Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4294 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ICI RIDUZIONE -IMMOBILE INTERESSE STORICO ARTISTICO -PROPRIETÀ PUBBLICA RICONOSCIMENTO VALORE DICHIARATIVO
sul ricorso iscritto al n. 11440/2022 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede in Roma, alla INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) dell’Avvocatura della Banca.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI AGRIGENTO (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore , dr. NOME COGNOME autorizzato a costituirsi nel presente giudizio con determinazione sindacale n. 45 del 19 maggio 2022, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale e nomina poste in calce al
contro
ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 9436/3/2021 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, depositata il 25 ottobre 2021, non notificata.
UDITA la relazione della causa svolta all’udienza camerale del 15 novembre 2024, dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è il diniego di rimborso indicato in atti, con cui il Comune di Agrigento negava il diritto alla restituzione della somma versata dalla Banca d’Italia a titolo di Ici per gli anni d’imposta 2006/2009, ritenuta dalla contribuente essere stata corrisposta in misura eccedente quella dovuta, in ragione dell’intervenuta dichiarazione di interesse storico culturale del bene oggetto di tassazione, giusta decreto della Regione Sicilia del 9 aprile 2010.
Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l’appello avanzato dalla Banca d’Italia contro la sentenza n. 2235/1/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, prendendo atto dell’epoca (9 aprile 2010, con notifica eseguita il 29 aprile 2010) del predetto provvedimento di ufficializzazione del vincolo storico, richiamando, poi, il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 6636/2019), secondo cui in tema di ICI, il regime agevolativo, previsto dall’art. 2, comma 2, d.l. n. 16/1993, per gli immobili di proprietà privata riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 1089/1939, si applica solo a far data dalla notifica del provvedimento impositivo del vincolo che ha natura costitutiva e non meramente cognitiva.
Per tale via, la Commissione, con valutazione assorbente rispetto ad ogni altra questione, negava il diritto al rimborso, considerando che il citato provvedimento di riconoscimento del predetto status all’immobile tassato era intervenuto in epoca successiva agli anni di imposta in oggetto.
Avverso tale sentenza la Banca d’Italia proponeva ricorso per cassazione, notificandolo il 22 aprile 2022, formulando due motivi di impugnazione.
Il Comune di Agrigento resisteva con controricorso notificato in data 1° giugno 2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la contribuente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1 d.P.R. 25 febbraio 2016 (Statuto della Banca d’Italia), 19 della legge n. 262/2005, 4 della legge n. 5/2014, 2, comma 5, d.l. 16/1993 (convertito con modd. nella legge n. 75/1993 ( ratione temporis vigente e poi abrogato dall’art. 4, comma 5ter , d.l. n. 16/2012, convertito con modd. dalla legge n. 44/2012), 5, commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 504/1992 e degli artt. 10 e 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La ricorrente ha rimproverato al Giudice regionale l’ error juris commesso nella parte in cui ha ritenuto che la Banca d’Italia non potesse godere del beneficio in questione, benché l’istituto sia un ente pubblico non economico, come stabilito dal suo statuto, dall’art. 19, comma 2, della legge n. 262/2005 e 4, comma 1, d.l. n. 133/2013 e come riconosciuto da consolidata giurisprudenza di legittimità, con la conseguente natura meramente ricognitiva della dichiarazione e verifica prevista dagli artt. 10 e 12 d.lgs. 42/2004.
Per tale via, l’istante, nel dare atto che la Commissione regionale aveva impostato la propria valutazione sulla corretta premessa secondo cui la proprietà pubblica gode sempre del regime agevolato assicurato ai beni avente interesse storico e culturale, ha poi considerato errata la valutazione successiva nella parte in cui ha negato il beneficio nella implicita, quanto chiara, supposizione che la Banca d’Italia fosse un soggetto privato.
