Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16792 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16792 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12227/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ROMA 2
-intimato-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA del LAZIO n. 5554/2022 depositata il 01/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale del Lazio ( hinc: CTR), con sentenza n. 5554/2022, depositata in data 01/12/2022 nell’ambito del giudizio di rinvio riassunto a seguito dell’ordinanza n. 37421/2021, depositata in data 30/11/2021, con la quale questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza della CTR n. 556/14/2015 del 02/02/2015 -ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla contribuente, sig.ra NOMECOGNOME contro la sentenza n. 454/2013 emessa Commissione tributaria provinciale di Roma.
La CTR -dato atto che l’ordinanza n. 37421 del 2021 di questa Corte aveva affermato il principio che consentiva al contribuente di emendare la propria precedente dichiarazione anche in sede giudiziale, a prescindere dal rispetto del termine previsto dall’art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322 del 1998 -ha rilevato che il presente giudizio traeva origine dalla cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria, a seguito di discordanze riscontrate nei dati contabili espressi nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2006. Ha quindi rilevato che l’Agenzia delle Entrate -pur riscontrando gli importi relativi alle ritenute di acconto e le eccedenze della precedente dichiarazione dei redditi -non aveva ritenuto che trovassero adeguato riscontro documentale i costi di Euro 54.614, se non per l’importo di Euro 12.600 relativo ai canoni di locazione immobiliare. In ragione di tale eccezione sollevata dall’Agenzia delle Entrate, ha quindi accolto l’appello della contribuente riconoscendo i costi limitatamente all’importo di Euro 12.600,00.
Contro la sentenza della CTR ha contribuente ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
La parte intimata non si è costituita.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata la Violazione e falsa applicazione degli artt. 384, 389 e 345 c.p.c.; dell’art. 6 legge n. 212/2000, art. 36 bis DPR 600/73, art. 54 bis DPR 633/72 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art . 360 n. 4 c.p.c.
1.1. La ricorrente rileva che il giudice, sia in primo che in secondo grado, non era entrato in alcun modo nel merito del contenuto della dichiarazione, in mancanza di contestazioni analitiche da parte dell’Agenzia , che si era limitata a contestarne la sola tardività. Questa Corte, nel cassare la sentenza della CTR, con l’ordinanza n. 37421/2021 « ha riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligaz ione tributaria, indipendentemente dai termini di cui all’art. 2 cit. »
Evidenzia, quindi, che quando questa Corte cassa la sentenza per violazione di norme di diritto, il giudizio di rinvio è sostanzialmente ‘chiuso’ come disposto dall’art. 384 , primo comma, c.p.c. Il giudice di rinvio è, pertanto, tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, trattandosi di preclusione processuale concernente tutte le questioni prospettate dalle parti o rilevate d’ufficio.
1.2. La ricorrente rileva, poi, che la decisione impugnata ha violato anche l’art. 6 legge 27/07/2000, n. 212, dal momento che l’Agenzia delle Entrate ha escluso i giustificativi di spesa in occasione
dell’udienza di discussione del giudizio di rinvio , senza alcuna preventiva contestazione o richiesta di documentazione suppletiva.
1.3. Infine, la sentenza impugnata, secondo parte ricorrente, è incorsa anche nella violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Difatti, la CTR non ha in alcun modo preso in considerazione l’avvenuta esecuzione forzata subita dalla contribuente nelle more del procedimento, né ha provveduto a dichiarare non dovuta la somma incassata a seguito dell’esecuzione. Appare irrilevante, sotto tale profilo, che l’intera somma incassata non fosse dovuta (secondo la prospettazio ne dell’odierna ricorrente), ovvero che non fosse dovuta solo in parte (secondo la pronuncia della Corte). La mancata pronuncia su tale capo della domanda costituisce violazione del principio della rispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.
1.4. In via preliminare, occorre rilevare che il motivo di ricorso si articola in due parti autonomamente distinguibili: la prima si incentra sulla violazione di legge (evocata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 384, 389 e 345 c.p.c., nonché degli artt. 6 legge n. 212 del 2000, 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972), mentre la seconda riguarda un error in procedendo incentrato sulla violazione dell’art. 112 c.p.c.
1.5. Le censure relative alla violazione di legge sono infondate, sebbene sia necessaria la correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384, comma 4, c.p.c.
Secondo questa Corte nel contenzioso tributario (così come nel processo di cognizione ordinaria), il giudizio di rinvio è un “processo chiuso”, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese, né formulare difese che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto “ex lege” ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia
in contrasto con il giudicato implicito ed interno, sì da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (Cass., 21/09/2015, n. 18600).
Tuttavia, quanto affermato da questa Corte -anzi in piena coerenza con quanto evidenziato da quest’ultima -entrambe le parti, mantengono, nel giudizio di rinvio, la stessa identica posizione, anche con riferimento all’onere della prova.
Sul punto occorre rilevare che l’atto impositivo impugnato è costituito da una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato e, in particolare, in esito al controllo della dichiarazione che la contribuente stessa aveva chiesto di rettificare, con la conseguenza che non poteva esserci alcuna contestazione.
