Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18501 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18501 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26409-2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, con domicilio eletto presso l’Avv. NOME COGNOME (pec:
COGNOMEEMAIL) ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
Oggetto: TRIBUTI -giudizio di rinvio
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2177/09/2018 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 5 aprile 2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del
16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA emesso nei confronti di NOME COGNOME esercente l’attività di grossista di salumi e formaggi, con cui l’amministrazione finanziaria rideterminava un maggior reddito d’impresa per l’anno d’imposta 1998 sulla scorta delle risultanze del processo verbale di constatazione redatto in data 14/05/1999 a seguito di verifica condotta dalla G.d.F. anche con accesso presso l’abitazione del contribuente , da cui emergeva che quest’ultimo aveva stornato sul conto di mastro ‘Titolare c/c’ operazioni di versamento eseguite sul conto ‘banca C ommerciale Italiana’ e sul conto ‘Cassa’ per un importo imponibile di oltre tre miliardi delle vecchie lire ed aveva omesso di fatturare operazioni imponibili.
La CTP di Rieti, inizialmente adita dal contribuente, accolse il ricorso ritenendo violato l’art. 52 del d.p.r. n. 633/72, non sussistendo gravi indizi dell’illecito fiscale giustificanti l’accesso presso l’abitazione del contribuente e, quindi, annullò l’atto impositivo .
Con la sentenza n. 186/19/2005 la CTR del Lazio rigettò l’appello dell’Ufficio che, quindi, propose ricorso per cassazione.
Con sentenza n. 7813/2010 questa Corte rigettò il primo motivo di ricorso, con cui l’amministrazione finanziaria aveva dedotto il passaggio in giudicato della sentenza d’appello relativa all’annualità 1997 sul punto della legittimità dell’accesso della Guardia di Finanza, che riconosceva legittima in accoglimento del secondo motivo di ricorso, ed accolse anche gli altri due motivi proposti dall’Agenzia delle entrate rilevando che « la motivazione della sentenza della C.T.R. è
gravemente carente nella valutazione degli elementi di fatto che costituivano l’oggetto del giudizio di appello ».
La CTR del Lazio, a conclusione del primo giudizio di rinvio, pronunciò la sentenza n. 102/01/2012 con cui rigettò nuovamente l’appello dell’Agenzia delle entrate , ritenendo l’avviso di accertamento illegittimo, in quanto non era dato comprendere i criteri attraverso cui era stata effettuata la rettifica del reddito d’impresa.
L’Agenzia delle entrate propose nuovamente ricorso per cassazione che questa Corte accolse con la sentenza n. 5966/2017 disponendo il rinvio della causa al giudice d’appello per nuovo esame rilevando che:
«La CTR, nel respingere l’appello dell’agenzia delle entrate, non ha applicato correttamente le norme richiamate dalla parte ricorrente, nell’unico motivo formulato, riguardanti i criteri che informano gli accertamenti tributari analitico-induttivi. In particolare, il giudice d’appello non ha conformato la decisione alla sentenza di annullamento dell’avviso d’accertamento con rinvio, pronunciata dalla Corte di Cassazione, che aveva evidenziato il vizio di motivazione della precedente sentenza d’appello nel punto concernente il reale contenuto dell’accertamento, consistente nell’attribuzione di ingenti versamenti riscontrati sul conto del contribuente-imprenditore»;
«La sentenza impugnata ha erroneamente applicato le norme richiamate dall’agenzia ricorrente, nella parte in cui pur richiamando il suddetto orientamento, ha ritenuto che, qualora la rettifica concerna attività di rivendita di merci o prestazione di servizi ulteriori rispetto a quelle contabilizzate, la stessa rettifica non potrebbe andare oltre la differenza i corrispettivi ricavati e i costi necessari alla loro produzione»;
«la sentenza della CTR ha erroneamente applicato le norme in questione, laddove, pur limitando l’accertamento del maggior reddito d’impresa alla differenza tra corrispettivi e costi, ha omesso del tutto
di determinare la parte del reddito che era stata sottratta alla tassazione, come desumibile dai dati bancari esaminati»;
«Infine, la CTR ha motivato il rigetto dell’appello argomentando altresì su una questione distinta da quella afferente alla corretta ricostruzione del reddito d’impresa, attraverso gli accertamenti bancari, con riferimento alle percentuali di ricarico sula merce venduta».
Riassunta nuovamente la causa dinanzi alla CTR del Lazio, questa con la sentenza in epigrafe indicata ha accolto l’appello dell’Ufficio sostenendo che il contribuente in sede di riassunzione non avesse fornito alcuna prova di quanto richiesto dal giudice di legittimità, in particolare in ordine agli elementi desumibili dalla documentazione relativa al c/c bancario tenuto presso la banca Commerciale Italiana, risultante dall’allegato 18 al p.v.c. , essendosi la parte contribuente limitata ad indicare genericamente che tali movimenti erano riferibili a ‘prestiti personali eseguiti nei confronti di clienti e fornitori in difficoltà economiche’.
