Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31203 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31203 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE sedente in Roma, in persona del legale rappresentante, con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – resistente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 1211/20/15 depositata il 4 marzo 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.L’Ente ricorrente, presentava istanza di rimborso per l’anno 2005, chiedendo la restituzione delle somme versate in eccedenza avendo erroneamente inserito nella dichiarazione il corrispettivo delle locazioni degli immobili storici posseduti, pari ad € 1.143.436,00, anziché la minor somma derivante dall’applicazione dell’art. 11, l. n. 413/1991 (c.d. ‘rendita figurativa’), pari invece ad € 42.076,00.
Immobili storici locati da ente previdenziale -Enpam – Redditi fondiari -Oneri probatori -* Principio di diritto
La CTP rigettava il ricorso, e la CTR, adìta dal contribuente in grado d’appello, confermava la sentenza di primo grado, da cui il ricorso in cassazione dell’ENPAM, basato su due motivi. L’Agenzia si è limitata a depositare un atto denominato di ‘costituzione’ volto alla partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
Il ricorrente deposita successivamente memoria illustrativa
CONSIDERATO CHE
1.Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 11, l. n. 413/1991, 43 e 90, TUIR, sostenendosi che erroneamente i giudici di merito ebbero a ritenere che i redditi da locazione di immobili di interesse storico ed artistico oggetto di impresa non sono soggetti alla disciplina richiamata. Ritiene infatti l’Ente ricorrente che quello proprio degli immobili in esame è una ‘sorta di regime tributario sostitutivo’ senza alcun rapporto con il valore locativo reale del bene stesso, e si applica, come si esprime la norma ‘in ogni caso’.
2.Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione delle stesse disposizioni di cui al motivo precedente nonché degli artt. 112 e 132, cod. proc. civ., laddove i giudici di merito hanno ritenuto che l’ENPAM svolgesse un’attività commerciale e gli immobili in questione fossero ‘oggetto di impresa’, laddove l’Ente costituisce un ente previdenziale non commerciale, cioè una fondazione disciplinata dalla l. n. 537/1993, con il compito istituzionale di riversare le entrate agli iscritti sotto forma di pensioni e altre forme di assistenza. Sul punto sussisterebbe altresì giudicato esterno costituito dalla sentenza della CTR Roma n. 6698/14/15 che affermava la suddetta natura non commerciale dell’Ente e quella conseguentemente meramente fondiaria del reddito da locazione. La sentenza era stata peraltro impugnata in cassazione ma limitatamente all’asserita tardività dell’istanza di rimborso (annualità IRES 2004), con conseguente passaggio in giudicato della natura dei redditi.
3 . Il primo motivo è infondato, poiché ‘I canoni derivanti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 1089 del 1939, che siano oggetto dell’attività dell’impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del relativo reddito secondo i criteri ordinari, atteso che l’art. 11, comma 2, della l. n. 413 del 1991 si riferisce al solo reddito fondiario in quanto i costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili, giustificazione, quest’ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che, a differenza di quanto avviene per i redditi fondiari, sono deducibili. motivi, attesa la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati’ (cfr. Cass. 8164/2019).
Da quanto precede si ricava il piano principio per cui l’agevolazione in parola non si applica al caso in cui la locazione di immobili storicoartistici venga effettuata nell’ambito di un’attività imprenditoriale, in cui appunto il locatore beneficia già della possibilità di scontare dal ricavo i costi e tra essi gli oneri di manutenzione del bene in esame; mentre riguarda esclusivamente i soggetti che non svolgano l’attività a titolo imprenditoriale ma di mero godimento del bene.
Il secondo motivo risulta invece fondato.
