Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19126 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19126 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23624-2024 R.G. proposto da:
NOME , in giudizio di persona, ex art. 86 cod. proc. civ., (pec: EMAIL, nonché con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ( pec: avvEMAIL, giusta procura speciale allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec:
Oggetto: TRIBUTI accertamenti bacari -giudizio di rinvio -produzione documenti
EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2411/02/2024 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 25 marzo 2024; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento relativi ad imposte dirette ed IVA per gli anni dal 2003 al 2005, emessi nei confronti di NOME COGNOME di professione avvocato, sulla scorta delle risultanze delle indagini bancarie compendiate nel processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. di Messina. La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Messina accoglieva parzialmente i ricorsi, applicando una sanzione unica, pari alla sanzione base aumentata della metà per l’anno 2003 e annullando le sanzioni irrogate per gli anni 2004 e 2005. La CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Sicilia, adita in via principale dalla contribuente, previa riunione degli appelli principali, li accoglieva parzialmente, riducendo i ricavi accertati sulla base di quanto risultante dalla CTU disposta in corso di causa, ed accoglieva gli appelli incidentali dell’Ufficio in ordine alle sanzioni.
Avverso tale decisione la contribuente proponeva ricorso per cassazione che veniva deciso con ordinanza n. 22905 del 21 ottobre 2020 che accoglieva il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza d’appello e rinvio alla CTR della Sicilia per nuovo esame della vicenda processuale osservando:
che, in materia di accertamenti bancari, su cui era fondato l’accertamento a carico della contribuente, era intervenuta la
sentenza n. 228 del 2014 della Corte costituzionale che aveva escluso la presunzione di ricavi dai prelievi bancari che, pertanto, non potevano più essere considerati indicativi di compensi non dichiarati, e quindi di redditi, a carico dei professionisti come la contribuente;
che la sentenza della CTR era illogica in quanto, pur avendo accertato che l’importo complessivo di euro 979.717,60 risultante dai movimenti bancari derivavano da una liberalità effettuata in favore della contribuente dai genitori, a seguito della cessione da parte di questi ultimi di una partecipazione societaria per 413.000,00 euro, aveva di poi ritenuto che la differenza, pari a 566.717,60 euro, derivasse da ricavi professionali senza considerare che anche tale residua parte poteva essere oggetto di liberalità dei genitori che vi avevano potuto provvedere con un eventuale proprio patrimonio;
che la CTR aveva determinato il reddito complessivo in euro 767.839,60 (frutto della somma tra l’importo di euro 201.122, che secondo la perizia non ha trovato giustificazione dall’esame dei conti correnti, e l’importo di euro 566.717,60, rappresentante l’importo che la CTR considera non derivante dalla liberalità dei genitori perché non compatibile con il loro reddito), cumulativamente per tutti gli anni oggetto dell’accertamento (2003, 2004 e 2005) senza distinguere in relazione a ciascuno di essi, in spregio al principio di autonomia dei periodi di imposta.
La contribuente riassumeva la causa dinanzi alla CTR della Sicilia che con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva parzialmente il ricorso.
I giudici di appello evidenziavano l’esistenza in atti di una consulenza tecnica di parte con cui venivano illustrate tutte le movimentazioni bancarie estranee all’attività professionale della contribuente e le donazioni di denaro effettuate alla stessa dai genitori e sottolineavano come tale ricostruzione fosse stata
verificata ed arricchita con nuova documentazione acquisita dal CTU, da cui emergeva che l’importo di 919.717,60 era frutto di quelle liberalità, con la conseguenza che andava escluso dalla ripresa a tassazione non costituendo ricavi. Confermavano, invece, gli atti impositivi per la differenza di 201.122,00 euro che il CTU aveva accertato costituire maggiori ricavi.
Avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
La ricorrente deposita memoria ex art. 380-bis1 cod. proc. civ. avanzando richiesta di trattazione della causa in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata la richiesta di parte ricorrente di trattazione della causa in pubblica udienza.