Di conseguenza, se è vero che, nel caso di specie, all’Agenzia delle Entrate erano precluse eccezioni non articolate nei precedenti gradi di merito, è altrettanto vero che ciò non esonerava la contribuente dal provare le richieste di integrazione della propria dichiarazione e, in particolare , l’effettiva esistenza dei maggiori costi affermati . In altre parole, con l’ordinanza di questa Corte n. 37421 del 2021, viene posta fine alla questione (ritenuta dirimente nella pregressa fase di giudizio) relativa alla tempestività della richiesta del contribuente. Ciò, a ben vedere, ha vincolato il giudice del rinvio, nel ritenere non tardiva, la richiesta di correzione dei dati da parte della contribuente (non trovando applicazione il termine ex art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322 del 1998), ma non ha significato che qualunque dato dichiarato dalla contribuente dovesse essere preso per buono, senza alcuna verifica da parte del giudice di merito. Peraltro, nella sentenza impugnata si legge: « come eccepito dall’Agenzia che i n ordine a tali costi non risulta depositata alcuna documentazione giustificativa, fatta eccezione per il solo importo di € 12.600 relativo a canoni di
locazione immobiliare; con la conseguenza che la legittimità dell’impugnato atto impositivo permane per la residua parte di € 42.014.»
È pertanto evidente come la CTR, pur richiamando l’eccezione sollevata dall’Agenzia delle Entrate, abbia ritenuto, comunque, non provati i costi per un ammontare pari a Euro 42.014. Né la parte, nel motivo di ricorso, indica come fosse stata provata la rettifica dei costi in relazione all’importo appena indicato e ritenuto non provato dalla sentenza della CTR.
1.6. Deve, quindi, ritenersi che il carattere di “processo chiuso” proprio del giudizio di rinvio e la preclusione per le parti in ordine a richieste diverse da quelle già prese o alla formulazione di difese che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto “ex lege” ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, non altera i criteri di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che il contribuente è tenuto a fornire la prova dei maggiori costi che chieda di rettificare, in esito al controllo formale disposto dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973.
1.7 . Venendo all’esame della seconda parte del primo motivo di ricorso -incentrata sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. deve ritenersi che il primo motivo sia infondato anche con riferimento a tale censura. Nelle conclusioni della parte in sede di rinvio (trascritte a pag. 8-9 del ricorso in cassazione) si legge, infatti: « 3) dichiarare, per l’effetto, non dovuta la somma di € 25.951,64 oggetto dell’esecuzione mobiliare … »
La parte ricorrente rilevata, quindi, a pag. 9 del ricorso: « La Corte territoriale non ha in alcun modo preso in considerazione l’avvenuta
esecuzione forzata subita dalla contribuente nelle more del procedimento né dichiarato, come richiesto non dovuta la somma incassata a seguito dell’esecuzione appare irrilevante, sotto tale profilo, se l’intera somma incassata non sia dovuta secondo la pro spettazione dell’odierna ricorrente ovvero non sia dovuta solo in parte secondo la pronuncia della Corte. »
1.8. Occorre richiamare, in via preliminare, il carattere del processo tributario come impugnazione-merito: si tratta, infatti, di un giudizio non diretto alla sola eliminazione dell’atto, ma funzionale a una pronuncia di merito sostitutiva sia della dichiarazione che dell’accertamento dell’ufficio, con la conseguenza che in caso di parziale infondatezza della pretesa fiscale il giudice non può limitarsi ad annullare l’atto, ma deve quantificare la corretta pretesa dell’amministrazione (Cass., 10/12/2024, n . 31827).
Nella specie la sentenza impugnata ha ritenuto corrette le rettifiche della contribuente, ad eccezione dei costi non provati per Euro 42.014, indicando nel dispositivo « accoglie l’appello della contribuente nei limiti di cui in motivazione» . Di conseguenza, non ha riconosciuto come non dovuta l’intera somma (che la contribuente assume di aver pagato coattivamente in sede esecutiva) di Euro 25.951,64.
1.9. Ciò premesso, la restituzione alla contribuente delle somme oggetto di esecuzione in eccesso rispetto all’atto impositivo è conseguenziale alla rideterminazione degli importi dovuti da parte del giudice di seconde cure in sede di rinvio. Difatti, l’art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che, in caso di accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccedenza deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza e in caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l’ottemperanza ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 546 del 1992.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 , secondo comma, c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. Con tale motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver disposto la compensazione delle spese di lite tra le parti. A tal fine evidenzia che la CTR ha riformato, integralmente, la decisione del giudice di prime cure, che aveva ritenuto tardiva la dichiarazione integrativa della contribuente.
Ha, quindi, evidenziato che:
è illogico ed illegittimo compensare le spese relative alle due fasi del giudizio che si sono concluse con l’accoglimento integrale delle domande ( i.e. il giudizio di legittimità per il quale la Corte Suprema aveva demandato alla corte territoriale la liquidazione delle stesse e giudizio di primo grado dinanzi alla CTP la cui sentenza è stata integralmente riformata);
-la CTR avrebbe dovuto valutare la circostanza che il comportamento contrario alla normativa vigente da parte dell’Agenzia delle Entrate (a prescindere da quanto dedotto con il primo motivo di ricorso) ha reso necessario sia l’appello che il giudizio di legittimità e quello di rinvio. Con notevoli spese (quantomeno per il Contributo Unificato) che per i due giudizi d’appello sono pari ad € 500,00 oltre € 54,00 per marche e per il giudizio di legittimità pari ad € 650,00 ;
le « gravi ed eccezionali ragioni » che sole possono giustificare la compensazione delle spese di lite, non sussistono nel caso di specie. 2.2. Il motivo è infondato: secondo questa Corte la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato
di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., 20/12/2017, n. 30592).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese di lite, considerata la mancata costituzione della parte intimata.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/03/2025.