Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15971 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15971 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Tributi Ires, iva e irap in materia di provvigioni -Ricorso per cassazione avverso pronuncia resa in sede di rinvio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31523/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, p.e.c.EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 4218/2021 depositata in data 17/05/2021, non notificata;
udita la relazione della causa nell ‘ adunanza camerale del 16 aprile 2025 tenuta dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’ Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE con riferimento alle provvigioni da contratti di mediazione immobiliare relativi all’anno 2006, rideterminando il reddito di impresa a fini Ires, Irap e Iva.
Avverso l’avviso di accertamento proponeva ricorso la contribuente, rilevando che esso era stato emesso prima del decorso del termine di giorni sessanta dall’accesso; che vi era difetto di motivazione, in violazione dell’art. 12, ultimo comma, legge n. 212/2000, essendosi limitato l’ufficio a richiamare contratti di compravendita e mutui senza la loro allegazione; che vi era difetto di riscontro probatorio; che erano infondate le riprese a tassazione.
La Commissione tributaria provinciale di Benevento (CTP) accoglieva il ricorso.
Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate.
Si costituiva con controdeduzioni la società appellata.
La Commissione tributaria regionale della Campania (CTR) accoglieva l’appello erariale.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società; il quinto motivo del ricorso era accolto da Cass. n. 19426/2018, che respingeva gli altri quattro motivi, con rinvio alla CTR della Campania.
Quest’ultima , con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva in parte l’appello della società riducendo il quantum della pretesa tributaria, ritenendo in particolare applicabile la misura del 2%, per ciascuna parte, quale provvigione media percepita.
Contro tale sentenza la società propone ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate, cui il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c., il 14/12/2021, non ha svolto attività difensiva.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del 16 aprile 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che la sentenza impugnata è stata pronunciata a seguito di ordinanza di questa Corte n. 19426/2018 che ha cassato con rinvio la sentenza della CTR della Campania, accogliendo in particolare il quinto motivo, dedotto come vizio di motivazione contraddittoria, in quanto la CTR, pur ritenendo fondato il rilievo in base alle risultanze delle raccolte degli usi e delle consuetudini delle camere di commercio, che evidenziavano una percentuale media della provvigione tra l’1,5% e il 2% per contraente, e alle dichiarazioni rese dallo stesso contraente negli studi di settore 2006, ove aveva dichiarato una percentuale media del 2% per ciascuna parte, aveva invece ritenuto corretta la determinazione della provvigione operata dall’Agenzia nella maggiore percentuale complessiva del 6%, cioè del 3% per ciascuna parte.
Questa Corte, inoltre, ha respinto, nel merito o dichiarandoli inammissibili, gli altri motivi; in particolare il primo, relativo alla violazione dell’art. 12, comma 7 , della legge n. 212 del 2000; il secondo, relativo ai presupposti dell’accertamento analitico induttivo ; il terzo, relativo alla violazione di norme processuali e al divieto di nova in appello; il quarto, infine, relativo alla motivazione dell’avviso di accertamento.
Ciò premesso, occorre passare all’esame dei motivi.
Con il primo motivo, pro posto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 111 Cost., in quanto completamente priva di motivazione.
2.1. Il motivo è infondato.
La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. n. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U. n. 8053/2014; successivamente tra le tante Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022).
In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Nel caso di specie la motivazione è graficamente presente e del tutto chiara è la ratio che essa esprime ; individuato l’oggetto del giudizio di rinvio nella sola determinazione della percentuale della provvigione, la CTR ha proceduto in conformità, riconducendola alla misura del 2% per ciascun contraente, rideterminando quindi i maggiori ricavi.
Se è vero che nel giudizio di rinvio determinato dalla cassazione per un vizio di motivazione, il giudice può indagare anche su altri fatti, ovviamente nei limiti della questione di fatto cui si riferisca la pronuncia di cassazione, il motivo è del tutto generico laddove assume che nel caso di specie il giudice del rinvio non lo abbia fatto.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto la CTR avrebbe omesso di esaminare: a) la insussistenza della condotta antieconomica della società; b) la circostanza che l’importo fatturato della società era conforme agli accordi presi con le parti; c) il fatto che la media calcolata dall’ufficio finanziario circa la percentuale applicata era pari al 2,26% cosicché la rideterminazione dei ricavi deve essere effettuata partendo da tale percentuale fino alla concorrenza del 3% o del 4%.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o un preciso accadimento in senso storico naturalistico (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 24035/2018; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 5133/2015; Cass., Sez. U., n. 5745/2015; Cass. n. 21152/2014; Cass. n. 7983/2014), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., n. 8053/2014).
