Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27012 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27012 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7276/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, in qualità di curatore del RAGIONE_SOCIALE n. 101/2018 della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
NOME, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE)
-controricorrente- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4137/2019 depositata il 09/07/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito Il P.G., nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi i difensori delle parti che si sono riportati ai rispettivi scritti difensivi.
FATTI DI CAUSA
1.La società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ impugnava gli avvisi di accertamento per le annualità di imposta 2010-2011 (ICI) concernenti unità immobiliari sottoposte dapprima a sequestri e successivamente ad ordinanze di demolizione non eseguite. Sosteneva di aver calcolato l’imposta comunale sugli immobili considerando non il valore catastale degli stessi, ma il valore dell’area parzialmente edificabile, soggiungendo che la presentazione della domanda di condono edilizio era subordinata all’iscrizione nel Catasto edilizio dei cespiti.
I giudici di prossimità respingevano il ricorso della società con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio che così motivava:« i predetti avvisi di accertamento trovano legittimità nella disciplina dell’art. 1 d.lgs. n. 504/1992 la quale individua il presupposto di imposta nel possesso dei fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, in continuità con gli artt. 2 e 5 che disciplinano la procedura e la base imponibile in caso di demolizione del fabbricato…».
RAGIONE_SOCIALE della menzionata società ricorre avverso la sentenza n. 4137/2019 della CTR del Lazio, svolgendo sei motivi, illustrati nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.
Replica con controricorso Roma Capitale.
Il Procuratore generale, nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
La prima censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deduce ,
avendo il decidente trascurato di considerare che l’ordine di demolizione aveva sottratto agli immobili il valore commerciale ed al proprietario la possibilità di utilizzazione dei cespiti, errando là dove si legge, nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata, che l’iscrizione in catasto delle unità immobiliari era presupposto sufficiente -unitamente alla disponibilità dei beni da parte del proprietario – per legittimare la pretesa erariale del Comune. In altri termini, ad avviso della RAGIONE_SOCIALE, in presenza dell’ordine di demolizione, ai fini Ici doveva essere considerata esclusivamente l’area di sedime. Aggiungendo che l’effetto traslativo delle opere abusive e dell’area di sedime si determina ipso iure alla scadenza del termine per ottemperare alla ingiunzione di demolizione.
Con il secondo mezzo di ricorso, non meglio rubricato, si deduce , affermandosi che la mera iscrizione in catasto degli immobili abusivi non rappresenta elemento sufficiente per attribuire loro l’agibilità che, nel caso di specie, il Comune non aveva invece conferito. In particolare, venendo in considerazione immobili abusivi «oggetto di provvedimento di diniego della domanda di condono», e per i quali non era stato rilasciato il certificato di agibilità -gli stessi non avrebbero potuto considerarsi come «suscettibili di produrre reddito»
Al terzo mezzo di ricorso, che reca la medesima rubrica del precedente motivo, si lamenta l’erronea applicazione della normativa in materia, prospettando un’assimilazione dell’opera abusiva assoggettata ad ordine amministrativo di demolizione al che acquista rilevanza fiscale solo al momento della ultimazione dei lavori. La RAGIONE_SOCIALE invoca l’applicazione dell’art. 13 d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, a mente del quale la base imponibile è costituita dal valore dell’area considerata fabbricabile senza computare il valore del fabbricato in corso
d’opera. Si sostiene che l’errore consiste nel non avere la Commissione tributaria regionale considerato che l’ordinanza comunale di acquisizione costituisce atto dichiarativo e ricognitivo di un effetto ablatorio che si determina ope legis per l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, da cui discende l’erronea individuazione del bene oggetto di imposta -area fabbricabile ovvero immobile da demolire -e quindi la falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 504/1992
Con il quarto strumento di ricorso, non meglio rubricato, si denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la decisione impugnata per errore di diritto originato dalla inadeguata valutazione dell’ingiunzione n. 62528/2012 emesso dal Comune di Roma a seguito della quale il possesso è divenuto precario, essendosi determinato l’effetto ablatorio che si determina ope legis per l’inottemperanza all’ordine di demolizione. Aggiungendo che il proprietario poteva disporre solo del diritto sull’area fabbricabile gravato dall’ordine di demolizione degli immobili abusivi.
