Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25421 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25421 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18896/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BOLOGNA n. 48/2022 depositata il 13/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per IRES, IRAP e IVA del 2013 e fondato sul disconoscimento della genuinità di un contratto d’appalto, qualificato come illecita somministrazione di
manodopera, con recupero di costi non deducibili e di IVA non detraibile.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Modena ha rigettato il ricorso mentre l’appello della contribuente è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell’Emilia Romagna con la sentenza in epigrafe.
Secondo i Giudici d’appello, dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dal 2010, e dei lavoratori emergeva che il potere di direzione e coordinamento sui dipendenti della appaltatrice veniva di fatto svolto dalla stessa società appaltante attraverso la persona del COGNOME, che era anche dipendente di una RAGIONE_SOCIALE società coinvolte (la RAGIONE_SOCIALE), cosicché doveva affermarsi una commistione tra società committente e appaltatrice tale da escludere il potere di controllo in capo all’appaltatore, confermata anche dall’assenza di pattuizioni contrattuali sui prezzi praticati; a ciò si è aggiunto il rilievo della fatturazione RAGIONE_SOCIALE prestazioni con un ricarico standard del 10%, « indice » di un rischio di impresa ‘programmato’ in capo all’appaltatore.
La CTR, inoltre, sul motivo relativo alla disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, ha escluso qualunque incertezza sul quadro normativo che potesse giustificare l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni, osservando altresì che la contribuente non aveva neppure « spiegato i profili di incertezza posti a sostegno della subordinata domanda ».
Avverso tale pronuncia la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione fondato su tre motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 29 d.lgs. n.
276/2003; la ricorrente segnala la svista in cui era incorsa la CTR che si era riferita alla RAGIONE_SOCIALE mentre nel 2013 le prestazioni erano state rese solo dalla RAGIONE_SOCIALE; rileva che nell’appalto ‘endoaziendale’ è sufficiente che l’appaltatore provveda all’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei dipendenti, i quali possono anche utilizzare macchinari e attrezzature messe a disposizione dal committente; osserva che in questo caso dalle affermazioni del COGNOME si ricavava soltanto che costui si occupava della fatturazione e non vi erano agli atti dichiarazioni di dipendenti della cooperativa, che aveva un altro referente (tal NOME COGNOME); aggiunge che il rischio di impresa dell’appaltatore andava individuato nel maggiore o minore flusso di servizi appaltati che avrebbe comportato maggiori o minori ricavi e, quindi, profitti.
1.1. In disparte il difetto di autosufficienza RAGIONE_SOCIALE doglianze prive di puntuali riferimenti agli atti di causa, il motivo è incentrato su circostanze di fatto, non indica con precisione la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR nella ricognizione della fattispecie astratta recata dalla normativa citata, allegando piuttosto l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito e la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015). Il motivo, quindi, deve essere disatteso, anche alla luce del principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., n. 29404 del 2017; Cass., n. 19547 del 2017; Cass., sez. un., n. 34476 del 2019; Cass., n. 5987 del 2021); invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 30042 del 2021).
1.2. La CTR, invece, ha fatto buon governo dei principi in materia.
1.2.1. La giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. n. 18808 del 2017; Cass. n. 28953 del 2018), ha da tempo chiarito che, pur dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore. Ne deriva che la fatturazione RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese da parte del somministratore non legittima la detrazione dell’IVA ad esse relativa e l’accertamento rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 (Cass. n. 7440 del 2022; Cass. n. 34876 del 2021; Cass. n. 12807 del 2020). Affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive ), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del
rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, l ‘intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (così Cass. n. 12551 del 2020; Cass. n. 15557 del 2019; v. anche Cass. n. 12807 del 2020). Ciò che conta (Cass. n. 12551 del 2020), quindi, è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.
1.2.2. In riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, questa Corte ha altresì osservato che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore -datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione RAGIONE_SOCIALE ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 6343 del 2013). Ha, inoltre, affermato che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore alla organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, è del tutto ultronea qualsiasi questione riguardante il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo, né rileva che l’impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, atteso che, se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò
solo si deve escludere l’organizzazione del servizio ad opera dell’appaltante (in questi termini Cass. n. 11720 del 2009; Cass. n. 17444 del 2009; Cass. n. 9624 del 2008).