Inoltre, nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. n. 24357/2023).
Ciò premesso, in primo luogo, nel motivo è del tutto apoditticamente affermata la natura decisiva di tali circostanze in fatto, laddove l’accertamento analitico induttivo si fonda essenzialmente sulla previsione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del
d.P.R. n. 600 del 1973 e quindi su presunzioni che, gravi, precise e concordanti, consentono di ricostruire i ricavi in difformità dalle scritture contabili.
In secondo luogo, la questione della condotta antieconomica del contribuente, determinata dalla incidenza assai elevata dei costi sui ricavi, che la ricorrente censura in fatto, è questione già oggetto del primo ricorso per cassazione, ove la Corte, oltre ad escluderne la novità, ha anche escluso che essa desse luogo a una postuma integrazione dell’avviso di accertamento, costituendo una mera argomentazione aggiuntiva, così rigettando terzo e quarto motivo del ricorso.
Analoghe considerazioni valgono in merito alla seconda doglianza, relativa alla sussistenza di una previsione contrattuale diversa in relazione al quantum della provvigione, in quanto questa Corte ebbe già a dichiarare inammissibile il (secondo) motivo di ricorso, con cui la società si doleva della «violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2729 c od. civ., in quanto la percentuale del 3% non corrispondeva a quanto realmente ricevuto a titolo di provvigione, come da pattuizioni intercorse tra le parti».
La terza doglianza è relativa al calcolo del quantum , assumendo la ricorrente che la CTR non abbia tenuto conto che nel calcolo del maggiore ricavo (applicando la percentuale complessiva del 3 o del 4%) dovesse tenersi conto del già dichiarato (avendo l’ufficio stesso e poi la CTR accertato che la parte aveva dichiarato compensi nella complessiva misura del 2,26%).
Anche tale censura è inammissibile per difetto di specificità e indicazione della decisività; la parte, richiamando solo il motivo di cassazione sul punto, omette di indicare se tale doglianza fosse indicata fin dall’atto introduttivo del giudizio, da un lato, e, dall’altro,
non allega che nell’accertamento i maggiori ricavi fossero stati calcolati senza tener conto dei ricavi dichiarati.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata perché priva di contenuto precettivo certo e omissiva delle domande proposte con riferimento alle questioni sub judice .
4.1. Il motivo è inammissibile in quanto privo di ogni indicazione delle disposizioni asseritamente violate, neanche implicitamente ricavabili dalla sua stringata e generica esposizione.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 35 e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, anche in relazione all’art. 278 c .p.c. denunciando la nullità della sentenza stante l ‘ inammissibilità nel processo tributario di sentenze di condanna generica, avente natura di sentenza non definitiva, laddove invece la CTR ha omesso di accertare e determinare il quantum debeatur.
5.1. Il motivo è infondato.
E’ certamente punto fermo nella giurisprudenza di questa Corte il principio che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di «impugnazione-annullamento», ma tra i processi di «impugnazionemerito», in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio; e che da tale natura discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle
domande di parte (Cass. n. 15825/2006; Cass. n. 13034/2012; Cass. n. 11935/2012; Cass. n. 6918/2013; Cass. n. 13294/2016; Cass. n. 31439/2018; Cass. n . 18777/2020; Cass. n. 34723/2022; Cass. n. 27098/2024).
Si tratta di principio costantemente affermato per i casi in cui però il giudice di appello si sia limitato ad una pronuncia di annullamento parziale o abbia rimesso esplicitamente all’Ufficio l’onere di procedere al ricalcolo dei ricavi (nel caso di Cass. n. 13294/2016, finanche di calcolare i costi) e rideterminare conseguentemente le imposte effettivamente dovute.
Nel caso di specie, invece, la CTR ha indicato e quantificato esplicitamente i maggiori ricavi su cui calcolare, con criterio predeterminato, la maggiore imposta, non incorrendo, perciò, nel vizio in esame.
6. Il ricorso va, quindi, respinto.
Non vi è a provvedere sulle spese di lite non avendo l’Agenzia delle entrate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.