Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13305 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13305 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6112/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrenti
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-intimato per il ricorso incidentale-
nonché contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-intimato per il ricorso incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, SEZ.DIST. SALERNO n. 5746/2019 depositata il 01/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione di Salerno ha accolto, parzialmente, l’appello del Comune di Avellino verso la sentenza della Commissione provinciale di Avellino che aveva annullato i due avvisi di accertamento relativi all’ICI 2010 e 2011;
ricorrono in cassazione i due contribuenti con sei motivi di ricorso e chiedono la cassazione della sentenza impugnata;
resiste con controricorso il Comune di Avellino che propone, anche, ricorso incidentale, relativamente all’annualità 2010, per l’illegittima dichiarazione di decadenza per il decorso dei cinque anni. 4. i ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
Preliminare risulta l’analisi del ricorso incidentale (ex art. 276, secondo comma, cod. proc. civ.) in quanto è stata contestata
la sussistenza della decadenza. Il ricorso incidentale risulta infondato. Per l’anno 2010 è intervenuta la decadenza per il decorso dei cinque anni come ritenuto dalle Commissioni tributarie. Infatti, «In tema di ICI, l’art. 37, comma 53, del d. l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla legge n. 248 del 2006, ha disposto, con decorrenza dall’anno 2007, la soppressione dell’obbligo della dichiarazione (quindi, venuto meno a partire dall’anno 2009), sicché la decadenza dalla pretesa impositiva deve essere riferita, in virtù dell’art. 1, comma 161, della l. n. 296 del 2006, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la decisione impugnata che, rispetto ad un avviso di accertamento riferito all’anno 2009, ha ritenuto maturata la decadenza dell’Amministrazione comunale dalla pretesa impositiva al momento della notifica dell’avviso avvenuta il 29 dicembre 2015)» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 2321 del 25/01/2023, Rv. 666740 -01; vedi anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28043 del 02/11/2018, Rv. 651830 – 01).
Nel caso in giudizio per l’ICI del 2010 la notifica dell’avviso risulta effettuata dopo il 31 dicembre 2015, con la decadenza rilevata dalla sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania oggi impugnata.
Risulta infondato anche il ricorso principale dei contribuenti. Con i primi due motivi di ricorso (violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e violazione degli art. 99 e 112 in relazione all’art. 360, n. 3 e 4, cod. proc. civ, per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato per omissione di pronuncia), si ritiene inammissibile l’appello del Comune e nulla la decisione per una omessa pronuncia sulle eccezioni dei ricorrenti. I motivi sono generici e, inoltre, non si prospetta la decisività degli stessi: «Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di
una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi» (Sez. 2 – , Ordinanza n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554 – 01).
Dal ricorso si evince che in sede di appello la questione dell’inammissibilità dell’impugnazione, per mancanza di specificità, non è stata prospettata dai ricorrenti.
Infine, deve, comunque, rilevarsi che: «Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d. l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni
a critica vincolata» (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018, Rv. 648722 – 01).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di legge, art. 7, primo comma, l. n. 212 del 27 luglio 2000 e art. 1 e 3, l. n. 241 del 7 agosto 1990, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per l’omessa motivazione degli avvisi di accertamento. Il motivo risulta infondato in quanto gli avvisi di accertamento contenevano gli elementi sufficienti per la difesa dei contribuenti (come evidenziato nel controricorso con la trascrizione del loro contenuto).
Nel ricorso, anche letteralmente, si confonde la motivazione dell’avviso (sussistente, come visto) con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale: «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020, Rv. 657346 – 02).
I motivi 4 e 5 sono infondati. I ricorrenti prospettano la violazione degli art. 111, Cost., 132, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. (omessa motivazione) e l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
La sentenza impugnata, con applicazione corretta delle decisioni di questa Corte di legittimità ha ritenuto edificabile il terreno, in considerazione della previsione del piano urbanistico comunale (PUC), anche in assenza del piano urbanistico attuativo (PUA): « In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11quaterdecies , comma 16, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell’art. 36, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone, peraltro, di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie e, pertanto, la presenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, pur non sottraendo l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, incide sulla valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile» (Sez. 5, Sentenza n. 5161 del 05/03/2014, Rv. 629722 – 01; vedi anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12377 del 15/06/2016, Rv. 640026 – 01).
Non sussiste, pertanto, il vizio della motivazione denunciato, poiché in tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta: « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e
insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6°, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Sez. 1 – , Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01); in tale grave forma di vizio non incorre, dunque, la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello hanno affermato che occorre far riferimento al valore venale dei beni in quanto la mancata adozione del piano attuativo non incide sulla edificabilità del terreno.
Non sussiste neanche un’omessa pronuncia su un fatto decisivo. Infatti, la sentenza impugnata analizza le prospettazioni dei contribuenti, ma non le ritiene fondate; evidenzia sul punto la stima dei tecnici del Comune sul valore delle aree edificabili. Non si tratta, pertanto, di omessa pronuncia. I costi di urbanizzazione sono stati evidentemente valutati con il riferimento alla stima dei tecnici del Comune.
5. Infondato anche l’ultimo motivo di ricorso (violazione degli art. 99 e 112 del cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civi.) per inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. I contribuenti prospettano omissioni di pronuncia su tutti i motivi proposti in sede di ricorso introduttivo e riproposti in appello. Infatti, «Nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso,
indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 3104 del 09/02/2021, Rv. 660644 – 02).
Nel caso in giudizio la sentenza impugnata analizza tutte le risultanze processuali e fonda la sua decisione sulla edificabilità dell’area (anche in assenza del piano attuativo) e sulle valutazioni di stima dei tecnici del Comune, in tal modo implicitamente disattendendo le argomentazioni incompatibili con la soluzione adottata. Anche la questione sulle sanzioni risulta, conseguentemente, infondata.
In considerazione della soccombenza reciproca le spese del grado possono compensarsi interamente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/02/2024.