Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7699 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7699 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 23/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 25504/2019, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da se stesso, il quale indica il proprio indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 895/1/2019 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 20 febbraio 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate Riscossione (ADER) procedette a pignoramento presso terzi in danno di NOME COGNOME sulla scorta di alcune cartelle esattoriali.
Il debitore esecutato impugnò l’atto di pignoramento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che dichiarò il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario.
Il COGNOME appellò la sentenza di primo grado innanzi alla Commissione tributaria regionale, che respinse il gravame.
I giudici del gravame, premesso il rilievo in base al quale la competenza a valutare i presupposti dell’atto di pignoramento spetta al giudice ordinario, rilevarono che a tale regola fa eccezione la sola ipotesi in cui il pignoramento sia il primo atto con il quale il contribuente apprende della pretesa fiscale rivolta nei suoi confronti; tale ipotesi, tuttavia, non ricorreva nella specie, poiché la conoscenza dell’atto presupposto si era già realizzata in precedenza, atteso che il contribuente aveva impugnato le cartelle esattoriali innanzi al giudice tributario.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
NOME ha resistito con controricorso.
Originariamente assegnata alla Sezione 6-5, la causa è stata rinviata per la trattazione nella presente adunanza a seguito del rilievo del difetto di evidenza decisoria.
Considerato che:
Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 5 -8, del d.l. n. 193/2016, conv. nella l. n. 225/2016, e degli artt. 83 e 84 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta che la C.T.R. avrebbe omesso di considerare invalida la procura alle liti (e, in via derivata, la costituzione in giudizio) di ADER in quanto assistita da avvocato del libero Foro, non più consentita in forza della disciplina entrata in vigore all’epoca in cui fu instaurato il giudizio d’appello .
Con il secondo motivo, deducendo «violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cpc ed, in particolare, del principio generale e giurisprudenziale della ‘cessazione della materia del contendere’ in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cpc», il ricorre nte si duole del fatto che la C.T.R., nell’affermare il proprio difetto di giurisdizione, abbia ritenuto che ciò precludesse ogni esame del merito della vicenda, compresa l’eccezione di intervenuta cessazione della materia del contendere che egli aveva formulato nel corso del giudizio di primo grado, dopo che ADER gli aveva notificato un atto unilaterale con il quale dichiarava «estinta la procedura esecutiva intrapresa con il pignoramento».
Al riguardo, richiama i precedenti di questa Corte secondo i quali l’annullamento in autotutela, da parte dell’agente della riscossione, degli atti che danno origine alla procedura esecutiva comporta il venir meno dell’interesse alla prosecuzione della ste ssa, del che i giudici d’appello avrebbero dovuto tener conto a prescindere dalla statuizione sulla giurisdizione.
Infine, con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 37 cod. proc. civ. e 2 del d.lgs. n. 546/1992, assumendo che la C.T.R. avrebbe immotivatamente ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario e, in ogni caso, fondato la propria decisione su un indirizzo giurisprudenziale che affermava il
contrario, escludendo la giurisdizione del giudice tributario per il solo caso, qui non sussistente, di atti esecutivi successivi alla notifica della cartella di pagamento.
In questo senso, osserva che le cartelle-presupposto erano state annullate proprio in considerazione dell’invalidità della loro notificazione, il che ostava a ritenere configurato il presupposto per affermare la giurisdizione dell’AGO.
4. Il primo motivo non è fondato.
4.1. La questione introdotta dal ricorrente, evidenziatasi a seguito della successione ex lege dell’ADER ad Equitalia quale Agente per la riscossione, è risultata in un primo tempo controversa nella giurisprudenza di questa Corte.
A dirimere i contrasti insorti sono però intervenute, più di cinque anni orsono, le Sezioni Unite (sentenza n. 30008/2019), affermando il seguente principio di diritto: «ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale,
questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità».
La stessa pronuncia, peraltro, ha chiarito che «l’esigenza di razionalizzazione delle risorse pubbliche e, segnatamente, delle modalità dell’avvalimento dell’Avvocatura erariale è poi riconosciuta, con ogni evidenza, dalla norma di interpretazione autentica del giugno 2019, che, della complessa fattispecie, si preoccupa di sottolineare almeno un aspetto: e cioè che nessuna delibera specifica e motivata (da sottoporre poi agli organi di vigilanza, di cui al quarto comma dell’art. 43 r.d. 1611/33) è richiesta all’Agenzia per avvalersi degli avvocati del libero foro, al di fuori dei casi riservati all’Avvocatura erariale su base convenzionale o perfino pure in quelli, ove essa non sia disponibile ad assumere il patrocinio se la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa e rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera od alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro (da scegliere in applicazione dei criteri generali di cui agli atti di carattere generale di cui al quinto comma e nel rispetto dei principi del codice dei contratti pubblici)».