L’eccezione pregiudiziale di giudicato è infondata. Questa Corte, con sentenza n. 35249/2022 ha respinto il ricorso proposto dall’Agenzia avverso la sopra citata sentenza della CTR, intervenuta fra le stesse parti, con la quale -con riferimento ad un diverso anno d’imposta ha stabilito che ‘l’Amministrazione aveva errato nell’assoggettare gli immobili in questione al regime impositivo ordinario di cui al Titolo I del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sul presupposto del fatto che si trattava di immobili d’impresa locati, e perciò di «beni strumentali o beni-merce», e non di beni
patrimoniali suscettibili di applicazione del regime agevolativo; e ciò in quanto la Fondazione, priva di scopi commerciali, non ricade nella disciplina che concerne le imprese e può così usufruire del beneficio fiscale invocato’.
In proposito non può ritenersi che il giudicato su una singola ma diversa annualità possa riverberarsi anche su annualità differenti, com’è in questo caso, ove l’elemento asseritamente comune sia costituito dal reddito da locazione, la cui qualificazione dipende dal concreto atteggiarsi per ogni singolo esercizio dell’attività svolta dall’ente
Invero, in tema di IRPEG, ove le fondazioni bancarie costituite ai sensi della l. n. 218 del 1990 e del d.lgs. n. 356 del 1990 intendano beneficiare dell’aliquota ridotta della metà prevista dall’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 601 del 1973 debbono provare, in ossequio all’art. 2697 c.c., di avere concretamente svolto per l’anno di imposta rilevante, in via esclusiva o prevalente, attività di promozione sociale e culturale senza fini di lucro, anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie, dovendosi conseguentemente escludere che la sentenza passata in giudicato che abbia riconosciuto (o negato) alla fondazione il diritto alla suddetta agevolazione per un determinato periodo d’imposta faccia stato nella controversia concernente il riconoscimento della stessa riduzione per una diversa annualità, atteso che la spettanza del beneficio dipende dalla concreta attività svolta ciascun anno e non discende da uno “status” personale o dall’astratta qualità dell’attività svolta dall’ente (Cass. 16906/2020).
4.1. Ciò detto, la decisione impugnata fa malgoverno delle disposizioni in esame.
Invero la CTR assume all’evidenza che la locazione degli immobili in parola da parte della Fondazione ricorrente costituisca attività d’impresa, laddove essa proprio per essere esercitata da un ente previdenziale che riveste la natura di fondazione e dunque di
soggetto non imprenditore -è invece pienamente compatibile con lo scopo di mero godimento, per cui i relativi canoni costituiscono reddito fondiario pienamente soggetto pro tempore alla disciplina beneficiaria di cui alla l. n. 413/91.
Invero la natura di attività d’impresa circa la gestione e locazione di immobili -da parte di un ente che ha invece natura istituzionalmente non imprenditoriale ma di gestione della previdenza obbligatoria per i medici, in condizioni di equilibrio di bilancio (art. 2, comma 2, d.lgs. n. 509/1994), come stabilito dall’art. 21, d.l. c.p.s. n. 233/1946, e sotto la vigilanza del ministero del lavoro come previsto dagli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 509/1994, essendo vincolata nei fini e nell’attività dal disposto dell’art. 1, comma 3, d.lgs. cit., destinando tra l’altro anche i proventi delle locazioni proprio ai trattamenti previdenziali che ha in carico -dev’essere dimostrata dall’amministrazione finanziaria che intende far valere la stessa a fini di imposizione fiscale.
A tali conclusioni non osta la giurisprudenza in tema di fondazioni bancarie, per le quali vale il diverso principio per cui le stesse, quali enti di gestione della quota maggioritaria del capitale delle aziende di credito conferite in apposite società per azioni ai sensi del d.lgs. n. 356 del 1990, non possono essere assimilate agli enti ed istituti aventi finalità generali di assistenza, beneficenza, istruzione e cultura, ai quali l’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 riconosce il beneficio della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG. L’esistenza, in capo a tali fondazioni, di una presunzione di esercizio di impresa bancaria comporta, infatti, che esse, ove intendano beneficiare dell’agevolazione fiscale prevista dall’art. 6 cit., devono fornire la prova, in applicazione della regola generale prevista dall’art. 2697 c.c., di aver svolto, in via esclusiva o prevalente, un’attività di promozione sociale e culturale senza fini di lucro, in luogo di quella, prevista dal legislatore, di controllo e governo delle partecipazioni bancarie (Cass. 7882/2016).
