Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32879 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32879 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ha emesso la seguente ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 29749/2022 proposto da:
Agenzia delle Dogane dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME domiciliato all’indirizzo di posta elettronica certificata EMAILpec.kstudioassociatoEMAIL e NOME COGNOME domiciliata
all’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– controricorrente e ricorrente in via incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 2400/2022, depositata in data 7 giugno 2022, non notificata
udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 25 settembre 2024, dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e del ricorso incidentale;
udito, per la parte ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione e il rigetto del ricorso incidentale;
udito per la parte controricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso per cassazione e l’accoglimento del ricorso incidentale;
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza 5 giugno 2020, n. 10685, ha confermato l’annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni n. 278100-1195-2011, prot. n. 73230/RU, notificato in data 25 novembre 2012, così come rettificato con atto n. 13/2012, prot. n. 60956/RU del 21 agosto 2012.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10685 del 5 giugno 2020, si era pronunciata, a pag. 13, in merito alla dazialità delle royalties, e sul punto si era formato il giudicato, anche implicito interno, con riferimento ai motivi accolti tre e quattro ed a quelli sub uno e due
rigettati per i quali era stata disposta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata;
-) il giudicato si era pure formato sulla questione relativa all’eccezione di duplicazione dell’Iva posto che gli unici motivi di gravame ad essa riferiti erano stati rigettati ed ogni altra eccezione non riproposta in sede di ricorso per cassazione aveva comportato la definitività della sentenza di secondo grado;
-) all’esame del giudice di rinvio era stato demandato di provvedere, al punto 6 della motivazione, oltre che al regolamento delle spese, anche all’esame delle questioni assorbite (violazione di legittimo affidamento del contribuente ex art. 10 della legge n. 212 del 2000 e violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 10, comma 3, dello Statuto del contribuente e dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, sulla sussistenza delle condizioni di obiettiva incertezza della norma);
-) l’eccezione afferente il legittimo affidamento del contribuente ex art. 10 della legge n. 212 del 2000 era infondata, in quanto le importazioni in discussione risalivano agli anni 2009 e 2010 e, come si evinceva dall’ampia argomentazione della Corte in tema di dazialità, la previsione normativa della loro inclusione era rinvenibile in via generale sin dal Regolamento CEE n. 2913/92, oltre che nel Regolamento CEE n. 2454/93 e, inoltre, in rapporto al passo della motivazione della sentenza di primo grado nulla veniva detto se non un richiamo apodittico al Compendium of Customs Valutation texts, nella versione del 2018 e nella recentissima versione del 2021;
-) ricorrevano le condizioni di incertezza normativa oggettiva tributaria, posto che l’interpretazione dei giudici di legittimità della stessa normativa tributaria e unionale per identico caso e tra le medesime parti, seppure per annualità diverse, aveva dato origine a due interpretazioni diametralmente opposte con la sentenza della Corte di
Cassazione n. 10685 del 5 giugno 2020 e con quella n. 10687 del 5 giugno 2020.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare va rigettata l’ec cezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il ricorso contiene, alle pagine 1-5, tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e consente a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass., Sez. U., 24 febbraio 1998, n. 1998 e, più di recente, Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926; Cass. 28 maggio 2018, n. 13312 Cass., 3 novembre 2020, n. 24432).
2. Il primo ed unico motivo del ricorso principale deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992 , nonché dell’art. 10, comma 3, dello Statuto del Contribuente e dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, per assenza delle condizioni di obiettiva incertezza della norma. Ed invero, doveva osservarsi che le sentenze nn. 10687/2020 e 10685/2020 non erano tra di loro contrastanti, in quanto i fatti esaminati nei due casi erano diversi. La sentenza n. 10685/2020 era pervenuta ad un esito favorevole delle ragioni erariali in base all’esame di una clausola contrattuale specifica, più precisamente quella che riconosceva al licenziante l’approvazione dei fornitori scelti dal licenziatario , mentre
l’ esame della suddetta clausola specifica non era stato portato all’attenzione di Cassazione n. 10687/2020 e ciò aveva determinato una conclusione differente. Inoltre, la fattispecie in esame non aveva affatto ad oggetto una incertezza nell’interpretazione della «norma tributaria», dovendosi per tale intendere una disposizione di diritto positivo e non una clausola negoziale e né la società ricorrente, che ne aveva l’onere, né la Commissione tributaria regionale avevano indicato una norma tributaria su cui sussisteva un contrasto interpretativo. Spettava al contribuente l’onere di dimostrare gli elementi e circostanze che giustificavano le condizioni di obiettiva incertezza sull’interpretazione e la portata applicativa della disposizione tributaria che si asseriva violata.
3. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del decreto legislativo n. 546 del 1992. Il Collegio giudicante aveva ritenuto che sulla questione della daziabilità delle royalties si era pronunciata la Cassazione e che alla stessa era stato demandato di provvedere, oltre al pagamento sulle spese, all’esame delle questioni assorbite, con ciò violando i canoni del giudizio di rinvio, sia in sede civile che in sede tributaria. Nel caso in esame, i Giudici di legittimità non solo non avevano espresso alcun principio di diritto, come invece affermato dalla Commissione tributaria regionale, a pag. 3 della sentenza impugnata, ma avevano, altresì, errato nel riferirsi all’« esame delle questioni assorbite » in quanto nessuno dei motivi allora sollevato da controparte nel proprio ricorso in Cassazione era rimasto assorbito ed infatti, i primi due motivi sull’IVA erano stati dichiarati congiuntamente infondati, mentre il terzo e il quarto erano stati accolti. Per tutto quanto esposto appariva evidente come le affermazioni della Commissione tributaria regionale in merito alla presunta inammissibilità del motivo sulla violazione e falsa applicazione della normativa concernente la daziabilità dei diritti di
licenza non meritavano accoglimento alcuno e la necessità di procedere all’esame della questione relativa alla daziabilità dei diritti di licenza si rendeva ancor più evidente se si considerava il contrasto giurisprudenziale che caratterizzava la questione in esame e che era stato correttamente posto dai Giudici di secondo grado a fondamento della decisione di annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni tributarie. Il Collegio giudicante avrebbe dovuto valutare il contrasto giurisprudenziale anche ai fini della questione della daziabilità delle royalties ed esprimersi in merito alla legittimità dell’avviso di accertamento, tenendo conto del combinato disposto delle norme applicabili contenute nel CDC e nelle Disposizioni di Attuazione che determinava un approccio interpretativo che muoveva dalla considerazione della tassatività dei diritti di licenza solo al ricorrere di determinate condizioni, particolarmente complesse, nella loro struttura, quando, come nel caso di specie, si era di fronte ad un rapporto trilaterale, nel quale chi vendeva le merci non era soggetto titolare dei diritti di licenza. La complessità della questione determinata sia dai diversi orientamenti giurisprudenziali espressi dalla Suprema Corte giustificava la richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in merito all’espressa inutilizzabilità del Commento n. 11 al fine di determinare la daziabilità o meno delle royalties corrisposte in forza di un contratto di licenza che doveva, pertanto, essere verificata avendo esclusivo riguardo alla disciplina contenuta nelle previsioni normative di riferimento che richiedevano una valutazione congiunta del contratto di licenza e dell’accordo di vendita concluso tra la licenziataria ed i singoli produttori, ponendo l’accento sulla necessaria sussistenza, nel contratto di licenza, di riferimenti alla vendita e, viceversa, nell’accordo di vendita, di clausole contrattuali relative al rapporto di licenza.
Il secondo motivo del ricorso incidentale deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente. Non era chiaro sulla base di quale ragionamento la Commissione tributaria regionale non avesse ritenuto sufficiente il richiamo alla prassi emanata dalla Commissione Europea e valida nel periodo in cui le dichiarazioni doganali oggetto di contestazione erano state poste in essere (anni 2009 e 2010), la cui attendibilità dei documenti di prassi in esame non poteva certamente essere disattesa dall’Amministrazione nazionale, anche in considerazione della circostanza di fatto che la normativa in materia di valore delle merci importate applicabile al caso in esame era fonte comunitaria. Era evidente come anche laddove si riconosceva in questa sede la daziabilità dei diritti di licenza corrisposti dalla società nessun dubbio poteva essere sollevato in merito alla circostanza di fatto che la COGNOME RAGIONE_SOCIALE.pRAGIONE_SOCIALE avesse optato per non includere i diritti di licenza corrisposti nel valore dichiarato in dogana all’atto dell’importazione proprio in ragione della prassi sviluppatasi in sede comunitaria. Inoltre, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, la società aveva presentato richiesta di rimborso dei maggiori diritti doganali indebitamente corrisposti in ragione dell’inclusione dei diritti di licenza nel valore doganale dichiarato all’atto dell’importazione di merci commercializzate dalla società ed alcuni Uffici doganali destinatari delle suddette istanze di rimborso avevano accolto la richiesta della società, riconoscendo pertanto espressamente l’insussistenza nel caso di specie dei presupposti normativi per la daziabilità delle royalties.
