Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22280 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22280 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ICI FABBRICATO INAGIBILE -BASE IMPONIBILE AREA FABBRICABILE
sul ricorso iscritto al n. 16601/2022 del ruolo generale, proposto
DA
il RAGIONE_SOCIALE CAGLIARI (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco in carica pro tempore, AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
– RICORRENTE –
CONTRO
NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nata a Cagliari il DATA_NASCITA ed ivi residente in INDIRIZZO, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE), con studio (RAGIONE_SOCIALE), sito in Roma, alla INDIRIZZO.
per la cassazione della sentenza n. 874/1/2021 della Commissione tributaria regionale della Sardegna, depositata il 29 dicembre 2021, non notificata;
UDITA la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME all’udienza camerale del 29 febbraio 2024.
RILEVATO CHE:
oggetto di controversia sono gli avvisi di accertamento indicati in atti con il Comune di Cagliari liquidava l’ICI per gli anni 2009/2010 e 2011 in relazione ad un fabbricato in condizioni fatiscenti, in proprietà indivisa tra NOME e NOME, sito in Cagliari, INDIRIZZO, in catasto al folio 19, p.lla 105, sub. 1-2-34-56, considerando quale base imponibile il valore dell’area qualificata edificabile,
la Commissione regionale decidendo sugli appelli, riuniti, avverso le sentenze nn. 132/4/2016, 997/1/2017, 221/4/2018 e 222/4/2018 della Commissione tributaria provinciale di Cagliari, accoglieva i gravami ed annullava gli avvisi di accertamento impugnati « limitatamente alla riqualificazione dell’immobile sito in Cagliari INDIRIZZO (censito al Catasti fabbricati di detto Comune al Foglio 19, particella 105) come terreno edificabile» (v. pagina n. 5 della sentenza impugnata);
2.1. il Giudice regionale perveniva a tale soluzione sulla scorta della pacifica sussistenza dei suddetti fabbricati, per quanto inagibili, e sulla base giurisprudenza di legittimità secondo cui gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla legge secondo criteri di certezza e tassatività, precisando, quindi, che «il fabbricato iscritto in categoria catastale F/2 non cessa di essere tale solo perché collabente e privo di rendita, poiché lo stato di rovina ed improduttività di reddito non fa perdere all’immobile, fino all’eventuale sua completa demolizione, la natura di fabbricato. Ne consegue che, non essendo tassabile l’immobile collabente,
l’imposizione ICI non potrebbe essere giustificata dall’amministrazione comunale facendo ricorso ad una base imponibile diversa, come quella attribuibile all’area di insistenza del fabbricato, giacché non si tratta di un’area edificabile, ma di un’area già edificata. L’ente impositore, quindi, ha, nella sostanza, introdotto nell’ordinamento in via interpretativa un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, rappresentato dall’area edificata, equiparando impropriamente l’ipotesi dell’area risultante dalla demolizione di un rudere, regolata dall’articolo 5, comma 6, del d.lgs. n. 504 del 1992, a quella dell’immobile dichiarato inagibile, ma non demolito (sul punto Cass. sz. 5, n. 4308 del 2020) (cfr. Cass. 8622/2019). In assenza di rendita, viene meno la base imponibile, non potendosi sostenere che l’Ici dovrebbe colpire l’area di insistenza del fabbricato medesimo» (v. pagine nn. 3 e 4 della sentenza impugnata);
2.2. il Giudice d’appello ha, quindi, aggiunto che « nel caso che qui interessa, è incontestato il fatto che le unità immobiliari in oggetto fossero iscritte in catasto prima del 28/1/2014 – data a partire dalla quale ne fu variata la destinazione in unità collabenti nel modo seguente: Categoria C6 autorimessa (sub. 1); Cat. A3 Abitazione (sub. 2); Categoria A3 Abitazione (sub. 3); Cat. C2 Magazzino (sub. 4); Categoria A3 Abitazione (sub 5 e sub. 6)», considerando quindi illegittima la riqualificazione come terreno edificabile del predetto fabbricato.
con ricorso notificato in data 28/29 giugno 2022 il Comune di Cagliari proponeva ricorso per cassazione avverso detta pronuncia sulla base di due motivi;
resisteva con controricorso notificato il 2 settembre 2022 NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso il Comune ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.,
l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata impugnazione dei regolamenti comunali ICI (artt. 8, comma 1 e 5, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 22/2008, in vigore sino al 31 dicembre 2009 e 12, commi 1 e 5, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 36/2010, in vigore del 1° gennaio 2010), come rappresentato nella memoria depositata in grado appello, secondo cui, in caso di inagibilità/inabilità ed inutilizzabilità perdurante per oltre due anni dei fabbricati, era fatto obbligo al soggetto passivo d’imposta di provvedere alla denuncia catastale per l’attribuzione ai propri immobili del classamento di unità collabenti e, decorso tale termine biennale, l’ente impositore avrebbe considerato comunque collabenti le unità immobiliari; il tutto, con la conseguenza che l’eventuale rendita catastale rimasta in atti, per omessa presentazione della prescritta variazione catastale, non avrebbe costituito più valido parametro per la determinazione dell’imponibile ICI, che sarebbe stato sottoposto a stima del servizio tributi sulla base del valore di mercato delle medesime unità immobiliari;
con la seconda censura l’ente territoriale ha eccepito, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 5 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, assumendo che ai predetti, fatiscenti, beni era stato attribuito un valore imponibile corrispondente a quello dell’area di sedime, atteso che dal 1993 (e quindi da oltre due anni) essi non corrispondevano più ai parametri del classamento catastale in atti, reputando, quindi, erronea la decisione impugnata, in quanto non coerente con le accertate condizioni di fatto del bene e con la prescrizione di cui all’art. 5 d.lgs. citato, finendo con il legittimare un comportamento delle controparti in violazione di legge, stante il mancato adeguamento dell’evidenza catastale alla realtà di fatto, così consentendo una elusione di imposta dovuta.