Il quinto mezzo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., reca la denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e di travisamento dei fatti, deducendo la ricorrente che l’interpretazione data dall’Ente impositore alla disciplina dell’IMU si poneva in contrasto con quella offerta dall’amministrazione finanziaria (con la risoluzione n. 395/e/2008) alla cui stregua dovevano ritenersi imponibili l’area edificabile e non anche gli immobili oggetto di demolizione; conseguendo, pertanto, un’obiettiva incertezza normativa quanto all’individuazione del la base imponibile cui si correla la disapplicazione delle sanzioni (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8), ed anche in ragione dell’affidamento riposto rispetto alle indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria (l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2).
Il sesto mezzo di ricorso -proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. -denuncia difetto di forma in relazione alla mancata pronuncia su più motivi di ricorso. In particolare, si obietta di aver eccepito la carente motivazione (dell’avviso), l’errata applicazione dell’art. 53 Cost., nonché la carenza del contraddittorio e l’inapplicabilità delle sanzioni per incertezza normativa.
7.La prima e la quinta censura sono inammissibili per violazione dell’art. 348-ter ultimo comma, c.p.c. stante il rigetto dell’appello statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 28.02.2023, n. 5947; Cass. del 20/09/2023, n. 26934; Cass. 12/05/2025, n. 12636).
7.1. In proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Il secondo mezzo di ricorso non ha pregio.
8.1.Come ripetutamente precisato dalla Corte, per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi, ai sensi del d.lgs. n. 504 del
1992, art. 2, comma 1, lett. a), l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del r.d.l. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673). L’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio urbano costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924).
8.2. In particolare, questa Corte ha sottolineato che per considerare dei fabbricati inagibili/inabitabili, di fatto non utilizzati, si deve tener conto dei requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e quindi nello specifico gli immobili devono presentare un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023; Cass. n. 29966 del 19/11/2019). L’inagibilità (che consente la riduzione d’imposta) è correlata alla temporanea impossibilità di utilizzo dell’immobile e non va intesa come qualità giuridica superabile con il rilascio del certificato di abitabilità (secondo Cass. n. 5372/2009 «…il rilascio del certificato di abitabilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, del citato decreto, che si riferisce
esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati»; conf. Cass. n. 12936/2019; Cass. n. 1955/2024).
8.3.D’altra parte, la riduzione dell’ ICI o dell’ IMU per la mancanza del certificato di abitabilità dei fabbricati, non trova fondamento in quanto tale certificazione non attesta alcuna agibilità, bensì l’idoneità igienico -sanitario tale da consentirne l’uso; l’imposta è, quindi, dovuta per il solo fatto che si sia provveduto all’accatastamento, restando estranea alla sfera attinente al rapporto tributario tutto quanto afferisce alla effettiva abitabilità del bene stesso ovvero alle sue caratteristiche urbanistiche o igienicosanitarie.
8.4. Non possono, dunque, assimilarsi gli immobili affetti da difformità edilizia a quelli inagibili, come adombrato dalla società, esigendo, su tal inedito presupposto, una tassazione ridotta nella misura del 50%, in quanto la legge non richiede fra i presupposti dell’imposta la regolarità urbanistica dell’immobile né l’abitabilità dello stesso (Cass., 26 giugno 2025; Cass., 18/01/2024, n. 1955; Cass. 22.04.2024, n. 363; Cass. n. 21644; 3 maggio 2019, n. 11646 cit.; Cass., Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 5 marzo 2009, n. 5372; Cass., 15 aprile 2005, n. 7905), né la dedotta difformità urbanistica è equiparata dalla normativa di settore agli immobili inagibili.
8.5.Discende, quale corollario di tale premessa, che la , predicata e nemmeno dimostrata dal Curatore, non elide il presupposto dell’imposta costituito dalla mera titolarità del diritto reale e dall’iscrizione in catasto come fabbricato, fino a quando non intervenga un evento traslativo della proprietà (come la confisca) o una modifica sostanziale dello stato di fatto (acquisto a titolo originario quale effetto ex lege dell’inerzia del proprietario rispetto all’ordine di demolizione) che faccia venir
meno la titolarità del fabbricato. Di conseguenza, l’idea che la base imponibile debba essere il valore dell’area di sedime è confutata dal principio che, finché esiste un fabbricato (anche se limitato nella sua disponibilità o uso), la tassazione si basa su di esso (sulla sua rendita catastale, se accatastato) e non sul valore del terreno sottostante come se fosse un’area edificabile separata e priva di sovrastrutture.
Il terzo strumento di ricorso è parimenti infondato.
