Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21247 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21247 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
inammissibilità della deduzione in appello, ponendo -di contro -in evidenza che sin dal ricorso di primo grado la ricorrente aveva « sostenuto che trattasi di ‘immobile ‘fantasma’» (v. pagina n. 8 del ricorso), reiterando tale contestazione anche in grado di appello e rimarcando, a riprova di tanto, che per lo stesso non era possibile « rinvenire nell’atto gli estremi catastali identificativi) sito in Maddaloni alla INDIRIZZO ‘ » (così alle pagine nn. 8 e 9 del ricorso).
2 Con la seconda censura, l’istante ha contestato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 62, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., contestando la valutazione del Giudice regionale in ordine alla motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, ponendo in evidenza l’assoluta genericità dello stesso nell’individuazione dello stesso, stante la mancata indicazione dei dati catastali, non avendo così posto la contribuente nelle condizioni di comprendere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, censurando sul punto la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha posto sulla ricorrente l’onere di provare l’assenza del presupposto impositivo ovvero l’insussistenza del deposito o la sua riconducibilità nella titolarità e/o detenzione della ricorrente.
Con la terza doglianza la contribuente ha lamentato, in relazione al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 62, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nonchè degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. e. 132, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., assumendo che nella specie non era stato accertato il presupposto impositivo della tassa, consistente nell’occupazione del locale e nella sua compiuta individuazione tramite i relativi identificativi dati catastali.
Con la quarta ragione di impugnazione la ricorrente ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. dell’art. 2697 cod. civ., contestando alla Commissione di non aver esaminato la documentazione prodotta dalla quale emergeva che l’attività della ricorrente aveva sede alla INDIRIZZO
Libertà, come da contratto di locazione registrato, ove svolgeva l’attività commerciale in locale di consistente superficie (mq. 170), comprensivo di ufficio e deposito merce.
Il ricorso non può essere accolto. Di seguito le ragioni.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione, va subito osservato che non assume alcuna incidenza ai fini che occupano, né la ricorrente ne ha chiarito la rilevanza, la circostanza secondo cui l’atto impositivo era stato notificato all’istante nella qualità di legale rappresentante dell’omonima impresa RAGIONE_SOCIALE e che erroneamente il Giudice regionale lo avrebbe considerato a carico sia della persona che dell’impresa RAGIONE_SOCIALE.
All’impresa RAGIONE_SOCIALE, difatti, non può essere riconosciuta alcuna soggettività o autonoma imputabilità, diversa da quella del suo imprenditore e dunque non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto quello processuale (cfr., tra le tante, Cass., Sez. L., 13 febbraio 2006, n. 3052; Cass., Sez. III, 17 gennaio 2007, n. 977; Cass., Sez. V, 30 maggio 2007, n. 12757; Cass., Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 28888; Cass. Sez. III, 19 aprile 2010. N. 9260; Cass. Sez. III, 19 aprile 2014, n. 19735).
Correttamente, quindi, la Commissione ha considerato la pretesa riferibile anche alla persona fisica.
6.1. Va ancora precisato, sul piano dei principi, che la locuzione ‘immobile fantasma’ indica la situazione giuridica di un’unità immobiliare materialmente esistente, ma non accatastato.
Tale condizione non esclude, tuttavia, il recupero del prelievo sui rifiuti qualora si tratti di immobili effettivamente utilizzati dal proprietario o comunque suscettibili di essere utilizzati, giacchè, in tali casi, sussiste il presupposto di applicazione del prelievo, vale a dire la proprietà il possesso o la detenzione del bene, ai sensi degli artt. 62, comma 1 e 63, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507.
6.2. Il nucleo concettuale del primo motivo di censura riposa sul rilievo secondo il quale già con il ricorso originario era stato dedotto che l’avviso di accertamento non poteva ad avere ad oggetto «un immobile ‘fantasma’ (ovvero un immobile per il quale non è possibile rinvenire nell’atto gli estremi catastali identificativi) » (v. pagina n. 8 del ricorso), per cui erroneamente la Commissione avrebbe ritenuto nuova la contestazione, in sede di gravame, circa l’esistenza della citata unità immobiliare e quindi della proprietà, il possesso o la detenzione della stessa.