Con la seconda doglianza la ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2, comma 5, d.l. 16/1993 (convertito con modd. nella legge n. 75/1993 ( ratione temporis vigente e poi abrogato dall’art. 4, comma 5 -ter , d.l. n. 16/2021, convertito con modd. dalla legge n. 44/2012), 5, commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 504/1992 e degli artt. 10 e 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La ricorrente ha contestato al Giudice territoriale di aver applicato alla Banca d’Italia le regole relative alla proprietà privata e non già a quella pubblica, sottolineando, sotto tale profilo, l’errore di sussunzione della fattispecie concreta in relazione a quella astratta, aggiungendo che il provvedimento di verifica dell’interesse culturale di cui all’articolo 12, comma 2, del Codice dei beni culturali non può avere effetti costitutivi, posto che lo stesso si esaurisce in una verifica tecnica dell’interesse culturale, la cui presenza comporta automaticamente l’assoggettamento del bene a regime dei beni culturali, come chiarito dall’articolo 10 del menzionato Codice, secondo il quale che sono beni culturali ipso iure , senza necessità di alcun atto di dichiarazione di riconoscimento, le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni o altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente o istituto pubblico.
Ancora, l’Istituto ha rappresentato come la tesi della natura meramente dichiarativa della verifica dicui all’art. 12 del predetto Codice, nell’ipotesi di beni appartenenti agli enti pubblici, sia totalitaria nella giurisprudenza di legittimità, citando, sul punto, una serie di pronunce relative a ipotesi concernenti immobili di proprietà della Banca d’Italia.
L’esame dei due motivi va sviluppato congiuntamente, in quanto -all’evidenza connessi nella dedotta violazione delle suindicate disposizioni.
La questione concernente l’applicabilità del beneficio fiscale in questione è stato oggetto di varie pronunce di questa Corte, anche in fattispecie di immobili appartenenti alla Banca d’Italia, per cui, in assenza di persuasivi argomenti contrari, va in tale sede ribadito quanto segue, comunque rinviando ai più ampi contenuti delle sentenze citate.
Va premesso che la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico, secondo l’espressa indicazione dell’art. 20 R.D. 12 marzo 1936, n. 375, ribadita anche dall’art. 19, comma 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 262. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 16751/2006, cui adde , tra le altre, Cass., Sez. T., n. 11664/2017 e Cass., Sez. T., n. 19878/2016).
In tema di ICI, per il patrimonio culturale di proprietà pubblica è previsto un sistema di tutela reale, in quanto vige la presunzione d’interesse storico artistico di tali beni di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, senza necessità di un preesistente formale provvedimento amministrativo, atteso che, pur richiedendo l’effettiva sussistenza dell’interesse culturale del bene una verifica a cura del Ministero competente, il provvedimento positivo così adottato ha carattere meramente ricognitivo, in funzione
dell’assolvimento di esigenze di certezza dei rapporti giuridici, in specie quelli di natura tributaria.
Il d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) non ha abrogato il testo unico in materia di beni culturali e ambientali previsto dal d.lgs. n. 490/1999 ed ha inciso sulla disciplina contenuta nella legge n. 1089/1939, introducendo, per quanto qui interessa, un sistema di tutela misto a seconda che si tratti di beni, ovviamente sempre di rilievo culturale, di proprietà privata oppure di proprietà pubblica, nel senso che la proprietà pubblica gode sempre delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre la proprietà privata ne usufruisce solo allorquando sul bene sia intervenuta una dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, da parte della Soprintendenza.
In altri termini, il diverso regime tra il patrimonio culturale di proprietà pubblica e quello di proprietà privata (che ripete la precedente distinzione tra le fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 1089/1938) si giustifica per il fatto che per i beni di proprietà privata vige un sistema di tutela del solo patrimonio culturale dichiarato, nel senso che essi godono di tutela solo in presenza della dichiarazione di interesse culturale prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 42/2004, rilasciata dalle competenti autorità, che ne attesti il valore storico e archeologico, sicché per tali beni non è sufficiente la presenza del ricordato “interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico”, così come previsto per i beni di proprietà pubblica, ma occorre che questo interesse venga dichiarato formalmente seguendo la procedure di cui all’art. 14 d.lgs. n. 42/2004.