il ricorso non può essere accolto, subito archiviando le eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione e di giudicato sollevate dalla difesa della contribuente;
3.1. il ricorso è, infatti, ammissibile, in quanto consente di comprendere la vicenda sostanziale e processuale e, quindi, l’oggetto del contendere e le ragioni di critica, di natura giuridica, alla pronuncia impugnata, così come anche sul versante della autosufficienza, per quanto rileva in relazione alla dedotta violazione delle norme regolamentari, va osservato che è stato riportato il contenuto essenziale di tali atti, il che è sufficiente per ritenere integrato il suddetto requisito formale; e ciò, tenendo conto dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 secondo detto requisito non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. T., 7 marzo 2023, n. 6782, che richiama Cass., Sez. un., n. 8950 del 2022);
3.2. non può, sotto altro versante, invocarsi il giudicato formatosi a favore della comproprietaria, NOME, a seguito della mancata impugnazione da parte del Comune della sentenza oggetto di esame che ha annullato gli avvisi emessi per la medesima imposta, in relazione allo stesso fabbricato ed i medesimi anni di imposta, giacchè la pretesa dell’Ufficio si è rivolta contro le contribuenti (NOME e NOME) in relazione alla rispettive quote di possesso dei beni, dando luogo a giudizi diversi, successivamente riuniti, per cui tra il procedimento proposto da NOME COGNOME e quello avanzato dalla ricorrente non ricorre l’identità di parti, il che preclude, nonostante la comunanza delle questioni di fatto e di diritto, la possibilità di invocare il giudicato maturato a favore della comproprietaria, non operando nemmeno la regola dell’art. 1306, secondo comma, cod. proc. civ. (che consente ai condebitori in solido di opporre al creditore il giudicato intervenuto nel giudizio tra questi e un altro condebitore solidale), non
sussistendo il vincolo di solidarietà (cfr. Cass., Sez. T., 15 luglio 2020, n. 15026 e la giurisprudenza ivi richiamata);
4. il ricorso va rigettato per i seguenti motivi;
5. la prima censura risulta articolata secondo il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per l’omessa valutazione dei contenuti dei regolamenti comunali, ma non par dubbio che il predetto parametro sia stato erroneamente richiamato, giacchè il vizio in questione è l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti», dove per «fatto», secondo pacifica acquisizione, deve intendersi non una «questione» o un «punto», ma: i ) un vero e proprio «fatto», in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un «fatto» costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii ) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015); iii ) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv ) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); non costituiscono, invece, «fatti», il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ.: a ) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b ) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); c ) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della «domanda» in sede di gravame
(v. Cass. n. 22786 del 2018, citata con le altre, da ultimo, da Cass., Sez. III, 7 giugno 2023, n. 18318);
5.1. a tutto voler concedere, nemmeno sussiste la dedotta omessa considerazione delle citate disposizioni regolamentari, dovendo sul punto osservarsi che la valutazione della Commissione regionale si è sviluppata attraverso la chiara, seppure non espressa, disapplicazione delle citate disposizioni regolamentari nella parte in cui ha citato la giurisprudenza del Giudice di legittimità, precisando – giova ripeterlo che « l’imposizione ICI non potrebbe essere giustificata dall’amministrazione comunale facendo ricorso ad una base imponibile diversa, come quella attribuibile all’area di insistenza del fabbricato, giacché non si tratta di un’area edificabile, ma di un’area già edificata. L’ente impositore, quindi, ha, nella sostanza, introdotto nell’ordinamento in via interpretativa un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, rappresentato dall’area edificata, equiparando impropriamente l’ipotesi dell’area risultante dalla demolizione di un rudere, regolata dall’articolo 5, comma 6, del d.lgs. n. 504 del 1992, a quella dell’immobile dichiarato inagibile, ma non demolito (sul punto Cass. sz. 5, n. 4308 del 2020) (cfr. Cass. 8622/2019) » (v. pagine nn. 3 e 4 della sentenza impugnata);
5.2. «la disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, infatti, non richiede una espressa pronuncia, potendo anche essere l’effetto di una sentenza la quale consideri l’atto amministrativo tamquam non esset , sul presupposto implicito della violazione ad opera dello stesso, di diritti soggettivi» (cfr. Cass., Sez. II, 30 dicembre 2004, n. 24178) ed in tale direzione il Giudice regionale, con l’enunciazione degli illustrati principi di diritto ha, di fatto, disapplicato le menzionate previsioni regolamentari, peraltro in termini condivisibili alla luce delle osservazioni che seguono;