L’esame delle esposte censure porta all’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, la cui trattazione è prioritaria, con assorbimento dell’unico motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale (che riguardano la ricorrenza delle
condizioni di obiettiva incertezza della norma ai fini della disapplicazione delle sanzioni).
5.1 E’ principio consolidato di questa Corte che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass., 27 ottobre 2023, n. 29879; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448) e che la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (Cass., 20 dicembre 2022, n. 37200; Cass., 8 novembre 2013, n. 25244).
5.2 Inoltre, nel giudizio di rinvio, il quale, come già detto, è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., 10 agosto 2023, n. 24357).
5.3 Parimenti consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma,
cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi , oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., 15 giugno 2023, n. 17240; Cass., sez. U., 21 marzo 2023, n. 8147; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448, citata; Cass., 7 agosto 2014, n. 17790).
5.4 Inoltre, nel giudizio di rinvio è precluso qualsiasi esame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, non solo in ordine ai pretesi errores in iudicando commessi dal giudice a quo , relativi al diritto sostanziale, ma anche con riferimento alle violazioni di norme processuali che si assumono poste in essere dal giudice di merito, tutte le volte in cui il principio di diritto sia stato enunciato rispetto a un fatto con valenza processuale (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 29 settembre 2014, n. 20474; Cass., Sez. U., 3 luglio 2009, n. 15602).
5.5 La modifica, poi, in tema di giudizio di rinvio, in senso riduttivo dell’originaria impostazione difensiva, tale da renderla incompatibile con la contestazione di fatti o requisiti posti a fondamento della pretesa della controparte, ovvero la mancata riproposizione della contestazione sulla sussistenza di tali requisiti, sollevata nei precedenti gradi del giudizio ed in essi disattesa o dichiarata inammissibile, rende inammissibile l’esame d’ufficio di tali questioni, in quanto ormai espunte dal dibattito processuale (Cass., 9 giugno 2023, n. 16450).
5.6 A tali principi si aggiunge quello secondo cui, « In tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto » (Cass., 19 febbraio 2018, n. 3955). E difatti, « la denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del “decisum” della sentenza di cassazione concreta denuncia di “error in procedendo” per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata all’interpretazione delle norme giuridiche » (Cass., 5 marzo 2019, n. 6344).
5.7 Tanto premesso, questa Corte, nella sentenza di rinvio n. 10685 del 5 giugno 2020, ha accolto il terzo e il quarto motivo di ricorso ( rigettando il primo e il secondo motivo ritenendo che l’impugnazione aveva interessato l’atto nella sua integralità e, dunque, anche nella parte in cui provvedeva al recupero dell’Iva e che i motivi di impugnazione proposta investivano anche il recupero concernente l’Iva ), con i quali l ‘Agenzia ricorrente aveva denunciato « la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, par. 1, lett. c), e par. 5, Regolamento (CEE) n. 2913/92, 157, par. 2, Regolamento (CEE) n. 2454/93, e 2729 c.c., per aver la sentenza impugnata escluso che ricorressero le condizioni in presenza delle quali i corrispettivi pagati a titolo di royalties dalla contribuente debbano essere inclusi nel valore in dogana delle merci importate » (terzo motivo) e « la violazione e falsa
applicazione degli artt. 303, primo e secondo comma, Testo unico 23 gennaio 1973, n. 43, e 70, d.P.R. 26 settembre 1972, n. 633, nella parte in cui ha accolto il gravame anche relativamente all’irrogazione delle sanzioni, in relazione al venir meno del presupposto dell’annullamento dell’atto sanzionatorio » (quarto motivo).