L’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, infatti, prevede che siano da considerarsi beni culturali, ai fini del godimento della tutela codicistica, le cose mobili o immobili appartenenti allo Stato, alle
Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici, che presentino un semplice “interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico.
Il provvedimento emesso – d’ufficio o su istanza dei soggetti a cui le cose appartengono – dall’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, si limita alla verifica, mediante atto di natura meramente “ricognitiva”, della effettiva sussistenza dell’interesse culturale dei beni mobili o immobili indicati all’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, che costituiscano opere di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni se mobile o ad oltre settanta anni se immobile, appartenenti al patrimonio di proprietà pubblica (così Cass., Sez. T, n. 11664/2017, che richiama Cass., Sez. T, n. 19878/2016 pure resa nei confronti della Banca d’Italia; nello stesso senso, Cass., Sez. T, 25947/2017; Cass., Sez. T, n. 16818/2021; Cass., Sez. II, n. 28792/2023).
7. Va dato conto che la stessa pronuncia menzionata dal Giudice regionale (Cass. n. 6636/2019) si è espressa nel medesimo senso, ricordando che « questa Corte ha, poi, avuto modo di affermare il principio secondo cui il riconoscimento delle cose di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, che si estrinseca a mezzo del provvedimento di notifica, è previsto per le sole cose di proprietà privata, al fine di assoggettarle alle limitazioni e agli obblighi della legislazione di tutela (L. n. 1089 del 1939, art. 3), laddove per i beni che appartengono agli enti pubblici è sufficiente la mera appartenenza alle categorie storica, artistica, archeologica, essendo solo previsto l’obbligo dei legali rappresentanti degli enti della compilazione degli speciali elenchi (L. n. 1089 del 1939, art. 4 ) con effetti meramente ricognitivi e non già costitutivi (Cass. n. 2995 del 10/02/2006)» (così Cass. n. 6636/2019).
Privo di pregio è il riferimento operato dalla difesa del Comune alla pronuncia della Corte costituzionale n. 345/2003, avendo questa Corte chiarito che il Giudice delle leggi con detta sentenza « ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui la norma non si applica agli immobili di interesse storico o artistico appartenenti agli enti pubblici» ed «ha affermato la natura meramente ricognitiva dell’inclusione dei beni stessi negli elenchi ministeriali, avendo osservato come l’esigenza di certezza nei rapporti tributari cui assolve il provvedimento formale previsto dalla L. n. 1089 del 1939, art. 3 (che, secondo un diffuso orientamento interpretativo, potrebbe mancare per i beni di cui all’art. 4) ben può essere soddisfatta, per i beni appartenenti agli enti pubblici (o alle persone giuridiche private senza fini di lucro), dalla loro inclusione negli elenchi di cui allo stesso art. 4 della legge ovvero da un atto dell’amministrazione dei beni culturali ricognitivo dell’interesse storico o artistico del bene» (così Cass., Sez. n. 25947/2017, pure resa nei confronti di Banca d’Italia).
Deriva da quanto precede che l’applicabilità del beneficio fiscale previsto dall’art. 2, comma 5, d.l. n. 16/1993 cit. per gli immobili di interesse storico o artistico di cui all’art. 4 della stessa legge, e successive modifiche, appartenenti ad uno dei soggetti oggi individuati dall’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, è imposta dalla compresenza del positivo provvedimento della Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali del 9 aprile 2010, ricognitivo della sussistenza dell’interesse storico-artistico del fabbricato oggetto di tassazione, e della appartenenza del bene alla Banca d’Italia, che è un istituto di diritto pubblico regolato da norme nazionali ed europee.
La impugnata sentenza merita, in conclusione, di essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo della Sicilia -in diversa composizione – la quale provvederà al riesame della controversia, attenendosi al principio sopra enunciato, esaminando le questioni dichiarate assorbite e provvedendo a liquidare anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -in diversa composizione – anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 15 novembre 2024.