Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17773 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14/2018 R.G. proposto da :
DI COGNOME, NOMERAGIONE_SOCIALE domiciliatI ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE -DIREZIONE PROVINCIALE DI CASERTA, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 4516/2017 depositata il 12/05/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE nonché -per partecipazione -i soci COGNOME NOME e COGNOME NOME erano attinti da avviso di accertamento per Iva ed altro sull’anno di imposta 1998 per operazioni soggettivamente inesistenti.
Il giudice di prossimità non apprezzava le ragioni della parte contribuente, donde spiccava appello la sola soc. RAGIONE_SOCIALE che trovava accoglimento dal collegio di secondo grado, la cui sentenza era cassata con rinvio da questa Corte, in ragione della violazione del litisconsorzio fra società e soci.
Riassunto il giudizio -tanto dai due soci, quanto dalla società -il collegio del rinvio rigettava le ragioni della parte privata, affermando non esservi stata violazione del contraddittorio.
Ricorrono per cassazione i soci COGNOME Salvatore e COGNOME, affidandosi a due motivi di impugnazione, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, il Pubblico Ministero in persona del sost. Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in forma di memoria, concludendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 383 del medesimo codice di rito civile. Nella sostanza, si prospetta violazione del principio di diritto emesso nel giudizio rescindente, laddove la sentenza in scrutinio ha negato vi fosse stata violazione del contraddittorio nel precedente giudizio di appello ed ha proceduto a riedizione dello stesso, giungendo a conclusione
opposta al suo primigenio convincimento, rigettando l’appello nel merito.
1.2. Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in parametro all’art. 111 Cost., nonché all’art. 132 del medesimo codice di rito civile, contestando omessa motivazione della sentenza. Nello specifico, si lamenta che la sentenza in scrutinio non si confronti con le specifiche censure d’appello che vengono riprodotte del corpo del ricorso per cassazione ai fine dell’esaustività e completezza del motivo di doglianza.
Il primo motivo non può essere accolto.
2.1. In caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare “ex novo” il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, senza che rilevi l’eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio » (cfr. Cass. V, n. 4070/2019; Cass. n. 24336/2015; Cass. n. 1/1963). Come è noto, nel giudizio di rinvio, che costituisce una nuova fase del processo, autonoma rispetto alle precedenti, finalizzata alla sostituzione della sentenza cassata, l’oggetto della controversia è chiuso e circoscritto nei limiti segnati dalla pronuncia di annullamento della Corte (Cass. 7 novembre 2003, n. 16694; Cass. 22 maggio 2006, n. 11939; Cass. 7 marzo 2011, n. 5381; Cass. 5 aprile 2013, n. 8381; Cass., Sez. Lav., 29 maggio 2014, n. 12102; Cass. 5 aprile 2016, n. 6552; Cass. 23 marzo 2017, n. 7506; Cass. 18 ottobre 2018, n. 26194; Cass., Sez. Lav., 23 marzo 2023, n. 8308). Ne consegue che, per un verso, le parti non possono ampliare oltre tali limiti l’oggetto del giudizio di rinvio, salvo che ciò sia reso necessario da statuizioni
contenute nella sentenza della Corte di cassazione. Per altro verso, il giudice non può riesaminare gli antecedenti logici e giuridici delle questioni decise, né può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso, ovvero all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità, ed è tenuto ad uniformarsi ai principi di diritto enunciati nella pronuncia della Corte e a quanto ivi statuito stante il disposto dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ. (sull’argomento, ex pluribus¸ Cass. 21 febbraio 2019, n. 5137; Cass. 6 novembre 2019, n. 28547; Cass. 31 marzo 2022, n. 10375; Cass. 14 aprile 2022, n. 12263; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3888).
2.2. Nel caso in esame, costituisce mero obiter dictum -e non autonoma ratio decidendi -il terzo capoverso di pagina 2 della sentenza in scrutinio, ove si afferma non esserci stata violazione del contraddittorio nella precedente edizione del giudizio di appello, rilevandosi comunque la regolarità del contraddittorio, fin dalle prime righe della sentenza e procedendosi ad un integrale esame del gravame, secondo i motivi che involgevano l’interezza della sentenza di primo grado, con ampia e doviziosa motivazione. Non vi è quindi stata violazione del principio di diritto espresso nel giudizio rescindente, atteso che il collegio del rinvio ha curato la verifica dell’integrità del contraddittorio ed ha proceduto all’esame nel merito, come gli era stato richiesto con la pronuncia n. 19060/2014 di questa Suprema Corte di legittimità.
2.3. Peraltro, ed in radice, il giudizio di rinvio si è svolto comunque con la partecipazione di tutti i contraddittori necessari, in perfetto ossequio con quanto disposto da questa Suprema Corte di legittimità.
Il primo motivo non può pertanto essere accolto.
Né può essere accolto il secondo motivo, dove si lamenta carenza di motivazione e mancato confronto con i motivi di gravame.
3.1. Ed infatti, deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI -5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI -5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018).
3.2. Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei
mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
3.3. Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. cinquemilaseicento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 08/05/2025.