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 1, comma 2, e 64 D.lgs. n. 546 del 1992 nonché dell’art. 384, comma 2, c.p.c.» per essersi i giudici del rinvio indebitamente sottratti al dovere di verificare se il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 5966/2017 in ambito di accertamenti fondati sul riscontro di dati bancari fosse effettivamente rilevante -e quindi applicabile al caso concreto -nella fattispecie devoluta al loro esame, posto che nel caso di specie non si verteva in ambito di accertamenti bancari, avendo la stessa Guardia di
Finanza richiesto la revoca alla Procura della Repubblica dell’autorizzazione precedentemente concessa all’utilizzo dei dati bancari.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione degli artt. 51, 52 e 54 D.P.R. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ.», per avere la CTR ritenuto applicabili alla presente fattispecie i principi valevoli in ambito di accertamenti bancari nonostante le contestazioni avessero ad oggetto non già un conto corrente bensì un conto di mastro.
I motivi, da trattare congiuntamente perché connessi ai limiti e ai risultati dell’indagine demandata a i giudici di appello con la pronuncia rescindente, sono infondati e vanno rigettati.
3.1. È noto l’insegnamento di questa Corte sul carattere cd. chiuso del giudizio di rinvio (tra le tante, Cass., Sez. U, n. 17332/2021; Cass. n. 5253/2024; Cass. n. 26545/2024), al quale la sentenza gravata si è scrupolosamente attenuta.
3.2. Si è condivisibilmente affermato nella pronuncia da ultimo citata che la ricostruzione ampiamente consolidata della natura del giudizio di rinvio evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione. Il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c. Pertanto il giudice del rinvio, riassunta la causa, dovrà innanzitutto individuare l’oggetto del giudizio attraverso un’attenta ricostruzione delle censure accolte dalla Cassazione, per poi adoperarsi nell’espletamento delle attività conseguenti. I n ragione della struttura ‘chiusa’ propria del giudizio di rinvio, cioè della cristallizzazione della posizione delle parti
nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione (più precisamente fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni), il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessi dalla cassazione con rinvio, può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti (senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti fino a quel momento) soltanto a condizione che si tratti di fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione, a meno che la nuova attività assertiva ed istruttoria sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di Cassazione in sede di rinvio (cfr. Cass. n. 11411/2018, n. 7281/2011, n. 11962/2005). A parte queste ultime ipotesi, il giudice di rinvio è vincolato dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso, anche nel caso in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce consequenziali, ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori (vedi per tutte: Cass. n. 21006/2005).
3.3. L’intangibilità degli effetti della sentenza cassatoria vincola il giudice del rinvio ed ancor prima le parti, cui è inibito prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, o modificare i termini oggettivi della controversia, espressi o impliciti nella sentenza di annullamento, investendo tale preclusione non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio (arg. da Cass. n. 22885/2015) o lamentare la mancata considerazione di questioni o circostanze già dedotte nei precedenti gradi di merito idonei a ledere quell’intangibilità di cui si è detto.
3.4. Ci si riferisce, in particolare, alle circostanze dedotte dal ricorrente nei due motivi di ricorso in esame, concernenti
l’insussistenza sub specie di una ricostruzione del reddito attraverso indagini bancarie, comprovata, a dire del ricorrente, dalla revoca dell’autorizzazione alle indagini bancarie. Peraltro, quella in esame è censura che neppure coglie nel segno se si considera che la sentenza contiene un accertamento in fatto, non adeguatamente contestato, là dove afferma che l’allegato 18 del p.v.c. della G.d.F. conteneva i risultati della verifica effettuata «in relazione al c/c. Bancario tenuto con la Banca RAGIONE_SOCIALE e dalla stessa emerge chiaramente che il contribuente per l’anno 1998, oggetto di verifica, aveva stornato sul conto di mastro ‘Titolare c/c’, le operazioni di versamento, aventi quindi rilevanza reddituale, eseguite anche sul conto corrente del predetto istituto di credito.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la « Violazione dell’art. 112 c.p.c.» per avere la CTR obliterato qualsivoglia considerazione in merito alle deduzioni con le quali il contribuente aveva fornito adeguata spiegazione circa la natura del mastrino.
4.1. Il motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza impugnata, per stessa ammissione del ricorrente, si pronuncia sulla questione dedotta nella censura affermando – a torto o a ragione, non rileva – che « il contribuente non fornisce alcuna prova di quanto richiesto dal Giudice di legittimità ».
Con il quarto motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 132 n. 4 c.p.c.» per non avere i giudici di appello « fornito alcuna spiegazione sul perché le ragioni addotte nel terzo motivo di riassunzione a spiegazione delle movimentazioni evidenziate nel conto mastro non fossero sufficienti a dimostrare l’irrilevanza reddituale delle stesse, trattandosi di finanziamenti del sig. COGNOME alla propria ditta individuale ».
5.1. Anche tale motivo è manifestamente infondato.
5.2. Per costante insegnamento di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, omette di illustrare l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di
integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
5.3. Orbene, in tale grave forma di vizio non incorre la sentenza impugnata che deve ritenersi sufficiente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata esposizione delle ragioni , indicate in narrativa, che hanno indotto i giudici di appello ad accogliere l’appello dell’Ufficio e ritenere infondate, invece, le deduzioni del contribuente circa la natura di finanziamenti effettuati dal COGNOME alla propria ditta, avendo ritenuto costituissero ricavi non dichiarati le somme versate sul conto corrente bancario e da qui stornate sul conto di mastro.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente, rimasto soccombente, va condannato al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025