio di impugnazione, che la banca fosse consapevole della situazione di decozione del correntista) (cfr. Cass. I, n. 48/2022).
Il ricorso incidentale è quindi fondato e la sentenza dev’essere cassata sul punto con rinvio al giudice di merito perché si esprima sulla domanda di cui è stato investito.
quanto al ricorso rgn. 25455/2018
Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
V.1. Con il primo motivo si solleva censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile per violazione dell’articolo 100, secondo comma, lettera e) del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986. Nello specifico si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato che la disposizione del citato articolo 100 possa trovare applicazione con riferimento a beni immobili dichiarati di interesse storico artistico che risultino strumentali rispetto all’attività d’impresa svolta da una società di capitali.
Con il secondo motivo si solleva ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 43, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986. Nello specifico si contesta l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che nel caso di specie gli immobili oggetto di contestazione dovessero considerarsi strumentali rispetto all’attività della società contribuente pur trattandosi di immobili a destinazione residenziale inquadrati nelle categorie A7, C2, C6 ed oggetto di locazione a soggetti terzi.
Con il terzo motivo si solleva ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 11, secondo comma della legge numero 413 del 1991 nonché 43, secondo comma, e 90 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986. Nello specifico si contesta l’impugnata sentenza ove ha stabilito che il regime tributario di carattere sostitutivo e agevolativo della citata legge numero 413 del 1991 non fosse applicabile nel caso di specie nonostante i beni immobili vincolati oggetto di contestazione non potessero considerarsi strumentali rispetto all’attività d’impresa svolta dalla società contribuente.
Con il quarto motivo si prospetta nuovamente censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per
violazione dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991. Nella sostanza ci si duole che l’impugnata sentenza abbia negato che il regime impositivo previsto dalla norma agevolativa sopra citata potesse essere fruito da soggetti esercenti attività d’impresa in relazione ad immobili di interesse storico artistico strumentali rispetto all’attività svolta in contrasto con gli arresti di questa Suprema Corte di legittimità a sezioni unite.
Con il quinto motivo si solleva censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di rito civile per violazione dell’articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo numero 472 del 1997 nonché dell’articolo 1, commi secondo e quarto, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Nella sostanza ci si duole che l’impugnata sentenza non abbia tenuto conto della novellazione intervenuta nel corso del giudizio di secondo grado tesa a mitigare il regime sanzionatorio con intervento normativo applicabile direttamente alle controversie pendenti al momento della sua entrata in vigore.
V.2. I motivi da uno a quattro vertono attorno al medesimo nucleo, ovvero alla applicabilità della disciplina agevolativa per gli immobili vincolati e se essi siano da considerare come beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, donde possono essere trattati congiuntamente e sono infondati, per le medesime ragioni sopra esposte ai §§ I.1. -I.3., soprapponendosi al primo motivo di cui al ricorso rgn. 12447/2017.
Il quinto motivo attiene allo ius superveniens in tema di sanzioni ed alla diretta applicazione del regime più favorevole alla parte contribuente.
Il motivo assolve gli oneri di completezza ed ammissibilità secondo i criteri espressi da questa Corte, laddove indica espressamente la variazione normativa nonché il concreto vantaggio che ne trarrebbe il contribuente dalla sua corretta applicazione.
Infatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158
del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE.C. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello “ius superveniens”, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta) (cfr. Cass. V, n. 19286/2020).
Rappresentando un possibile vantaggio fiscale analiticamente indicato, il motivo è quindi fondato e merita accoglimento, la sentenza deve essere cassata limitatamente a questo profilo con rinvio al giudice di merito perché ricalcoli le sanzioni dovute.
quanto al ricorso rgn. 31213/2020
VI. Viene proposto unico motivo di ricorso con cui si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di rito civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 nel 1991. Nella sostanza, si contesta che possa essere applicato il regime agevolativo della prefata norma agli immobili in oggetto in quanto strumentali ad un esercizio di impresa e produttivi quindi di reddito assoggettato alla tassazione secondo le regole generali.
Il motivo è fondato per le medesime ragioni sopra esposte ai §§ I.1. -I.3., soprapponendosi -in modo speculare- al primo motivo di cui al ricorso rgn. 12447/2017.
