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Illecita somministrazione: costi non deducibili

Una società di servizi ha contestato un avviso di accertamento fiscale che riqualificava un contratto di appalto in illecita somministrazione di manodopera. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che quando il committente esercita il potere direttivo sui lavoratori dell’appaltatore, il contratto è nullo. Di conseguenza, i costi relativi a IRES, IRAP e IVA non sono deducibili per mancanza di certezza del titolo giuridico e le sanzioni sono legittime, non sussistendo alcuna incertezza normativa oggettiva.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Illecita somministrazione di manodopera: la Cassazione conferma la non deducibilità dei costi

La distinzione tra un genuino contratto d’appalto e una illecita somministrazione di manodopera è una questione cruciale con profonde implicazioni fiscali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi consolidati, chiarendo perché i costi derivanti da un appalto fittizio non siano deducibili e le relative sanzioni siano pienamente applicabili. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I fatti del caso: un appalto sotto esame

Una società a responsabilità limitata operante nel settore dei servizi ha ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2013. L’amministrazione finanziaria contestava la deducibilità di costi per IRES e IRAP e la detraibilità dell’IVA relativa a fatture emesse da una cooperativa. Secondo l’Agenzia, il contratto di appalto stipulato tra le due società mascherava in realtà una illecita somministrazione di manodopera.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate, rilevando che il potere direttivo e di coordinamento sui lavoratori, formalmente dipendenti della cooperativa, era di fatto esercitato dalla società committente. Elementi chiave emersi erano le dichiarazioni dell’amministratore della società committente, il quale agiva come referente e coordinatore per gli operai, e la presenza di un ricarico standard del 10% sulle prestazioni, indice di un rischio d’impresa “programmato” e non genuino. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte: i tre motivi di ricorso respinti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni relative a ciascun motivo di ricorso.

L’illecita somministrazione di manodopera e la mancanza di autonomia dell’appaltatore

Il primo motivo di ricorso si basava su una presunta errata applicazione della legge in materia di contratti di appalto. La società sosteneva che l’appaltatore esercitasse un potere organizzativo sufficiente. La Corte ha respinto questa tesi, qualificandola come un tentativo inammissibile di rivalutare i fatti. Ha ribadito che, per aversi un appalto genuino, l’appaltatore deve possedere una reale autonomia organizzativa, esercitare un effettivo potere direttivo sui propri dipendenti e assumersi il rischio d’impresa. Quando, al contrario, l’appaltatore si limita a fornire personale, mentre l’organizzazione e la direzione del lavoro restano in capo al committente, si configura un’interposizione illecita di manodopera. In tal caso, il contratto di appalto è nullo.

La non deducibilità dei costi: una questione di nullità contrattuale

Con il secondo motivo, la ricorrente contestava l’indeducibilità dei costi, sostenendo che la CTR l’avesse erroneamente collegata a una fattispecie di reato contravvenzionale non provata. La Cassazione ha chiarito che, anche se la motivazione dei giudici d’appello fosse stata imprecisa sul punto, la conclusione era corretta. La ratio decidendi della non deducibilità non risiede nella commissione di un reato, ma nella mancanza di certezza del componente negativo di reddito. Poiché il contratto di appalto è nullo, viene meno il titolo giuridico che giustifica l’obbligazione patrimoniale, e di conseguenza il relativo costo non può essere dedotto ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP.

L’inapplicabilità delle esimenti per le sanzioni

Infine, la società lamentava l’applicazione delle sanzioni, invocando una presunta incertezza normativa sul confine tra appalto labour intensive lecito e somministrazione illecita. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile e infondato. La Corte ha spiegato che la causa di non punibilità per “obiettive condizioni di incertezza” normativa si applica solo quando vi sono dubbi interpretativi sulla portata e sull’ambito di applicazione di una norma, non quando l’incertezza riguarda l’applicazione della norma a una specifica situazione di fatto. Secondo i giudici, la giurisprudenza in materia è ormai consolidata e non presenta dubbi interpretativi tali da giustificare la disapplicazione delle sanzioni.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale stabile e coerente. Ha sottolineato che l’elemento dirimente per distinguere un appalto genuino da una somministrazione illecita è l’effettivo esercizio del potere organizzativo e direttivo. Se questo potere è mantenuto dal committente, che di fatto dirige i lavoratori formalmente dipendenti da un’altra entità, il contratto di appalto è solo uno schermo formale per un rapporto di lavoro subordinato di fatto con il committente. La nullità di tale contratto comporta, come diretta conseguenza fiscale, l’indeducibilità dei costi e l’indetraibilità dell’IVA, poiché manca un valido titolo giuridico a supporto delle operazioni fatturate. Le sanzioni sono quindi una logica conseguenza della violazione accertata, data l’assenza di ambiguità nella normativa di riferimento.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei rischi fiscali associati all’utilizzo di appalti non genuini. Le imprese devono prestare la massima attenzione affinché i contratti di servizio, specialmente quelli ad alta intensità di manodopera, siano strutturati e gestiti in modo da garantire la reale autonomia organizzativa e gestionale dell’appaltatore. In caso contrario, il rischio è quello di vedersi contestare non solo la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA, ma anche l’applicazione di pesanti sanzioni, con conseguenze economiche significative.

Quando un contratto di appalto si considera illecita somministrazione di manodopera?
Un contratto di appalto si considera illecita somministrazione di manodopera quando l’appaltatore non esercita un reale potere organizzativo e direttivo sui propri dipendenti, ma si limita a mettere il personale a disposizione del committente, il quale di fatto dirige e organizza la prestazione lavorativa.

Perché i costi derivanti da un contratto nullo per illecita somministrazione di manodopera non sono deducibili?
I costi non sono deducibili perché la nullità del contratto di appalto fa venire meno il titolo giuridico su cui si fonda l’obbligazione patrimoniale. Ai fini fiscali, questo si traduce in una mancanza di ‘certezza’ del componente negativo di reddito, requisito essenziale per la sua deducibilità.

È possibile evitare le sanzioni fiscali invocando l’incertezza della legge sulla differenza tra appalto lecito e somministrazione illecita?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la giurisprudenza sul tema è consolidata e non presenta dubbi interpretativi. La causa di esclusione della punibilità per ‘obiettive condizioni di incertezza’ si applica solo a dubbi sul significato della norma, non alle difficoltà di qualificare una specifica situazione di fatto. Pertanto, le sanzioni sono legittimamente applicabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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