Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35268 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 25439-2023, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (c.f. P_IVA), in persona del custode e amministratore giudiziario p.t., in forza di nomina del Tribunale di Napoli del 26 novembre 2014, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui indirizzo digitale pec EMAIL elettivamente domicilia –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente Avverso la sentenza n. 3140/03/2023, pronunciata dalla Corte di giustizia adunanza camerale del 7 novembre tributaria di II grado della Campania, depositata il 15.05.2023; udita la relazione della causa svolta nell’ 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Giudizio di rinvio –
Riassunzione – Modalità
La lunga controversia trae origine dalla verifica, e all’esito di questa, dalla emissione degli avvisi d’accertamento, relativi alle annualità 2007/2010, con cui l’Agenzia delle entrate contestò alla società l’esercizio fittizio dell’attività di noleggio di imbarcazioni da diporto e, più specificamente, il disconoscimento dei costi di gestione inerenti all’imbarcazione di proprietà della RAGIONE_SOCIALE battezzata ‘NOME‘ , perché ritenuta nell’uso esclusivo e personale dei soci . Furono pertanto rideterminati gli imponibili ai fini Ires, Irap ed Iva.
Seguirono i contenziosi, e per quanto qui di interesse, quello relativo all’accertamento per l’anno 2010 , esitato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli nella sentenza n. 364/38/2017, che accolse parzialmente il ricorso della società, in particolare quanto alla non debenza di maggiori imposte ai fini Ires ed Irap ed al riconoscimento del principio del cumulo giuridico ai fini della rideterminazione delle sanzioni, confermando nel resto l’atto impositivo.
Ciascuna parte, per quanto soccombente, adì la Commissione tributaria regionale della Campania, che con sentenza n. 10395/22/2018 dichiarò inammissibile perché tardivo l’appello dell’ufficio ed infondato quello della società.
Entrambe le parti adirono la Corte di cassazione, che con sentenza n. 12996, depositata il 26 aprile 2022, accolse il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, riconoscendo la tempestività dell’appello, e respinse quello incidentale della contribuente, ritenendolo infondato.
Il giudizio fu riassunto dalla società dinanzi alla Corte di giustizia di II grado della Campania, che con sentenza n. 3140/03/2023, ora al vaglio di questa Corte, ha dichiarato inammissibile l’appello in riassunzione della contribuente ed ha accolto quell o dell’amministrazione finanziaria.
Quanto alle ragioni d’impugnazione della società, ha ritenuto che , alla luce delle statuizioni della Corte di legittimità e del carattere chiuso del giudizio di rinvio, ogni ragione d’appello della medesima era da considerarsi ormai definitivamente rigettata, così essendosi cristallizzata in via giurisdizionale la relativa posizione. Il giudizio di rinvio doveva invece occuparsi delle sole ragioni dell ‘Agenzia delle entrate (il cui appello era stato
ritenuto tempestivo). Nel merito tali ragioni sono state accolte (con conseguente conferma della rideterminazione dell’imponibile della società ai fini Ires e Irap).
La società ha chiesto la cassazione della sentenza sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati con mem oria. Ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La contribuente ha contestato:
Con il primo motivo la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 53 del d.lgs. n. 546/92 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. La pronuncia avrebbe erroneamente trattato l’atto difensivo depositato dall’Ufficio alla stregua di un atto di appello, seppur chiaramente privo dei requisiti minimi per essere qualificato in tal senso. Il che, conseguentemente, avrebbe altresì indotto i giudici dell’appello a incorrere nella violazione dell’art. 324 c.p.c. , nella misura in cui -stante l’inidoneità dell’atto difensivo dell’Agenzia a dispiegare gli effetti di un atto di appello gli stessi non hanno accertato e dichiarato il passaggio in giudicato dei capi della sentenza di primo grado favorevoli alla Società, siccome non impugnati.
Il motivo va rigettato perché non tiene conto che la Corte di giustizia tributaria campana ha deciso non già convertendo la breve memoria dell’amministrazione finanziaria in ricorso per appello, ma semplicemente tenendo conto, una volta riassunto il giudizio da parte della società, delle ragioni d’appello già articolate in origine dall’ufficio.