il secondo motivo deve considerare formulato ai sensi dell’art. 360 primo comma, num. 3, cod. proc. civ. (come indicato nella seconda pagina del ricorso), essendo chiaro il vizio dedotto
(l’asserita violazione degli artt. 2 e 5 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) e dovendo considerarsi ascrivibile ad un mero lapsus calami il riferimento al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. contenuto nella successiva parte del ricorso; anche tale censura risulta infondata;
6.1. va premesso sul punto che le ragioni della pretesa fiscale in esame poggiano sui citati contenuti del regolamento, avendo il Comune attribuito ai fabbricati in questione un valore imponibile corrispondente a quello dell’area di sedime, ritenuta edificabile, atteso che la riduzione di imposta prevista per immobili inagibili poteva essere riconosciuta, secondo citato regolamento, per un periodo non superiore a due anni, essendo tenuto il titolare dei beni a riclassificarli come collabenti, ove non si fosse provveduto al necessario ripristino entro il citato termine biennale; quindi, il Comune con gli atti impositivi in esame non ha più riconosciuto la riduzione del 50% dell’ammontare dovuto sulla base dell’imponibile catastale prevista per gli immobili inagibili, ma, preso atto del decorso del menzionato termine biennale, ha considerato le unità immobiliari collabenti e non più applicabile la rendita catastale in atti per stabilire l’imponibile ai fini ICI, provvedendo, quindi, a rideterminare tale rendita considerando l’area come edificabile;
6.2. senonchè, correttamente il Giudice regionale ha ritenuto tale imposizione illegittima sulla scorta della citata giurisprudenza di questa Corte, che il motivo di censura non induce a rimeditare, dovendo ribadirsi che la sussistenza dei predetti fabbricati, per quanto inagibili, non può consentire, per fictio , di considerare area fabbricabile un’area già edificata, in modo da giustificare l’imposizione ICI su di una base imponibile diversa, perché ciò comporterebbe l’introduzione, in via interpretativa, di un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta (l’area edificata), equiparando impropriamente ipotesi diverse (come quella dell’area risultante dalla demolizione di un rudere, regolata dall’articolo 5, comma 6, del d.lgs. n. 504 del 1992, a quella dell’immobile dichiarato inagibile, ma non demolito);
6.3. in termini del tutto singolari il Comune ha tassato l’area di sedime dei citati fabbricati come area edificabile, considerando le unità immobiliari collabenti (prima ancora del loro formale accatastamento nella categoria F/2, avvenuto nel 2014), senza però trarre le dovute conseguenze derivanti da tale configurazione, ma determinando, impropriamente ed inammissibilmente per quanto sopra esposto, la base imponibile ai fini ICI surrettiziamente considerando l’area (edificata) come fabbricabile;
6.4. per tale via, la pretesa del Comune si è posta in ulteriore contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il fabbricato (accatastato come) unità collabente, oltre a non essere tassabile ai fini dell’ICI come fabbricato, in quanto privo di rendita, non lo è neppure come area edificabile, salvo che l’eventuale demolizione restituisca autonomia all’area fabbricabile che, solo da quel momento, è soggetta a imposizione come tale, fino al subentro della imposta sul fabbricato ricostruito (Cass., Sez. 5^, 19 luglio 2017, n. 17815; Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2018, n. 7653; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2019, n. 3282; Cass., Sez. 50^, 28 marzo 2019, nn. 8620, 8621 e 8622); difatti, l’attribuzione di questa categoria presuppone che il fabbricato si trovi in uno stato di degrado tale da comportarne l’oggettiva incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio e, per tale ragione, l’iscrizione in catasto avviene senza attribuzione di rendita ed al fine «della sola descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”», ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. b, del d.m. 2 gennaio 1998, n. 28 (Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2010, n. 4308); in assenza di rendita, però, viene meno – secondo l’art. 5 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 – la stessa materia determinativa della base imponibile» (cfr. Cass., Sez. T., 11 luglio 2023, n. 19646);
6.5. paradossalmente, dunque, il Comune ha utilizzato la qualificazione dei beni come collabenti per tassare l’area di sedime come area fabbricabile, laddove la giurisprudenza di questa Corte esclude gli immobili collabenti dall’imposizione Ici perchè privi di rendita;
6.6. alla stregua di tali valutazioni, l’intero ricorso va rigettato;
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e di liquidano nella misura indicata in dispositivo;
va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Cagliari al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore di NOME COGNOME nella misura di 2.500,00 € per competenze, oltre accessori e 200,00 € di spese vive.
Dà dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024.