Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14717 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1026/2024 proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
COGNOME rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: avvEMAIL
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 9363/16/23 depositata in data 20/11/2023; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Oggetto: accertamento – prova
-Tavano NOME impugnava l’avviso di accertamento notificatole per i periodi d’imposta dal 2012 al 2015 con i quali a seguito di indagine nei confronti della ‘Associazione RAGIONE_SOCIALE, era contestata alla predetta lo svolgimento di un’attività commerciale caratterizzata da abitualità, sistematicità, stabilità e professionalità, consistente nell’erogazione di un servizio di assistenza/consulenza legale nei confronti dei propri assistiti/associati rientrante nella categoria di reddito di lavoro autonomo. Quale coobbligato in solido ed autore delle violazioni sopra descritte veniva, tra gli altri, individuata la contribuente, avvocato, destinataria di un’ordinanza dispositiva di misure coercitive del Tribunale di Messina. Infatti, costei, parimenti agli altri soggetti menzionati in atto, era indagata dalla competente Autorità Giudiziaria ‘per truffe a privati cittadini realizzate mediante la richiesta di somme di denaro, corrisposte dalle ignare vittime per promuovere cause civili e/o ricorsi avverso cartelle esattoriali che in realtà non venivano mai iscritte a ruolo’;
-la CTP accoglieva i ricorsi della contribuente; appellava l’Ufficio;
-con la sentenza qui gravata la Corte di secondo grado ha confermato la statuizione di primo grado, in quanto ha ritenuto che la collaborazione con l’associazione (contestata in sede penale senza successivo esito) non bastasse a costituire la base della pretesa tributaria considerando che in sede penale non era risultata provata la connivenza consequenziale con la persona risultante principale imputato e con l’associazione costituita indicata come finalizzata alla truffa. Il ruolo della TAVANO nelle condotte accertate non emergeva con chiarezza -secondo il giudice di appello – ed anzi sembrava pendere più nel senso della qualificazione della stessa come parte offesa piuttosto che come concorrente responsabile, anche alla luce del fatto che la COGNOME aveva evidenziato di avere denunciato il rappresentante
dell’associazione una volta resasi conto della tipologia delle attività svolte in modo illegale;
-ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a tre motivi;
-la contribuente resiste con controricorso;
Considerato che:
-va in primo luogo disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta da parte controricorrente, in quanto i motivi di impugnazione proposti dall’Amministrazione finanziaria si incentrano su questioni relative alla nullità della sentenza (il primo) e di violazione di legge (il secondo) risultando quindi ammissibili;
-venendo quindi all’esame delle censure dedotte, rileva la Corte che il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 d. Lgs. n. 546 del 92 (art. 360, n. 4, c.p.c.); secondo parte ricorrente la sentenza impugnata è motivata in modo difettoso o apparente, avendo la CGT di secondo grado eseguito una apodittica ed acritica relatio alla sentenza di primo grado operando un generico rinvio agli ‘esiti’ di un procedimento penale;
-deve precisarsi che -diversamente da quanto argomentato in controricorso -la contribuente non produce a questa Corte la sentenza penale assolutoria del Tribunale di Messina alla quale fa riferimento nel proprio atto; non trova quindi applicazione l’art. 21 bis del d. Lgs. n. 74 del 2000 , in difetto delle condizioni processuali, dal momento che viene meno sia la produzione in atti della sentenza relativa all’esito del processo penale sia a maggior ragione -la certezza in ordine alla natura di cosa giudicata di tale pronuncia, che viene raggiunta solo con la (qui difettosa, non essendo in atti la sentenza in argomento) attestazione della definitività di tale sentenza;
-tornando al contenuto censorio della doglianza, il motivo è fondato;
-la pronuncia di merito in effetti richiama -senza spendere una parola sul contenuto -l”esito’ del processo penale, sul quale non si sofferma né per descrivere i fatti accertati, né per illustrare le ragioni per le quali il giudice tributario ha ritenuto convincenti tali ricostruzioni in fatto, al fine di escludere la responsabilità della COGNOME;
-come è noto, – attesa l’autonomia tra giudizio penale e giudizio tributario, non applicandosi alla presente fattispecie l’art. 21 bis sopra citato – la diversità di mezzi di prova acquisibili nei due ambiti processuali e di criteri di valutazione del materiale acquisito, per l’operare solo nel giudizio tributario di presunzioni -la verifica della consapevolezza del contribuente che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta non può essere condotta in ambito tributario unicamente alla stregua delle risultanze del processo penale. Precisamente, il giudice tributario, pur potendo trarre elementi di convincimento dai fatti materiali accertati nel giudizio penale, è tenuto sempre ad operare una valutazione critica di dette circostanze fattuali in relazione al complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio tributario: «nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale -peraltro qui non prodotta, e pertanto non risultante definitiva – estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri
autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare» (cfr. Cass., 24 novembre 2017, n. 28174; Cass., 4 agosto 2020, n. 16649);
-invero, (in termini anche Cass. Sez.5, Ordinanza n. 17258 del 27/06/2019) la sentenza penale -in quel caso per vero irrevocabile, ma il principio del quale farsi applicazione è il medesimo – di assoluzione dal reato, anche tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare;
-con riguardo alla fattispecie che ci occupa, nel rimandare genericamente all’esito del giudizio penale, senza minimamente esplicare in motivazione né l’oggetto di quel giudizio, né le ragioni della sua adesione alle conclusioni raggiunte dal Tribunale penale di Messina, la CGT di secondo grado ha quindi reso una pronuncia del tutto disallineata rispetto ai superiori principi;
-ne deriva l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’assorbimento di restanti motivi, il secondo diretto a censurare la pronuncia impugnata per violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per non avere la sentenza di merito preso in alcun modo in considerazione quanto evidenziato dall’Ufficio nei propri atti, e da ultimo nel proprio appello; il terzo incentrato sui medesimi profili ed
articolato, diversamente dagli altri mezzi di gravame, quale omesso esame di fatto decisivo per il giudizio;
-nel presente caso, la decisione sulla domanda cd. ‘assorbita’ diviene superflua perché la parte non vi ha più interesse, avendo già con la decisione c.d. ‘assorbente’ ottenuto la tutela richiesta nel modo più pieno (Cass. 22 giugno 2022, n. 12193; Cass. 30 maggio 2018, n. 13534 richiamate in motivazione da Cass. 26 aprile 2023, n. 10993);
-la sentenza è quindi cassata con rinvio al giudice di appello per nuovo esame del fatto nel rispetto dei superiori principi; detto giudice provvederà anche in ordine alle spese processuali del presente giudizio di Legittimità;
p.q.m.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2025.