Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3272 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
RAGIONE_SOCIALE -Società di comodo –RAGIONE_SOCIALE.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11342/2017 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA -LECCE n. 268/2017, depositata in data 31/1/2017; Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 26 novembre 2024;
Fatti di causa
La RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, anche ‘la contribuente’ ) è una società holding che detiene partecipazioni in altre società e consorzi operanti nel settore della sanità privata. Nel periodo d’imposta 2006, la società contribuente deteneva il 31% del capitale della RAGIONE_SOCIALE, il 30% del fondo consortile del Consorzio San Raffaele, il 92% circa del capitale sociale della casa di cura convenzionata RAGIONE_SOCIALE
Il Consorzio San Raffaele , nel periodo d’imposta 2006, non ha conseguito risultati d’esercizio positivi , in quanto si trovava in una fase di avvio dell’attività.
I soci di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE stabilirono di destinare gli utili conseguiti nell’anno 2005 a riserva straordinaria.
La società RAGIONE_SOCIALE effettuò, negli ultimi esercizi, investimenti per un ammontare di sedici milioni di euro, necessari per migliorare la qualità delle prestazioni di ricovero, ma negli anni 2003, 2004 e 2005 i risultati di esercizio furono negativi , sicché l’utile di esercizio dell’anno 2006, di più di due milioni di euro, fu destinato alla copertura delle perdite realizzate nel corso degli esercizi precedenti.
La contribuente presentò all’Agenzia delle Entrate istanza per la disapplicazione delle norme antielusive , ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 30, comma 4 bis, della legge n. 724 del 1994.
Con provvedimento del 7 settembre 2007, prot. n. 29718/2007, l’Agenzia delle Entrate rigettò l’istanza di interpello disapplicativo, con
un provvedimento la cui impugnazione fu dichiarata inammissibile dalla C.T.P. di Bari.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento del 21 dicembre 2010, rettificò, ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 30, comma 4 bis della legge n. 724 del 1994, il reddito d’impresa della odierna contribuente .
Quest’ultima impugnò detto provvedimento dinanzi alla C.T.P. di Lecce, che accolse il ricorso.
La C.T.R. rigettò l’appello dell’erario.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia dele Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la contribuente, che ha anche depositato una memoria difensiva in vista dell’adunanza camerale.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 30, comma 4 bis della legge n. 724/94, nonché dell’art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, ha affermato che la quota di partecipazione della odierna controricorrente era pari a poco più di un terzo del capitale sociale, e pertanto minoritaria, con la conseguenza che la contribuente non aveva un peso rilevante ai fini di decidere la distribuzione degli utili.
L’Agenzia delle Entrate deduce che le cause di esclusione della disciplina delle società non operative dovevano essere verificate con riferimento alla odierna contribuente, rispetto alla quale il fisco aveva avanzato la contestazione di non operatività, non con riferimento alle società da essa partecipate.
Inoltre, deduce l’Agenzia che il fatto che la maggioranza dei soci , odierna contribuente esclusa, avesse deciso di non distribuire gli utili
per l’esercizio 2006 non costituisce una oggettiva situazione che aveva reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi.
La scelta di non distribuire utili non dipende da fattori esterni alla sfera decisionale della contribuente.
Le partecipazioni della contribuente nelle tre società di cui essa deteneva le quote non erano, comunque, tali da potersi ritenere irrilevanti o scarsamente significative allo scopo di incidere sulle scelte societarie.
1.1. Il motivo è infondato.
Si deve premettere che l’odierna contribuente è una holding pura, che non svolge direttamente attività commerciali, ma gestisce le partecipazioni in altre società.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che in tema di società di comodo, in caso di accoglimento dell’istanza di disapplicazione della normativa antielusiva, presentata ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis, della l. n. 724 del 1994, dalle singole società controllate, sussistono i requisiti per ritenere superato in modo automatico il test di operatività anche per la società che rispetto ad esse svolge attività di holding, fatta salva la necessità di procedere ad una separata valutazione della eventuale attività residua, svolta da quest’ultima in modo autonomo, ma senza tener conto delle partecipazioni nelle società controllate in sede di determinazione dei coefficienti di redditività e di calcolo del reddito minimo presunto (Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 20797 del 21/07/2021, Rv. 661897 – 01).
Orbene, nel caso che ci occupa la situazione è speculare: la valutazione dell’esistenza de i presupposti per l’applicazione della disciplina delle società di comodo non è stata fatta in capo alle società partecipate, ma direttamente in capo alla società holding.
Sul piano normativo, cioè ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, anche rispetto alle holding sarebbe possibile la verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina delle società di comodo.
Tuttavia, deve rilevarsi che l’Agenzia delle entrate, con il provvedimento 14 febbraio 2008, relativo alle cause di disapplicazione della disciplina delle società di comodo, ha chiarito che le società che detengono partecipazioni in società considerate non di comodo possono disapplicare automaticamente la disciplina sulle società di comodo di cui all’articolo 30, L. 724/1994, senza dover assolvere all’onere di presentare apposita istanza di interpello.
Ne consegue, allora, che per le holding pure, come la odierna contribuente, la verifica della sussistenza delle società di comodo deve essere condotta sulle società partecipate e che se queste superano il test di operatività, il test di operatività si considererà automaticamente superato anche per le holding.
In ogni caso, questa Corte si è già espressa nel senso che la mancata distribuzione di utili da parte della società partecipata configura comunque quella ‘impossibilità oggettiva” estranea alla volontà della contribuente, che legittima la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo (Cass. n. 8034/2021).
Deve concludersi, allora, anche in consonanza con l’orientamento espresso da questa Corte, che la decisione della RAGIONE_SOCIALE partecipata dalla odierna contribuente, di non distribuire utili di esercizio, costituisca, come ha sostenuto la C.T.R., una ragione oggettivamente apprezzabile per la disapplicazione della normativa sulle società di comodo.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 1, comma 128, lett. c) della legge n. 224/2007, nonché dell’art. 30, n. 6 bis della legge n. 724/94, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’ ,
l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver considerato, nell’escludere l’assoggettamento dell’odierna contribuente alla disciplina delle società di comodo, le condizioni in cui versavano le società da essa partecipate.
Contesta, inoltre, l’esclusione dei consorzi dall’applicazione della disciplina delle società di comodo e deduce che la causa di esclusione consistente nell’avere avuto alle dipendenze , nei due esercizi precedenti, un numero di lavoratori mai inferiore alle dieci unità non era applicabile al periodo d’imposta 2006 , in quanto fattispecie introdotta dall’art. 1, comma 128, lett. c), della legge n. 224 del 2007, in vigore dal 1° gennaio 2008.
2.1. Il motivo è infondato.
Si è già detto, nell’esame del primo motivo di ricorso, che l’esclusione, in capo alle società partecipate, dei requisiti per l’applicazione della normativa sulle società di comodo determina, o comunque può determinare , l’esclusione dell’applicazione della stessa normativa in capo alle holding pure.
Con riferimento alle società consortili, esse sono escluse dall’applicazione della normativa sulle società di comodo, in quanto non espressamente ricomprese nell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 (Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25 del 4 maggio 2007).
Con riferimento, poi, alla RAGIONE_SOCIALE, non sussiste alcuna contestazione specifica dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la mancata distribuzione di utili alla odierna contribuente ha avuto causa nella situazione patrimoniale negativa emergente nell’esercizio 2005 e dal mancato conseguimento di utili.
In definitiva, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro settemila per compenso, oltre al rimborso delle spese generali, iva e c.p.a. come per legge, ed oltre ad euro duecento per spese vive.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 novembre