Come si vede la differenza strutturale tra le due situazioni è fondata sia dalla genesi delle fondazioni bancarie, succedute per legge a enti creditizi, sia dal fatto che le stesse gestiscono e controllano in via principale ed istituzionale, in base alle disposizioni di legge, le partecipazioni ad istituti di credito; laddove l’ente previdenziale è succeduto ad un ente pubblico non economico, e come già faceva quest’ultimo, gestisce ed eroga per legge prestazioni previdenziali obbligatorie.
La differenza è ovviamente rilevante ai fini della presente controversia, poiché laddove i beni di rilevanza storico-artistica siano strumentali ad un’attività d’impresa i relativi proventi non possono fruire del regime agevolato (dato che in regime d’impresa i costi si deducono integralmente dai ricavi, come ricordato al precedente paragrafo), mentre la medesima tipologia di beni se non strumentali ad attività imprenditoriale, potendo essere qualificati come redditi fondiari, fruiscono del suddetto trattamento. Poiché nella specie, per quanto premesso, l’RAGIONE_SOCIALE deve qualificarsi come a tutti gli effetti ente non commerciale, non avendo l’amministrazione dimostrato la natura imprenditoriale dell’attività in oggetto, deve concludersi per la natura fondiaria dei redditi e la conseguente piena applicabilità della disciplina agevolatrice invocata dalla ricorrente.
4.2. Va dunque affermato il seguente principio di diritto:
‘La natura imprenditoriale dell’attività di gestione e locazione di immobili da parte di un ente della previdenza obbligatoria, in particolare l’ENPAM, avendo esso natura istituzionalmente non imprenditoriale e svolgendo attività vincolata nei fini dalla legge, in condizioni di equilibrio di bilancio, destinando i proventi alle prestazioni previdenziali che ha in carico e operando sotto la vigilanza dell’autorità governativa, deve essere oggetto di prova da parte dell’amministrazione che la assuma, dovendosi invece in difetto ritenere che i relativi proventi costituiscano redditi di natura
fondiaria per cui, ove gli immobili rivestano interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 3 della l. n. 1089 del 1939 (oggi art. 10 d.lgs. n. 42/2004), essi rientrano nella disciplina agevolatrice -ratione temporis applicabile di cui all’art. 11 della l. n. 413/1991’ . A tanto non osta la giurisprudenza (Cass. 7882/2016) in tema di fondazioni bancarie, poiché queste ultime, in quanto per legge enti di gestione, controllo e governo della quota maggioritaria del capitale delle aziende di credito conferite in apposite società per azioni ai sensi del d.lgs. n. 356 del 1990, non possono essere assimilate agli enti ed istituti aventi finalità generali di assistenza, beneficenza, istruzione e cultura, operando quindi una presunzione di esercizio di impresa bancaria ed incombendo loro, in applicazione della regola generale prevista dall’art. 2697 c.c., la prova di aver svolto, in via esclusiva o prevalente, un’attività di promozione sociale e culturale senza fini di lucro, in luogo di quella, prevista dal legislatore, di controllo e governo delle partecipazioni bancarie.
5 . L’accoglimento del motivo determina la cassazione della sentenza impugnata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., deve essere accolta la domanda introduttiva.
Le spese seguono la soccombenza dell’Agenzia.
P. Q. M.
La Corte in accoglimento del secondo motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie la domanda introduttiva del ricorrente.
Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese che liquida in € 10.000,00, oltre rimborso forfettario nel 15 % dell’onorario, iva e cpa, ed oltre esborsi per € 200,00 .
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024