9.1.Deve escludersi che, nel caso in rassegna, si discuta di immobili in corso d’opera (da ricostruire o da restaurare) ex art. 5, comma 6, d.lgs n. 504/1992 ovvero di immobili inagibili, come allude la curatela ricorrente, non consentendo il riferimento a generici ordini di demolizione che avrebbero attinto gli immobili di proprietà della società in una epoca imprecisata -e forse successiva alle annualità di imposta per cui è controversia -l’applicazione della summenzionata normativa che disciplina una fattispecie del tutto eterogena (Cass. n. 6040/2023; Cass. 15 /06/2025, n. 15976 con riferimento all’IMU).
9.2. Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che l’applicazione della disposizione di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 6 (cui rinvia il d.l. n. 201 del 2011, cit., art. 13, comma 3, quanto all’IMU), necessariamente presuppone la realizzazione dell’intervento edilizio cui si correla il relativo criterio di determinazione della base imponibile e, dunque, l’utilizzazione edificatoria, la demolizione del fabbricato e la esecuzione degli «interventi di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457» (ora d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3) – così che la rideterminazione della base imponibile del tributo (secondo il valore dell’area) è destinata ad operare «fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla
data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato.» (v. Cass., 7 giugno 2017, n. 14111).
9.3.Per di più, la Corte ha statuito -con riferimento all’ICI i cui dati di regolazione sono però riferibili anche all’IMU – che «gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla legge secondo criteri di certezza e tassatività, e con riferimento unicamente al possesso di tre ben definite tipologie di beni immobili costituiti da fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, così che «nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato …; … la base imponibile è invece costituita dal valore dell’area, considerata fabbricabile, allorquando nell’anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell’area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi della legge n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e) (comma 6)», così che l’area di insistenza del fabbricato non è autonomamente tassabile quale area edificabile in quanto la fattispecie impositiva, così ricavata, «non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile … diversamente ragionando, si verrebbe ad inammissibilmente introdurre nell’ordinamento – in via interpretativa – un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, costituito appunto dall’area edificata» (cfr. Cass., 19 luglio 2017, n. 17815 cui adde Cass., 12 luglio 2021, n. 19809; Cass., 28 marzo 2019, n. 8620; Cass., 11 ottobre 2017, n. 23801; v., altresì, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3282; Cass. n. 21664/2025).
9.4. Nella fattispecie, come si evince dalla trama argomentativa della decisione impugnata, non ricorrono i presupposti di applicabilità della disposizione evocata dalla ricorrente (art. 5, comma 6, cit.), disposizione, ancorata alla demolizionericostruzione del fabbricato, che non può pertanto essere equiparata all a disciplina di cui all’art . 7 legge 28 febbraio 1985, n.
47 che regola le conseguenze legali del l’inosservanza all’ ordinanza comunale di demolizione dell’immobile che presenta difformità urbanistiche.
9.5. In conclusione, l’iscrizione ovvero l’iscrivibilità di un fabbricato al catasto è una condizione sufficiente per assoggettare l’immobile all’imposta comunale, a prescindere dalla regolarità urbanistica del cespite, in quanto fabbricati teoricamente iscrivibili in catasto (Cassazione, sentenza n. 8197/2021, in tema di immobili condonati; Cass. n. 12221/2022; Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924).
La quarta censura non supera il vaglio di ammissibilità.
10.1.Osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 c.p.c. (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Cass. 30/07/2024, n. 21346); siffatto onere, peraltro, sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte. Tali principi hanno ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa
Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali hanno affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007; Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008; Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011).
10.2. Rimane, in ogni caso, pur sempre fermo che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non sia interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022.
10.3.Nella violazione di tali principi deve ritenersi incorso il ricorrente con i motivi d’impugnazione in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente disatteso la valenza dei provvedimenti amministrativi e giudiziari concernenti cespiti di proprietà della società, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti la loro incidenza sull’imposta applicata, con ciò precludendo a questa Corte la
possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti. Inoltre, l’esposizione del i fatti risulta essere sommamente generica ed assertiva, trascurando la curatela di indicare quali e quanti immobili identificati catastalmente di proprietà della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sono stati soggetti a tassazione ed incisi dai provvedimenti amministrativi genericamente citati, occorrendo, invece, che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ..
11.L’ultima doglianza, veicolata attraverso il vizio di cui al n. 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., lamenta l’omesso esame su eccezioni non meglio specificate, genericamente riprodotte quali , senza illustrare il loro contenuto ovvero in che modo siano ravvisabili le violazioni approssimativamente denunciate, censure che non risultano nemmeno sintetim delineate nella stessa esposizione dei fatti di causa.