1.1. Nell’istanza la ricorrente deduce che il ricorso presenta una questione diritto di particolare rilevanza, tale da giustificare la rimessione della causa alla pubblica udienza di questa Sezione, da ravvisarsi nel fatto che «A fronte del principio espresso dalla Corte di Cassazione che l’eliminazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 600 del 1973 è un ‘dato, sopravvenuto agli atti della presente causa, fa quindi venire meno uno degli elementi portanti dell’accertamento in questione, che deve, pertanto, essere interamente rivisto alla luce della situazione determinata dalla suddetta sentenza’, sussiste o meno in capo al Giudice del rinvio, l’obbligo di valutazione anche delle produzioni documentali rese per la prima volta nel giudizio di riassunzione o se, viceversa, debba pronunciarsi – in applicazione dei principi di diritto resi nel giudizio di rimessione – esclusivamente sulla base della documentazione già inserita nel fascicolo processuale. E ancora se, il Giudice del rinvio debba dare conto espressamente nella motivazione del proprio
pronunciamento della utilizzabilità o meno della documentazione resa nel giudizio di riassunzione».
1.2. La richiesta va disattesa in adesione ai principii espressi dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare (Cass., Sez. U, n. 14437/2018), e quando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. U, n. 8093/2020). Va ricordato, al riguardo, che la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass. n. 6118/2021; Cass. n. 8757/2021; Cass. n. 31679/2022; Cass. n. 35435/2022).
1.3. Orbene, sulla questione della facoltà di produrre nel giudizio di rinvio documentazione nuova, che la ricorrente pone a base de ll’istanza in esame , questa Corte si è già più volte pronunciata al riguardo affermando che «Nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, è preclusa l’acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore» (cfr. Cass. n. 27736/2022; in termini, Cass. n. 26108/2018, n. 19424/2015, n. 17790/2014). E, con specifico riguardo alle peculiarità del giudizio tributario, si è ribadito che «In tema di istruttoria nel processo tributario, l’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che fa salva la produzione di nuovi documenti, non si applica nel giudizio riassunto a seguito di cassazione con rinvio
della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, trovando applicazione la disciplina specifica del successivo art. 63, comma 4, in base al quale, essendo sostanzialmente chiusa l’istruzione, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore» (cfr. Cass. n. 28976/23).
1.4. A tal riguardo è il caso di precisare che la produzione di nuovi documenti nel caso in esame certo non scaturisce da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento, posto che questa Corte, con la pronuncia dinanzi indicata, ha demandato al giudice del rinvio di esaminare nuovamente i risultati degli accertamenti già svolti, anche in considerazione dell’autonomia dei periodi d’imposta, non già di svolgerne di nuovi.
1.5. Né tra le predette ipotesi è annoverabile la pronuncia di incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, che ha escluso la presunzione di ricavo delle operazioni bancarie di prelevamento effettuate da soggetti diversi dai titolari di redditi d’impresa, e quindi dai professionisti, come la ricorrente. Infatti, in tale ipotesi è sufficiente decurtare dai ricavi accertati i prelevamenti effettuati, senza che a tal fine sia necessaria la produzione di documentazione. Peraltro, è la stessa ricorrente ad affermare nella memoria (pag. 3, par. 2) di aver depositato «documenti attinenti alla sfera patrimoniale dei genitori e ai versamenti effettuati» e, quindi, nulla che avesse attinenza ai prelevamenti.
Deve, inoltre, darsi atto che, con riferimento al caso in esame, dalla sentenza impugnata emerge che nel precedente giudizio
d’appello la ricorrente aveva prodotto una perizia di parte ed il consulente tecnico d’ufficio nominato da quei giudici aveva acquisito, nel corso delle operazioni peritali, ulteriore nuova documentazione, legittimamente utilizzata ai fini sia della redazione della consulenza che della decisione (in entrambi i giudizi di appello), posto che vertendosi in tema di c.t.u. contabile- «In materia di esame contabile, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni» (cfr. Cass., Sez. U, n. 3086/2022) e non risultando comunque nella specie essere stata mai eccepita alcuna nullità da una o dal l’altra delle parti processuali .
Da ultimo deve osservarsi che la questione pure dedotta nell’istanza in esame, ovvero «se il Giudice del rinvio debba dare conto espressamente nella motivazione del proprio pronunciamento della utilizzabilità o meno della documentazione resa nel giudizio di riassunzione», è all’evidenza priva di rilevanza ai fini della discussione del ricorso in pubblica udienza.
In buona sostanza, da tali complessive considerazioni discende anche il difetto di interesse della ricorrente a discutere in udienza pubblica le questioni addotte a sostegno dell’istanza che va, pertanto, rigettata.