5.8 In particolare, questa Corte ha accolto il terzo motivo affermando che « Ciò posto, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali in considerazione della mancata dimostrazione di «legami cogenti in materia di controlli incisivi nell’ambito della organizzazione contabile, gestionale ed amministrativa delle licenzianti nei confronti del produttore cinese». Evidenzia che alle licenzianti era riconosciuto un potere di controllo finalizzato ad una verifica, ex post, della qualità dei prodotti e della corretta configurazione dei marchi d’impresa oggetto delle licenze, anche in relazione al rispetto di un codice di natura etica per evitare lo sfruttamento dei lavoratori minorenni e garantire la sicurezza degli impianti di produzione, ma che tale potere di controllo non era tale da dar luogo ad un condizionamento del produttore, rilevante ai fini che qui interessano. Con particolare riferimento all’individuazione dell’oggetto di un siffatto controllo, viene in evidenza, essendo riconosciuto anche dalla società contribuente nel proprio atto di appello, riportato per estratto nel ricorso, che, secondo le clausole dell’accordo di licenza, la scelta da parte del licenziatario del produttore doveva essere previamente approvata dalla licenziante. Orbene, ritiene questa Sezione che la facoltà riconosciuta alla licenziante di approvare preventivamente i fornitori scelti dal 13 licenziatario costituisce un elemento che offre adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di orientamento del licenziante sul produttore/venditore, in relazione alla sua incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione. Viene, infatti, in rilievo non già un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non
implicante necessariamente -secondo quanto osservato dal menzionato Commento n. 11 – l’esistenza di un potere di orientamento, bensì un controllo sulle modalità di svolgimento dell’attività di fabbricazione dei prodotti. Pertanto, la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto ha omesso di considerare che una situazione di controllo – intesa, come evidenziato in precedenza, quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento – può rinvenirsi anche qualora l’individuazione del produttore sia preventivamente approvata dal licenziante»; ha, poi, accolto il quarto motivo evidenziando che « L’accoglimento del terzo motivo di ricorso impone l’accoglimento anche del motivo residuo, con cui si censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 303, primo e secondo comma, Testo unico 23 gennaio 1973, n. 43, e 70, d.P.R. 26 settembre 1972, n. 633, nella parte in cui ha accolto il gravame anche relativamente all’irrogazione delle sanzioni, in relazione al venir meno del presupposto dell’annullamento dell’atto sanzionatorio ».
5.9 È evidente, dunque, che la Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, doveva accertare, facendo corretta applicazione dei principi affermati alle pagine 7 -11 della sentenza, l’esistenza di una situazione di controllo, intesa quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento, ovvero la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa comunitaria per computare, nel valore in dogana delle merci importate, l’importo dei diritti di licenza e, in particolare, se l’acquirente era tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, sul presupposto, pure precisato, che la «condizione di vendita» stava ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivestiva un’importanza tale per il venditore che, in difetto,
quest’ultimo non sarebbe stato disposto a vendere, circostanza che spettava al giudice del rinvio verificare, con l’ulteriore corollario che, qualora il beneficiario delle royalties era un soggetto diverso dal venditore (come nel caso di specie, dove si era di fronte ad un rapporto trilaterale, nel quale chi vendeva le merci non era soggetto titolare dei diritti di licenza), occorreva verificare se la persona legata al venditore esercitava un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, fosse subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente. Si trattava, certamente, in ragione dell’interpretazione del dictum di legittimità, di un compito demandato al giudice di merito, che è stato disatteso dal giudice del rinvio, che erroneamente ha affermato che « con la sentenza n. 10685/2020 la Corte non ha enunciato uno specifico principio di diritto cui debba attenersi il giudice di rinvio » (cfr. pagine 7 -11 della sentenza n. 10685 del 2020) e che la Corte « nell’accogliere il terzo e quarto motivo di ricorso si è pronunciato con ampia motivazione in merito alla dazialità delle royalties » e che « deve allora ritenersi che, da un lato si è formato giudicato, anche implicito interno, con riferimento ai motivi accolti tre e quattro », così da un lato realizzando una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito e dall’altro richiamando in modo non conferente la nozione di giudicato implicito che richiede, per la sua formazione, che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si deduce essere stata risolta implicitamente, sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata (Cass. Sez. U., 29 aprile 2003, n. 6632; Cass., 5 luglio 2013, n. 16824; Cass., 12 marzo 2020, n. 7115). Inoltre, come già precisato da questa Corte, in tema di giudizio di rinvio, la rilevabilità del giudicato, interno ed esterno, in ogni stato
e grado del processo deve essere coordinata con i principi che disciplinano quel giudizio, e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel procedimento di legittimità, ma, anche, quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza stessa, ancorché ivi non dedotte o rilevate, sicché il giudice di rinvio non può prendere in esame la questione concernente l’esistenza di un giudicato, esterno o interno, qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente dalla statuizione di cassazione con rinvio (Cass., 8 febbraio 2016, n. 2411).
5.10 La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che dovrà operare la verifica sulle operazioni di importazioni in esame, al fine di accertare se, alla luce dei parametri indicati dalla Corte di Cassazione alle pagine 7 -11 della sentenza n. 10685 del 2020, la società contribuente, ha un potere di controllo, anche indiretto, in modo tale da incidere, in maniera determinante, non sulla qualità del prodotto, ma sul ciclo della produzione, sia in virtù delle pattuizioni del contratto di licenza, sia del contenuto negoziale del contratto di vendita.
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il primo motivo del ricorso incidentale e vanno assorbiti il primo ed unico motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbiti il primo ed unico motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2024.