11.1. In particolare, dal testo della sentenza risulta che in primo grado era stata chiesta l’applicazione dell’imposta agevolata nella misura del 50% in virtù di una non meglio specificata ‘inagibilità’ dei fabbricati, esclusa dal Collegio d’appello, che dunque sulla questione si è pronunciata.
11.2. Quanto alle altre censure in merito alle quali si lamenta l’omesso esame da parte della Corte distrettuale, in mancanza di una loro menzione nella sentenza impugnata, era onere del
ricorrente trascriverle nel ricorso, onde consentire alla Corte, da un lato, di verificare che le questioni prospettate non fossero “nuove” e – come tali – inammissibili (Cass. 31/01/2006, n. 2140; Cass. del 20/08/2015, n. 17049; Cass. 15/03/2019, n. 7536, non mass.), dall’altro di valutare la fondatezza dei motivi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte. 11.3. Non avendo il ricorrente compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso i motivi di cui si lamenta l’omesso esame, la censura in disamina va ritenuta inammissibile, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..
11.4. L’unica censura dedotta quanto meno in appello -menzionata nella decisione impugnata ma non esaminata -concernente l’incertezza normativa per avere la Risoluzione n. 395/e/2008 ritenuto che, nella fattispecie esaminata, si trattasse di area edificabile, non può trovare accoglimento.
11.5.La risoluzione concerne la plusvalenza di una cessione di area ritenuta dall’amministrazione in quella particolare fattispecie sottoposta al suo esame – “un’area da considerarsi fabbricabile in quanto utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.
11.6. L’obiettiva incertezza normativa non può dunque essere inferita da una risoluzione dell’amministrazione finanziaria in risposta ad un preciso quesito del contribuente relativa ad altra imposta e ad una differente fattispecie.
11.7. Per costante orientamento della Suprema Corte, «in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, postula una condizione di inevitabile
incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere -dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (così, da ultimo Cass. n. 15144 del 06/06/2025; Cass. n. 2604 del 29/01/2024; Cass. n. 10662 del 04/05/2018: Cass. n. 23845 del 23/11/2016; conf. Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 3245 del 11/02/2013; Cass. n. 18434 del 26/10/2012). Sul decalogo non esaustivo degli indici interpretativi da cui desumere l’incertezza normativa si veda, ex plurimus, Cass. n. 21936 del 2 agosto 2024;Cass. 1/02/2019, n, 3108.
11.8. Nel caso in esame, parte ricorrente non ha neppure indicato le norme la cui incertezza l’hanno indotta a non dichiarare gli immobili ed omettere il versamento della relativa imposta, designando esclusivamente, quale unico indice da cui inferire una generica incertezza normativa, la risposta data dall’Agenzia all’interpello, proposto ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000, in relazione alla cessione di fabbricati e terreni rientranti in un piano di recupero ai fini dell’accertamento delle plusvalenze ex art.67, comma 1, del TUIR.
11.9. Ebbene, in disparte l’eterogeneità dell’imposta e della fattispecie oggetto della risposta dell’ente finanziario, come ribadito da questa Corte, la risposta all’interpello fornita dall’Agenzia è vincolante solo ed esclusivamente nei confronti del soggetto che ha presentato l’istanza (Cass. 9719/2018) e non ha, quindi, un valore generale, non producendo effetti nei confronti di tutti gli altri contribuenti, né in casi analoghi relativi a soggetti diversi da chi ha proposto l’interpello (Cass. n. 8740/2021).
11.10.Ne consegue che la risposta all’interpello concernente imposta diversa da quella comunale, altro contribuente e
addirittura differente fattispecie concreta non può in alcun modo causare una incertezza normativa che, nella fattispecie, è, comunque, da escludersi in considerazione del chiaro tenore letterale delle norme invocate in materia di decorrenza degli effetti dell’ordine di demolizione non assolto (rispetto alle annualità di imposta oggetto dell’avviso opposto ).
12. In definitiva, vanno dichiarati inammissibili il primo, il quarto, il quinto e l’ultimo motivo del ricorso per cassazione, respinti il secondo ed il terzo mezzo.
Le spese del presente giudizio seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara l’inammissibilità del primo, del quarto, del quinto e dell’ultimo motivo di ricorso, respinti il secondo ed il terzo mezzo.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune di Roma che liquida in euro 8.300,00 per compensi, 200,00 euro per esborsi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge;
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione del 17.09. 2025.
Il Consigliere rel.
NOME COGNOME
Il PRESIDENTE NOME COGNOME