Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34483 Anno 2019
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34483 Anno 2019
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/12/2019
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14141/2015 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno n. 10283/05/14, depositata il 26 novembre 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2019 dal Cons. NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza n. 10283/05/14 del 26/11/2014, la Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 715/05/12 della Commissione tributaria provinciale di Avellino (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relativo all’anno d’imposta 2007.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento traeva origine da un processo verbale di constatazione redatto dall’Agenzia delle dogane di Benevento, dal quale si evinceva che Unitech: a) non aveva mai presentato le dichiarazioni annuali e aveva omesso ogni versamento; b) aveva effettuato acquisti intracomunitari e cessioni per rilevanti importi; c) aveva omesso di presentare gli elenchi intrastat; d) non aveva esibito le scritture contabili. L’Ufficio recuperava, pertanto, a tassazione maggiori ricavi, applicando la percentuale di ricarico del venti per cento sugli acquisti intracomunitari non registrati e non dichiarati.
1.2. La CTR rigettava l’appello di RAGIONE_SOCIALE evidenziando che: a) «l’amministratore unico pro tempore, NOME COGNOME in carica nell’anno oggetto di accertamento, era formalmente e sostanzialmente il rappresentante legale della società e, come tale, ha agito in nome e per conto di quest’ultima, della quale era, tra l’altro, socio al 90%», con la conseguenza che non poteva ritenersi che le operazioni contrattuali poste in essere dall’amministratore fossero finalizzate alla realizzazione di un suo esclusivo interesse,
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essendosi la società avvantaggiata «dalla abusiva condotta del proprio apicale»; b) le violazioni fiscali commesse dall’amministratore erano, pertanto, imputabili alla società, che ne doveva rispondere; c) l’appellante non aveva provato l’errore in cui sarebbe incorso l’Ufficio nell’applicare una percentuale di ricarico del venti per cento sugli acquisti; d) la società era responsabile anche per le sanzioni alla stessa comminate.
2. Unitech impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso Unitech deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 72 e 73 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell’art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 1 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dell’art. 53 Cost., dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. nella I. 24 novembre 2003, n. 326, dell’art. 5 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e degli artt. 1388, 1389, 1394, 1398 e 2384 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che l’imputazione dei rapporti instaurati dall’amministratore alla GLYPH GLYPH GLYPHgiuridicoGLYPH sfera GLYPH patrimoniale della società trova comunque il suo limite nelle acclarate situazioni di conflitto di interesse e di eccesso di potere per violazione di legge e/o dell’oggetto sociale, situazioni che inibiscono la produzione degli effetti propri del rapporto di immedesimazione organica.
2. Con il secondo motivo di ricorso, involgente l’aspetto sanzionatorio, si deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e degli artt. 1388, 1389, 1394, 1398 e 2384 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo
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comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l’evidenziato limite di imputazione della condotta dell’amministratore alla società implica, altresì, la non debenza delle sanzioni.
3. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati involgendo l’esame della medesima questione, sono infondati.
3.1. La CTR ha accertato in punto di fatto che: a) NOME COGNOME, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE e socio di maggioranza della stessa, ha agito in nome e per conto della società; b) le operazioni commerciali dallo stesso compiute non possono dirsi finalizzate all’esclusivo interesse dell’amministratore, atteso che RAGIONE_SOCIALE si è avvantaggiata dalla sua condotta abusiva, «anche in conseguenza della sottrazione alle legittime pretese tributarie»; c) deve escludersi la natura fittizia di RAGIONE_SOCIALE, quale mero strumento per il perseguimento dei fini propri dell’amministratore.
3.2. Ciò posto, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale «la commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un ente non interrompe il rapporto di immedesimazione organica e non esclude, pertanto, che del fatto possa rispondere anche l’ente, su vari piani, compreso quello fiscale, fatta eccezione per la sola responsabilità penale, avente carattere personale» (Cass. n. 12675 del 23/05/2018).
3.2.1. In particolare, è stato osservato che «la società, per il principio dell’immedesimazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall’organo amministrativo nell’esercizio delle sue funzioni, ancorché l’atto dannoso sia stato compiuto dall’organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell’assemblea, richiedendosi unicamente che l’atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell’attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tali responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli
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amministratori, prevista dall’art. 2395 cod. civ.» (Cass. n. 25946 del 05/12/2011; si veda anche Cass. n. 20704 del 01/10/2014. Per Cass. n. 22616 del 24/10/2014, peraltro pronunciata in altra fattispecie, il rapporto di immedesimazione organica tra il rappresentante legale e la società rappresentata non è reciso neanche quando l’atto sia compiuto dall’amministratore con dolo o abuso di potere o non rientri nella sua competenza).
3.2.2. Il rapporto di immedesimazione organica viene, pertanto, meno solo allorquando gli atti posti in essere non siano pertinenti all’azione della società e non rispondano ad un interesse riconducibile, anche indirettamente, all’oggetto sociale (così Cass. n. 20704 del 2014, cit.).
3.3. Tale circostanza, indubbiamente dedotta da parte ricorrente, è stata, peraltro, esclusa dalla CTR non solo in punto di diritto, ma anche in punto di fatto, avendo la stessa affermato che il rappresentante ha agito per conto della società e escluso che le operazioni effettuate siano state «finalizzate all’esclusivo interesse personale dell’amministratore, in prospettato conflitto di interessi con la società, la quale si è obiettivamente avvantaggiata (anche in conseguenza della sottrazione alle legittime pretese tributarie) dell’abusiva condotta del proprio apicale».
3.3.1. Si noti che la sentenza impugnata ha escluso non solo il conflitto di interessi, ma anche, implicitamente, l’esorbitanza dall’oggetto sociale, posto che quest’ultima si caratterizzerebbe (nella prospettazione della società contribuente) esclusivamente nella natura fittizia e fraudolenta delle operazioni effettuate (come si evince dal ricorso e dalla stessa narrativa in fatto compiuta dalla CTR), e che la circostanza che le stesse siano fraudolente non esclude la loro riconducibilità all’oggetto sociale.
3.3.2. Ne consegue che la statuizione della sentenza impugnata è corretta, avendo la stessa ritenuto – diversamente da quanto
argomentato dalla ricorrente – l’insussistenza, in concreto, del conflitto di interessi e della estraneità delle operazioni effettuate dall’amministratore all’oggetto sociale.
3.3.3. Né è possibile, sotto il profilo della violazione di legge, rimettere in discussione l’accertamento in fatto del giudice di merito, all’uopo dovendo essere formulata una apposita censura motivazionale, cui sta nel caso di specie il divieto conseguente o dalla sussistenza dì una doppia conforme di merito.
3.4. Il primo motivo va, dunque, rigettato, nella parte in cui si deduce una insussistente violazione di legge, e dichiarato inammissibile, nella parte in cui la ricorrente intende accreditare una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella ritenuta dalla CTR.
3.5. La riconducibilità delle operazioni effettuate dall’amministratore di RAGIONE_SOCIALE alla società implica altresì la debenza delle relative sanzioni (cfr. Cass. n. 20113 del 16/11/2012), con conseguente rigetto anche del secondo motivo.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite pari ad euro 155.403,00.
4.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. omma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, 1, c che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 dello stesso art. 13, ove dovuto. bis
Così deciso in Roma il 13 novembre 2019.