1.2.3. Tali accertamenti vanno svolti in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco del contratto (cfr. Cass. n. 18455 del 2023), e in tal senso si è mossa la CTR che, con apprezzamento incensurabile nel giudizio di legittimità, ha valorizzato, nell’ambito del vasto materiale acquisito dalla Guardia di finanza e diffusamente illustrato in controricorso, le dichiarazioni del COGNOME: infatti, era stato «.. lo stesso COGNOME in sede di dichiarazioni rilasciate ai verbalizzanti a confermare di avere sempre ricoperto, per tutte le società cooperative che si sono alternate nei locali della RAGIONE_SOCIALE, il ruolo di referente e coordinatore per gli stessi operai all’interno dello stabilimento, aggiungendo di ricoprire altresì la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE ». Alla luce di questo accertamento del preminente ruolo datoriale dell’amministratore della ricorrente (committente) nei confronti dei lavoratori RAGIONE_SOCIALE società terze, è del tutto irrilevante il fatto che nel 2013 le prestazioni fossero state rese dalla RAGIONE_SOCIALE e non dalla RAGIONE_SOCIALE a cui si è riferita la CTR.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 14 comma 4 bis, l. n. 537/1993 e dell’art. 5 d.lgs. n. 446/1997, perché l’indeducibilità dei costi è prevista per gli acquisti di beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come ‘delitto non colposo’ mentre la CTR si era riferita alla contravvenzione di cui all’art. 18 comma 5 bis d.lgs. n. 276/2003 e, oltretutto, non vi era alcuna prova dell’esercizio dell’azione penale.
2.1. Il motivo deve essere disatteso perché l’erronea affermazione in diritto della CTR, ammesso che essa costituisca la vera e propria
ratio decidendi in ordine alla indeducibilità di quei costi e non un obiter dictum – dati i termini ipotetici con cui si esprime la sentenza (« Il fatto integra senza dubbio un’ipotesi di reato e, pertanto, l’eventuale sentenza in sede penale di assoluzione o di condanna, potrebbe avere una valenza ai fini della indeducibilità, o meno, dei costi dell’appalto ») -, non esclude la fondatezza della decisione e comporta soltanto la correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari accertamenti in fatto (Cass., n. 21968 del 2015; Cass. 21257 del 2014; Cass. n. 11838 del 2017; Cass. 17416 del 2023;).
2.2. Invero, qualora l’appalto non sia genuino, come in questo caso, i componenti negativi in questione non sono deducibili per mancanza di certezza, derivante dalla nullità del titolo giuridico da cui scaturisce la relativa obbligazione patrimoniale (vedi ancora Cass. n. 18808 del 2017); tale certezza è predicabile anche in tema di IRAP, giusta il richiamo dell’art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997 all’art. 2425 c.c. e, per conseguenza, ai requisiti di correttezza e veridicità del bilancio che attengono al risultato economico (Cass. n. 31720 del 2018 in motivazione par. 8).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 10 l. n. 212/2000, con riferimento alle sanzioni, essendo di incerta individuazione il confine tra appalto lecito (cc.dd appalti labour intensive ) e la somministrazione illecita di manodopera.
3.1. Il motivo è inammissibile prima che infondato. Da un lato, persiste l’estrema genericità della censura, già rilevata dal giudice del merito; dall’altro, l’incertezza viene riferita alla concreta fattispecie e non al significato del testo normativo. V arie disposizioni prevedono, come causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, le « obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione » della norma (art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), della legge n. 130 del 2022; art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, art. 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000, come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 106 del 2005, convertito con modificazioni, dalla legge n. 156 del 2005), da intendersi come « una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione » (Cass. n. 32082 del 2019 e altra giurisprudenza ivi citata) , desunta da una serie di ‘fatti indice’ (Cass. n. 10313 del 2019), che non vengono dedotti, e da riferirsi soggettivamente ai soli Giudici (e non anche al generico contribuente o ai contribuenti che pure, per la loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata o all’Ufficio tributario) (Cass. n. 3108 del 2019); la precedente esposizione mostra l’assenza di dubbi interpretativi nella giurisprudenza, cosicché deve escludersi una incertezza normativa che possa giustificare la disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese liquidate come in dispositivo vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 30/05/2024.