4.3. Al principio dettato dalle Sezioni Unite è stata data successivamente continuità da questa Corte che, anche in tempi recenti, ha ribadito: «In tema di difesa e rappresentanza in giudizio,
l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione si avvalgono dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalle convenzioni con quest’ultima stipulate, fatte salve le ipotesi di conflitto, quali le condizioni di cui art. 43, comma 4, del R.d. n. 1611 del 1933 oppure l’indisponibilità dell’Avvocatura; ne consegue che non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcun’altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro quando la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa, come nel contenzioso tributario, per il quale la convenzione esime le predette Agenzie dal ricorso alla difesa erariale per i giudizi innanzi alle corti di giustizia tributaria, prevedendola espressamente, invece, per quello di legittimità, rispetto al quale, dunque, in difetto delle condizioni ricordate (conflitto, indisponibilità o apposita delibera) la procura conferita ad un legale del libero foro deve ritenersi affetta da invalidità, con conseguente inammissibilità del ricorso» (così Cass. n. 28199/2024).
Facendo buon governo di tale insegnamento, il Collegio osserva che nella specie non sussistevano i presupposti per ritenere invalida la procura alle liti rilasciata in grado d’appello da ADER a un avvocato del libero Foro; conseguentemente, il motivo di ricorso va ritenuto infondato.
Ciò posto, si può procedere ad esaminare il terzo motivo di ricorso il quale, attenendo alla giurisdizione, assume carattere pregiudiziale anche rispetto alla seconda censura; l’autorità priva di giurisdizione, infatti, non ha il potere di rilevare l’intervenuta cessazione della materia del contendere, trattandosi di attività accertativa che comporta comunque un sindacato sul merito delle rispettive pretese.
5.1. Il motivo è anzitutto inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi .
Invero, in apertura della ricostruzione in fatto ( Svolgimento del processo , pag. 3), la sentenza appellata dà atto espressamente del fatto che « in precedenza il contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento, ottenendo una sentenza di parziale accoglimento (C.T.P. di Roma n. 22782/2017 dell’11/07/2017 -25/10/2017), con l’annullamento di alcune cartelle ».
Tale rilievo ha costituito per la C.T.R. la base argomentativa per affermare il proprio difetto di giurisdizione, che, infatti, viene motivata con la circostanza che « la conoscenza giuridica della pretesa fiscale si sia già realizzata in precedenza, con altro atto, tanto che quest’ultimo è stato oggetto di specifica e diretta valutazione da parte del giudice tributario in un precedente contenzioso, cosicché l’attuale co ntroversia, riguardante un atto dell’esecuzione, va ricondotta alla regola generale ».
Il medesimo rilievo non viene validamente inciso dagli argomenti del ricorrente che, pertanto, lasciano intatta la ratio decidendi della decisione impugnata.
5.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato.
Il ricorrente, in particolare, mostra di non fare corretta applicazione del principio affermato da Cass. Sez. U, n. 24965/2017 (che pure invoca) e ribadito da Cass. Sez. U, n. 17126/2018, secondo cui la giurisdizione del giudice tributario in relazione ad un atto di pignoramento scaturito da crediti erariali sussiste laddove il contribuente attinto dalla procedura esecutiva assuma in quella sede che l’atto dell’esecuzione è viziato per omessa o invalida notificazione
della cartella di pagamento di natura tributaria o degli altri atti presupposti.
Lo stesso non può dirsi quando, come pacificamente nel caso di specie, il contribuente abbia già fatto valere tale vizio davanti al giudice tributario, potendo egli, al più, invocare gli effetti della decisione resa da quest’ultimo nell’opporsi al pignoramento in sede ordinaria.
All’infondatezza del terzo motivo consegue la conferma della declinatoria di giurisdizione già pronunziata in sede d’appello, ciò che rende superflua la disamina del secondo motivo.
Il ricorso va dunque rigettato; le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2025.