Il ricorso è quindi fondato e la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché si conformi agli indicati principi di
diritto, ove troveranno luogo anche i profili attinenti allo ius superveniens in tema di sanzioni.
quanto al ricorso rgn. 15418/2021
VII. Vengono proposti sei motivi di ricorso.
VII.1. Con il primo motivo si protesta censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 43 commi primo è il secondo nonché dell’articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986 nonché dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991. Nel concreto si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che nel caso di specie i due immobili oggetto di contestazione non dovessero considerarsi beni meramente patrimoniali per la società contribuente pur trattandosi di immobili a destinazione residenziale e quindi assoggettabili alla disciplina agevolatrice di cui alla citata legge numero 413 del 1991.
Con il secondo motivo si propone ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di rito civile per violazione dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991. Nella sostanza si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato il regime fiscale di favore previsto dalla prefata legge per soggetti esercenti attività d’impresa in relazione ad immobili di interesse storico artistico nonostante gli arresti di questa Suprema Corte a sezioni unite numero 5518 e seguenti del 2011.
Con il terzo motivo si propone censura i sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 1,36, 53 e 54 del decreto legislativo numero 546 del 1992, nonché dell’articolo 132 del codice di procedura civile e dell’articolo 118 delle disposizioni di attuazione del medesimo codice. Nella sostanza si lamenta l’assenza o l’apparenza di motivazione della sentenza dovuta alla pretermissione della disamina della documentazione che sostiene le operazioni contabili da cui ha trovato scaturigine l’atto impositivo.
Con il quarto motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione degli articoli 81,83 e 85 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986. Nello specifico si lamenta la decisione dell’impugnata sentenza perché, nonostante la documentazione versata agli atti di causa emergesse in maniera evidente come gli storni riconosciuti alle società locatarie a fronte di canoni di locazione versati in eccesso rispetto a quanto contrattualmente dovuto, porti a tassare in capo alla contribuente ricavi non effettivamente conseguiti nel periodo di imposta.
Con il quinto motivo si contesta violazione di cui all’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 del codice civile nonché dell’articolo 115 del codice di procedura civile. Nella sostanza si critica la sentenza impugnata per non essersi accorta di quanto effettivamente offerto dalla contribuente a conforto della irrilevanza reddituale degli storni dei canoni di locazione riconosciuti alle società locatarie.
Con il sesto motivo si solleva censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di rito civile per violazione dell’articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo numero 472 del 1997 nonché dell’articolo 1, commi secondo e quarto, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Nella sostanza ci si duole che l’impugnata sentenza non abbia tenuto conto della novellazione intervenuta nel corso del giudizio, tesa a mitigare regime sanzionatorio no con intervento normativo applicabile direttamente alle controversie pendenti al momento della sua entrata in vigore.
VII.2. I motivi primo e secondo vertono attorno al medesimo nucleo, ovvero alla applicabilità della disciplina agevolativa per gli immobili vincolati e se essi siano da considerare come beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, donde possono essere trattati congiuntamente e sono infondati, per le medesime ragioni
sopra esposte ai §§ I.1. -I.3., soprapponendosi al primo motivo di cui al ricorso rgn. 12447/2017.
VII.3. I motivi terzo quarto e quinto sollecitano nella sostanza una valutazione di merito inibita a questa Suprema Corte di legittimità, prospettando aspetti di valutazione del materiale probatorio offerto dalle parti per raggiungere un risultato opposto a quello a cui è pervenuto il giudice di merito. Pertanto, sono inammissibili.
Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018).
Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/RAGIONE_SOCIALE, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto
di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
Parimenti, non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. III, n. 24953/2020).
I motivi terzo, quarto e quinto non possono quindi essere accolti.
VII.4. Il sesto motivo attiene allo ius superveniens in tema di sanzioni ed alla diretta applicazione del regime più favorevole alla parte contribuente.
Il motivo assolve gli oneri di completezza ed ammissibilità secondo i criteri espressi da questa Corte, laddove indica espressamente la variazione normativa nonché il concreto vantaggio che ne trarrebbe il contribuente dalla sua corretta applicazione.
Infatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello “ius superveniens”, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta) (cfr. Cass. V, n. 19286/2020).
Rappresentando un vantaggio fiscale analiticamente indicato, il motivo e quindi fondato e merita accoglimento, la sentenza deve essere cassata limitatamente a questo profilo con rinvio al giudice di merito perché ricalcoli le sanzioni dovute.
quanto al ricorso rgn. 24003/2021.
VIII. Vengono proposti tre motivi di ricorso.
VIII.1. Con il primo motivo si protesta censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 43, commi primo e secondo, nonché dell’articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986, nonché dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991. Nel concreto, si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che nel caso di specie i due immobili
oggetto di contestazione non dovessero considerarsi beni meramente patrimoniali per la società contribuente pur trattandosi di immobili a destinazione residenziale e quindi assoggettabili alla disciplina agevolatrice di cui alla citata legge numero 413 del 1991.