Questa Corte, con interpretazione consolidata, che il Collegio condivide ed a cui intende comunque dare continuità, ha chiarito che la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ., ha la funzione di riattivare il giudizio, configurandosi come meramente ripetitiva delle richieste avanzate negli atti processuali precedenti, a mezzo dei quali, pertanto, il suo contenuto può essere integrato, sicché, per la
validità dell’atto di riassunzione, non è imposta, né tanto meno richiesta, la precisione espositiva dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado o dell’atto di appello (Cass., 29 marzo 2006, n. 7243; 14 febbraio 2017, n. 3883; 22 dicembre 2022, n. 37200). Con specifico riferimento al processo tributario, si è affermato che, ai fini della validità dell’atto di riassunzione in sede di rinvio, l’art. 63 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel dettare una disciplina speciale e pertanto prevalente rispetto a quella generale di cui all’art. 392 cod. proc. civ., non richiede che ne sia specificato il petitum , per essere sufficiente il richiamo al ricorso introduttivo del giudizio, nonché il contenuto del provvedimento in base al quale avviene la riassunzione (Cass., 11 aprile 2018, n. 8936).
Ebbene, come d’altronde già apprezzato in sede di rinvio dal giudice regionale, la memoria di costituzione in riassunzione dell’ufficio, oltre che eccepire l’inammissibilità delle ragioni riportate dal contribuente con l’atto di riassunzione (le cui prospettazioni erano state dichiarate infondate dalla Corte di cassazione, così cristallizzandosi definitivamente la sua soccombenza), aveva rispettato i limiti di contenuto richiesti in tale fase processuale.
A tal fine l’ufficio, come sempre rilevato dalla sentenza ora impugnata, con quella memoria aveva richiamato la pronuncia di rinvio della Corte di legittimità, che aveva riconosciut o la tempestività dell’appello erariale, così ‘restitu endo ‘ all’Agenzia delle entrate la legittima posizione processuale di appellante, e pertanto era stato rimesso sui binari processuali per l’esame delle proprie ragioni in sede di rinvio, senza necessità di ripetere le difese già sviluppate nel proprio originario atto d’appello .
La prima critica articolata nei riguardi della sentenza va dunque rigettata.
Con il secondo motivo la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 324 c od. proc. civ ., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c.
La Corte avrebbe del tutto omesso di rilevare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione da parte dell’Ufficio, del capo della sentenza di primo grado che aveva accertato la mancata applicazione dell’istituto del
cumulo giuridico con riferimento alle sanzioni irrogate ai fini dell’i.v.a. e, contestualmente, ne aveva disposto la rideterminazione.
Il motivo è privo di pregio perché, se è vero, e sul punto manca ogni diversa contestazione, che il capo di sentenza, favorevole alla contribuente, in ordine all’applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni, così come riconosciuto sin dalla pronuncia della commissione provinciale, non fu oggetto di appello da parte della difesa erariale, esso si è già cristallizzato e non doveva essere preso in considerazione né dal primo giudice d’appello né da quello del rinvio.
Anche questo motivo è pertanto da rigettarsi.
Nella memoria da ultimo depositata la ricorrente richiama due sentenze penali, che afferma passate in giudicato per mancata impugnazione, con le quali il tribunale di Napoli avrebbe assolto i Sig. COGNOME e COGNOME dai reati loro ascritti per ‘insussistenza del fatto’. Ad avviso della ricorrente si tratterebbe dei medesimi fatti oggetto di contestazione nei confronti della società nel giudizio de quo .
Essi sono documenti del tutto irrilevanti nel presente giudizio.
Innanzitutto, per come formulata la questione, l’istanza è inammissibile. Trattandosi di pronuncia penale già portata all’attenzione del giudice del rinvio, che infatti se ne è occupato nella sentenza impugnata, evidenziandone l’irrilevanza in questa sede perché ‘fondata su diversi presupposti normativi e fattuali’ -p. 8, primo cpv della pronuncia-, era necessario che la difesa della società traducesse la questione in un autonomo capo di impugnazione, non essendo invece idonea la sua rappresentazione in una memoria illustrativa.
Inoltre, proprio perché vagliata espressamente dal giudice del rinvio, occorreva evidenziare in cosa quel giudice avesse errato sul piano valutativo e argomentativo. Ciò vale ancor più, alla luce della circostanza che le pronunce invocate risultano divenute irrevocabili da data addirittura anteriore (2017 e 2019) alla sentenza della Corte di legittimità n. 12996/2022, con la quale è stata cassata e rinviata alla Corte tributaria di II grado della Campania la controversia de quo .
Il ricorso va in definitiva rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità sostenute dalla controricorrente, che si liquidano nella misura di € 8.200,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 7 novembre 2024