Senonchè, come sopra anticipato, il mero riferimento ad un ‘immobile fantasma’, per come rappresentato nel ricorso in esame, non può equivalere all’allegazione dell’inesistenza in rerum natura del bene e, quindi, a negare il possesso o la detenzione dello stesso, giacchè il predetto rilievo è idoneo solo a significare che l’unità immobiliare non era iscritta in catasto, come desumibile dal fatto che i relativi dati non sono stati riportati nell’avviso impugnato.
Correttamente, dunque, la Commissione ha ritenuto che « la protesta che al piano terra dell’edificio in INDIRIZZO a Maddaloni INDIRIZZO) non esisterebbe alcun deposito di 220 mq e comunque esso non sarebbe di proprietà o quantomeno nella disponibilità di NOME COGNOME o della RAGIONE_SOCIALE, rappresenta un motivo nuovo inammissibile in appello » (v. pagina n. 5 della sentenza impugnata).
Vanno respinti anche il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi.
Con tali censure, l’istante ha lamentato che la mancata identificazione del bene tramite i suoi dati avrebbe, in primo luogo, reso l’avviso del tutto generico sul piano della motivazione, aggiungendo che l’ente impositore e la concessionaria non avrebbero, comunque, assolto all’onere, loro imposto, di dimostrare il presupposto impositivo della tassa richiesta, e cioè l’esistenza del deposito e poi la sua riconducibilità al possesso e/o alla detenzione in capo alla contribuente.
Senonchè, dal contenuto dell’avviso, opportunamente scansionato dalla ricorrente, emerge che l’immobile in questione è stato indentificato tramite la sua ubicazione (INDIRIZZO, in Maddaloni), la sua destinazione (deposito generico) e consistenza (mq. 220), elementi questi idonei ad individuare il bene oggetto di tassazione, anche senza l’indicazione dei dati catastali, a quanto risulta non esistenti, trattandosi di immobile ‘fantasma’.
L’avviso, sotto tale profilo, risulta motivato, mentre, il diverso tema della prova dell’esistenza del bene e, quindi, del presupposto impositivo della tassa è stata ritenuta acquisita dal Giudice regionale in base al principio di non contestazione da parte della contribuente, avendo ritenuto che l’istante, con l’originario ricorso, non avesse mosso rilievi circa la realtà fisica e la detenzione dell’unità immobiliare (deposito) in oggetto, implicitamente dedotti nell’atto impositivo, reputando inammissibile tale nuova deduzione in grado appello, peraltro aggiungendo la Commissione che « la contribuente avrebbe facilmente potuto dimostrare l’inesistenza del deposito al INDIRIZZO INDIRIZZO o la sua proprietà o disponibilità in capo a terzi estranei, semplicemente esibendo una copia del registro dell’anagrafe condominiale prevista dall’art. 1130 cod. civ. ».
Va dichiarato assorbito nelle riflessioni che precedono, l’esame del quarto motivo di impugnazione, con cui la contribuente ha contestato la valutazione della Commissione nella parte in cui ha ritenuto dimostrata l’esistenza del deposito ed il citato presupposto in via deduttiva, in ragione dell’attività imprenditoriale dalla medesima svolta.
Si è trattato infatti di una motivazione ulteriore, aggiuntiva, come risulta dall’ incipit «Sia consentito aggiungere» (v. pagina n. 5 della sentenza), effettivamente basata su di un ragionamento ipotetico (oltre agli uffici siti prima in De Chollet e poi in INDIRIZZO, la ricorrente «doveva sicuramente disporre di un adeguato deposito per le merci altrimenti non si comprende proprio come potesse esercitare sin dal 20/7/2006 il RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE di articoli industriali e bulloneria e viteria standard e speciale » ( v. pagina 5 della sentenza), la cui
opinabilità, sul piano giuridico, nulla muta sull’altra automa ratio decisoria, basata sulla non contestazione (in primo grado e sulla inammissibilità della nuova contestazione in secondo grado) circa l’esistenza del deposito e la sua riconducibilità al possesso e/o alla detenzione della ricorrente.
Alla stregua delle valutazioni che precedono il ricorso va respinto.
La mancata costituzione delle controparti esime dal regolare le spese di giudizio.
11.Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2024.