Con il secondo motivo si propone ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di rito civile per violazione dell’articolo 11, secondo comma, della legge numero 413 del 1991. Nella sostanza si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato il regime fiscale di favore previsto dalla prefata legge per soggetti esercenti attività d’impresa in relazione ad immobili di interesse storico artistico nonostante gli arresti di questa Suprema Corte a sezioni unite numero 5518 e seguenti del 2011.
Con il terzo motivo si solleva censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di rito civile per violazione dell’articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo numero 472 del 1997 nonché dell’articolo 1, commi secondo e quarto, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Nella sostanza ci si duole che l’impugnata sentenza non abbia tenuto conto della novellazione intervenuta nel corso del giudizio tesa mitigare regime sanzionatorio no con intervento normativo applicabile direttamente alle controversie pendenti al momento della sua entrata in vigore.
VIII.2 I motivi primo e secondo vertono attorno al medesimo nucleo, ovvero alla applicabilità della disciplina agevolativa per gli immobili vincolati e se essi siano da considerare come beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, donde possono essere trattati congiuntamente e sono infondati, per le medesime ragioni sopra esposte ai §§ I.1. -I.3., soprapponendosi al primo motivo di cui al ricorso rgn. 12447/2017.
VIII.3. Il terzo motivo attiene allo ius superveniens in tema di sanzioni ed alla diretta applicazione del regime più favorevole alla parte contribuente.
Il motivo assolve gli oneri di completezza ed ammissibilità secondo i criteri espressi da questa Corte, laddove indica espressamente la variazione normativa nonché il concreto vantaggio che ne trarrebbe il contribuente dalla sua corretta applicazione.
Infatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello “ius superveniens”, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta) (cfr. Cass. V, n. 19286/2020).
Rappresentando un vantaggio fiscale analiticamente indicato, il motivo è quindi fondato e merita accoglimento, la sentenza deve essere cassata limitatamente a questo profilo con rinvio al giudice di merito perché ricalcoli le sanzioni dovute.
IX. In conclusione, quanto al giudizio rgn. 12447/2017 il ricorso principale è infondato e va rigettato, mentre è fondato il ricorso incidentale, donde la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito; il ricorso rgn. 25455/2018 è infondato e dev’essere rigettato, mentre il ricorso rgn. 31213/2020 è fondato e merita accoglimento, donde la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito; il ricorso rgn. 15418/2021 è infondato e dev’essere rigettato, così come il ricorso rgn. 24003/2021.
IX.1 In ogni caso il giudice di rinvio dovrà tenere conto dello ius superveniens in tema di sanzioni.
In quella sede, il giudice del rinvio valuterà altresì l’ invocata applicabilità dell’ art. 12, comma 5, del D. Lgs. n. 472 del 1997 (il quale così dispone: «Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi d’imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in sèguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate»), avuto riguardo anche alla disposizione recata dal comma 6 del citato art. 12 del D. Lgs. n. 472 del 1997 ( secondo la quale «il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione») e considerato che, in àmbito tributario, a differenza di quanto avviene in sede penale, la constatazione dell’illecito costituisce il punto di arresto per il riconoscimento della continuazione, con la conseguenza che tutto ciò che si pone a monte di tale atto (se della stessa indole) deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione; per contro, quel che è a valle resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscere, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, un’autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto (cfr. Cass. n. 16017/2021).
PQM
La Corte riunisce al giudizio rgn. 12447/2017 i ricorsi rgnn. 25455/2018, 31213/2020, 15418/2021, 24003/2021.
Rigetta i motivi posti a fondamento del ricorso principale rgn. 12447/2017, del ricorso rgn. 15418/2021, del ricorso rgn. 24003/2021 e del ricorso rgn. 25455/2018.
Accoglie il ricorso incidentale sub rgn. 12447/2017, nonché il ricorso rgn. 31213/2020, cassa le sentenze impugnate in relazioni ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Lazio, in diversa composizione.
Altresì pronunciando sui ricorsi tutti riuniti, cassa le sentenze impugnate in relazione ai rispettivi capi relativi alle sanzioni e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Lazio, in diversa composizione, cui demanda la regolazione delle spese di lite relative ai giudizi tutti di legittimità qui riuniti.
Così deciso in Roma, il 23/02/2024.