Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32181 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32181 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13878/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI NAPOLI, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME (NDRNTN72E22I163X) e NOME (CMUNLS65S45F839J)
-controricorrente-
nonchè
contro
COMUNE DI NAPOLI AREA ENTRATE SERVIZI RISCOSSIONE E CONTENZIOSO
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 8382/2021 depositata il 26/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.I signori NOME COGNOME ed NOME COGNOME, in data primo luglio 2014, inviavano al Comune di Napoli la dichiarazione ai sensi del d. P.R. n. 445 del 2000 con la quale, sulla scorta di una perizia tecnica, rappresentavano che i locali di loro proprietà, siti in INDIRIZZO erano inagibili e inabitabili, chiedendo quindi la riduzione dell’imposta municipale propria. In data 8 ottobre 2015, i locali furono poi oggetto di sequestro da parte dei carabinieri di Napoli, in quanto vi era stato un tentativo di occupazione da parte di alcuni senzatetto. Il Comune di Napoli notificava ai proprietari un avviso di pagamento dell’imposta municipale relativa alle annualità dal 2014 al 2017 senza applicare la riduzione richiesta per l’inagibilità.
Detti avvisi venivano impugnati dai proprietari dinanzi alla CTP di Napoli. I Giudici di prossimità, con sentenza n. 12499 del 2019 rigettavano il ricorso dei contribuenti. Sull’appello del solo NOME COGNOME, la Commissione tributaria regionale per la Campania, con sentenza n. 8382 del 2021, nel confermare la decisione di primo grado respingeva il gravame; in particolare il collegio d’appello statuiva che .
Ricorre NOME COGNOME per la cassazione della predetta sentenza, svolgendo quattro motivi. Replica con controricorso il Comune di Napoli.
MOTIVI DI DIRITTO
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1.Con il primo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 3, lettera b) del d.l. n. 201 del 2011 in relazione all’art. 360 primo comma, n. 3) c. p.c.; per avere il giudici del gravame respinto l’appello in violazione della norma rubricata, la quale stabilisce che . Gli immobili di proprietà dei ricorrenti sono inabitabili dal 2002, tant’è che alcun contratto di locazione è stato stipulato successivamente a detta data; si afferma che il fabbricato era palesemente inagibile alla luce della perizia prodotta dall’architetto COGNOME, non essendo utilizzato da anni e non producendo alcun reddito, tant’è che è stato riconosciuto come unità collabente.
2.Con la seconda censura sì denuncia la nullità della sentenza per violazione degli articoli 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 546 del 1992, nonché degli articoli 132 c.p.c. e 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c.; i giudici di appello non hanno valutato i rilievi contenuti nell’atto di impugnazione tant’è che la motivazione è sovrapponibile a quella emessa dai giudici di primo grado. Si obietta che la decisione impugnata è affetta da grave anomalia motivazionale per non avere il decidente valutato i motivi svolti con l’atto di appello dai contribuenti.
3. Il terzo strumento di ricorso deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 260, primo comma, n. 5) c.p.c. In particolare, si sostiene che il giudice non avrebbe considerato la mancanza di sicurezza statica del fabbricato risultante dalla perizia di parte laddove emerge che il manto impermeabilizzante risulta in più punti inadatto a svolgere la sua funzione protettiva e che su tutte le facciate vi sono efflorescenze diffuse, l’armatura scoperta e arrugginita e ridotta dello spessore, con conseguente pregiudizio per l’idoneità statica del manufatto. Si afferma che il regolamento comunale all’art. 5, comma 9, prevede l’inagibilità o inabitabilità di un immobile ai fini della riduzione del pagamento dell’Imu laddove sussistono i presupposti di cui all’art. 31, lettera c) e 2 del d.P.R. n. 457 del 1978, il quale, a sua volta, prevede per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente sono così definiti: interventi di restauro e risanamento conservativo rivolti a conservare l’organismo edilizio assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili( consolidamento, ripristino e rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, inserimento di impianti..); nonché interventi di ristrutturazione edilizia rivolti a trasformare gli organismi gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Dalla lettura di dette norme risulterebbe che lo stato in cui si trovavano i locali, come certificato dalla perizia in atto, necessitavano di interventi strutturali cospicui che giustificavano la riduzione dell’imposta. Del resto, la Commissione tribunale regionale della Campania, con altra sentenza n. 1419 del 2022, aveva reso decisione favorevole in favore di NOME COGNOME comproprietario del medesimo fabbricato, riconoscendo l’idoneità statica del manufatto.
4.Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 13, comma 3, lettera b), nel d.l. n. 201 del 2011, convertito con legge n. 44 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.; il giudice di appello non ha tenuto conto che la situazione di degrado era peraltro conosciuta dal Comune di Napoli, in quanto nel 2015 i carabinieri avevano sequestrato parte del fabbricato per un’occupazione abusiva e, del resto, i contribuenti avevano inoltrato al Comune la dichiarazione ai fini della riduzione con allegata perizia.
Discostandosi dall’ordine di prospettazione dei motivi in ricorso, è opportuno esaminare con priorità la seconda censura.
Emerge dalla sentenza della CTR : ‘ Alla luce della consulenza tecnica presentata e delle fotografie allegate, le caratteristiche indicate nel regolamento comunale, ai fini del riconoscimento della inagibilità, non sussistono. Né, d’altro canto, può assumere rilievo la circostanza, evidenziata dal contribuente, secondo cui l’immobile sarebbe stato adibito per anni ad edificio scolastico, sicché, venuta meno questa destinazione d’uso per effetto della scelta della Provincia di delocalizzare l’istituto, si renderebbero necessari radicali interventi di ristrutturazione per adibirlo ad un diverso utilizzo. Una tale considerazione, infatti, non è condivisibile perché finisce per confondere le attuali condizioni dell’immobile (rilevanti ai fini della valutazione sulla inagibilità), con l’esigenza di intervenire radicalmente sulle stesse per riconvertire l’edificio ad altra finalità.. ‘ (Cfr pg. 3 sentenza CTR).