Venendo, quindi, ai motivi di ricorso, con il primo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per motivazione apparente con riferimento al merito della pretesa; violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del D.lgs. 546/92 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.» , per non avere i giudici di appello spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto che « sulla base
della consulenza di ufficio (pag. 33 della C.T.U.) si deve ritenere una differenza complessiva di maggiori ricavi pari ad euro 201.122,00, ed in particolare: € 95.393,00 per l’anno d’imposta 2003; € 84.122,00 per l’anno d’imposta 2004; € 21.607,00 per l’anno d’imposta 2005 ». Sostiene, al riguardo, che « la CGT di II grado si è riportata pedissequamente alle risultanze della CTU effettuata nel 2012 e non ha minimamente considerato la copiosa documentazione prodotta dalla contribuente con nota di deposito documenti del 20/10/2023 » (ricorso, pag. 38).
5.1. Il motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza impugnata è corredata da una motivazione (condivisibile o meno, ma comunque) effettiva, sia dal punto di vista grafico che giuridico (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), avendo richiamato espressamente (anche indicandone la pagina) e condiviso le risultanze della espletata CTU.
5.2. Tale modus operandi è, peraltro, assolutamente legittimo alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui «il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto dei rilievi delle parti, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle allegazioni contrarie, che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili: le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono difatti in mere argomentazioni difensive » (Cass. n. 33742/22; Cass. n. 4344/23; Cass. n. 18886/23; Cass. n. 7587/24). E, nel caso in esame, si evince dalla sentenza impugnata che il c.t.u. aveva tenuto conto della perizia di parte: «Al riguardo merita evidenziare che il contribuente, assolvendo all’onere della prova ha depositato una consulenza tecnica di parte con cui venivano illustrate tutte le movimentazioni
bancarie estranee all’attività professionale della stessa e le donazioni di denaro poste in essere dai genitori e che tale ricostruzione è stata verificata ed arricchita con nuova documentazione acquisita dal CTU » .
5.3. L’ulteriore censura, pure rinvenibile nel motivo in esame, di omesso esame della documentazione prodotta nel giudizio di rinvio con la nota depositata in data 20/10/2023, va trattata unitamente al secondo e terzo motivo di ricorso costituendo oggetto anche di tali motivi.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, infatti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza impugnata per violazione/falsa applicazione dell’articolo 115 C.P.C., per omesso esame della documentazione prodotta e rilevante ai fini della controversia», per avere la CTR completamente ignorato la documentazione prodotta dalla contribuente, finalizzata a dimostrare la reale natura e la provenienza delle somme transitate nel conto corrente.
6.1. Con il terzo motivo deduce, questa volta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione/falsa applicazione dell’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/73 per omessa valutazione della documentazione prodotta» da essa nel giudizio di rinvio, con la conseguenza che la CTR non aveva recepito il dictum della sentenza cassatoria che aveva ritenuto errata la sentenza di secondo grado laddove aveva riconosciuto la liberalità da parte di terzi ma l’aveva limitata ad una porzione del reddito non dichiarato.
6.2. Le censure sono inammissibili.
6.3. Innanzitutto, perché muovono tutte dall’erroneo presupposto che sia consentita alle parti in sede di giudizio di rinvio di produrre nuova documentazione. Facoltà invece esclusa dalle pronunce di questa Corte di cui si è dato atto esaminando, in via
preliminare, l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza (Cass. n. 27736/2022, n. 26108/2018, n. 19424/2015, n. 17790/2014), fatte salve le deroghe indicate (sopravvenienza di fatti riguardanti la controversia in decisione, esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore), nella specie, però, del tutto insussistenti.
6.4. Pertanto, la censura di omesso esame di documenti che non potevano essere prodotti in giudizio è senz’altro inammissibile.
Il terzo motivo, inoltre, riproponendo la questione, già dedotta nel secondo motivo, dell’omesso esame della documentazione prodotta in giudizio, è inammissibile anche perché, sotto la veste del vizio di violazione di legge, avanza a questa Corte una non consentita richiesta di rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito (cfr., ex multis , Cass., Sez. U, n. 24148/2013; Cass. n. 91/2014).
Ed allora, con riferimento a tale motivo, è anche del tutto irrilevante, non emergendo con assoluta chiarezza dalle argomentazioni svolte nel ricorso, che la ricorrente abbia fatto riferimento alla documentazione prodotta nel giudizio di rinvio o nei precedenti gradi di merito.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025