5.1.Non consta un’apparenza motivazionale, bensì un percorso argomentativo che ben lascia cogliere la ratio decidendi con riferimento alla insussistenza dei presupposti per usufruire della riduzione rivendicata. Il percorso argomentativo è comprensibile e intellegibile. Come chiarito ancor di recente da questa Corte ‘In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto
dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito’ (v. Cass. 3819 del 2020). È stato messo, inoltre, in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016) che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture(cfr Cass.ne civile sez. VI, 01/03/2022, n.6758), apparenza motivazionale che, nel caso di specie non è configurabile.
6.Laddove, poi, la seconda doglianza lamenta genericamente l’omessa pronuncia in merito ai motivi di appello, essa si rivela inammissibile.
6.1.Risulta pacifico il principio secondo cui «affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia (ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ.) è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde
consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca l’omessa pronuncia sui motivi di gravame, la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agi atti della fase di merito -dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad ria oro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. n. 21926 del 2015; Cass. n. 15367 del 2014; Cass. n. 2872/2021; Cass. n. 29952/2022; Cass. n. 16899 del 13/06/2023); onere non assolto dal contribuente con il ricorso per cassazione.
La prima censura non supera il vaglio di ammissibilità.
7.1. Le critiche articolate dalla difesa del ricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimità. Esse, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata la vicenda (cfr. Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2019, n. 33373).Nella sostanza, trattasi di doglianze che mirano ad un inammissibile riesame degli insindacabili apprezzamenti di merito e la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’erroneo accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn.
11775/2019, 68062/2019; S.U. 25573/2020; Cass.n. 36718 del 25/11/2021).
7.2.Esse si risolvono, in effetti, al di là dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito e non è, pertanto, inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. né nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016, n. 16056). Non emerge, dal ricorso in esame, inoltre, la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con la loro interpretazione, come stabilito da consolidato orientamento di questa Corte (Cass., 02/03/2018, n. 5001; Cass., 12/01/2016, n. 287; Cass., 20/08/2015, n. 17060).
7.3.Il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., non comprende, com’è noto, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa in
quanto esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (e nei limiti in cui essa è consentita dalla «novellazione» del testo del n. 5 del medesimo art. 360 cod. proc. civ.)(Cass. 16 febbraio 2017, n. 4125; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).
La terza censura intercetta il divieto della cd. ai sensi dell’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320). Anzi, le doglianze del contribuente si incentrano sulla circostanza che il giudice d’appello ha deciso in modo analogo ai primi giudici, senza considerare le argomentazioni dedotte con il ricorso in appello. Né va sottaciuto che non costituiscono ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass. del 18/10/2018, n. 26305; Cass. del 06/09/2019, n. 22397;) ovvero gli elementi istruttori o gli elementi indiziari oppure una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‘vario insieme dei materiali di causa’ (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. -quarto strumento di ricorso -, appare utile richiamare la decisione della Corte, sia pure in materia di imposta sui rifiuti (TARI), con la
quale si è affermato il principio per cui se è vero che è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, ciò non di meno grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale.’ (Cass. n. 22130/2017; n. 38985/2021). Peraltro, si osserva che difetta la violazione denunciata, atteso che il giudicante ha valutato la documentazione offerta (ed allegata alla dichiarazione originaria) dai contribuenti concludendo che essa non rivelasse una situazione di inagibilità.
Questa Corte ha, di poi, reiteratamente affermato che, nel processo tributario, la perizia stragiudiziale, come pure le perizie estimative, prodotte, singolarmente o nel contesto di scritti difensivi, dal contribuente o da organi tecnici dell’amministrazione, hanno contenuto di allegazione difensiva a contenuto tecnico (Cass.Civ., 29 settembre 2017, n. 22965; Cass.Civ., 11 novembre 2011, n. 23590; Cass.Civ., 1 aprile 2016, n. 6351; Cass.Civ., 19 ottobre 2016, n. 21132; Cass.Civ. Sez.Un., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass.Civ., 24 agosto 2017, n. 20347); essa non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito (ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto) (Cass.19 maggio 1997, n. 4437; Cass. n.33503/2018; Cass. n. 34450/2022; Cass. 9 aprile 2018, n. 8621).
Sotto altro profilo, la censura – che investe, inammissibilmente, l’apprezzamento della prova -è proposta come violazione dell’art.2697 c.c. e dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 c.p.c., e non ai sensi dell’art. 115 c.p.c..
Questa Corte ha, però, chiarito che solo attraverso la deduzione della violazione dell’art 115 c.p.c. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” può denunciarsi che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (Cass. Sez. 3, sent. 10/06/2016 n. 11892; Cass. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. 31 agosto 2020, n. 18092; Cass.n. 2980/2023). Ove si deduca, poi, che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30/09/2020, n. 20867), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. 12/10/2017 n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598) o di inconciliabilità logica (Cass.. 25 giugno 2018, n. 16111), tali da rendere le sue “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3/11/2016 n.22232, nonché, più di recente, Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. Sez. 3, ord. 17/11/2021, n. 34786).
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono il criterio della soccombenza.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alle refusione delle spese di lite sostenute dal Comune che liquida in euro 6.000,00,per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza camerale della Sezione