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Giudizio di ottemperanza: l’unica via post-riforma

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce che, a seguito della riforma del 2015, l’unico strumento a disposizione del contribuente per ottenere l’esecuzione di una sentenza favorevole contro l’Amministrazione finanziaria è il giudizio di ottemperanza. Viene esclusa la possibilità di ricorrere all’esecuzione forzata civile ordinaria. Di conseguenza, il funzionario che nega il rilascio della formula esecutiva non commette un illecito e non è tenuto al risarcimento del danno.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Giudizio di Ottemperanza: L’Unica Via per l’Esecuzione delle Sentenze Tributarie

Con una recente e significativa ordinanza, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale per il contenzioso tributario: il giudizio di ottemperanza rappresenta l’unico e esclusivo rimedio per dare attuazione alle sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie in caso di inadempimento dell’Amministrazione finanziaria. Questa pronuncia chiarisce gli effetti della riforma del processo tributario (D.Lgs. 156/2015), eliminando la possibilità per il contribuente di ricorrere alla tradizionale esecuzione forzata civile.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una vicenda in cui una contribuente, risultata vittoriosa in due gradi di giudizio contro l’ente impositore, si era vista riconoscere il diritto al pagamento delle spese legali. Per ottenere quanto dovuto, il suo difensore si rivolgeva alla Segreteria della Commissione Tributaria regionale per richiedere una copia delle sentenze munita di formula esecutiva, atto indispensabile per avviare l’esecuzione forzata ordinaria.

La Direzione della Segreteria rifiutava il rilascio, sostenendo che, a seguito delle modifiche legislative introdotte nel 2015, la procedura corretta non fosse più l’esecuzione forzata, bensì il giudizio di ottemperanza. La contribuente, ritenendo tale rifiuto illegittimo e dannoso, citava in giudizio personalmente il Direttore della Segreteria, chiedendo un risarcimento per le spese sostenute nel procedimento avviato per ottenere la copia esecutiva. Sia il Giudice di Pace che il Tribunale in appello davano ragione alla contribuente, condannando il funzionario al risarcimento. Quest’ultimo, tuttavia, proponeva ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Il Ruolo del Giudizio di Ottemperanza

Il nodo centrale della controversia era stabilire se, dopo la riforma del processo tributario del 2015, il contribuente avesse ancora una doppia via per ottenere l’adempimento di una sentenza favorevole (esecuzione forzata civile e giudizio di ottemperanza) oppure se quest’ultimo fosse diventato l’unico strumento a sua disposizione. La Corte di Cassazione è stata chiamata a interpretare la portata dell’art. 67-bis del D.Lgs. 546/1992 e le modifiche apportate agli articoli 69 e 70 dello stesso decreto, che disciplinano l’esecuzione delle sentenze tributarie.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del funzionario, ribaltando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno chiarito che la riforma del 2015 ha intenzionalmente eliminato la possibilità per il contribuente di ricorrere al processo di esecuzione forzata regolato dal codice di procedura civile. La novella legislativa ha reso il giudizio di ottemperanza l’unico rimedio esperibile in caso di inadempimento dell’Amministrazione.

La Corte ha evidenziato che il legislatore ha soppresso, nell’art. 70 del D.Lgs. 546/1992, il riferimento esplicito alle “norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata”. Questo, unito all’introduzione dell’art. 67-bis che rende le sentenze tributarie immediatamente esecutive “secondo quanto previsto dal presente capo”, indica la volontà di creare un sistema autosufficiente e speciale per l’esecuzione nel processo tributario. Il giudizio di ottemperanza, a differenza dell’esecuzione civile, non mira semplicemente a un’esecuzione coattiva di un comando, ma a dare “concreta attuazione” alla sentenza, anche compiendo accertamenti complessi. Pertanto, la richiesta di una copia con formula esecutiva era superflua e non prevista dalla nuova disciplina. Il rifiuto opposto dal Direttore della Segreteria era, di conseguenza, legittimo e non configurava un comportamento illecito fonte di responsabilità per danni.

Conclusioni

La decisione della Cassazione stabilisce un punto fermo per professionisti e contribuenti. In caso di vittoria contro l’Amministrazione finanziaria, se quest’ultima non adempie spontaneamente al pagamento delle somme dovute (imposte da rimborsare o spese legali) entro novanta giorni dalla notifica della sentenza, l’unica strada percorribile è l’attivazione del giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art. 70 del D.Lgs. 546/1992. Non è più possibile, né necessario, richiedere la formula esecutiva per avviare un’espropriazione forzata. Questa pronuncia garantisce certezza procedurale e conferma la specialità del rito tributario, orientandolo verso uno strumento, l’ottemperanza, considerato più agile e adatto a gestire i rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Dopo la riforma del 2015, è possibile usare l’esecuzione forzata civile per recuperare le spese legali da una sentenza tributaria?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la riforma ha eliminato questa possibilità. L’esecuzione forzata civile, che richiede la formula esecutiva, non è più applicabile alle sentenze delle Commissioni Tributarie.

Qual è l’unico strumento per costringere l’Amministrazione finanziaria a pagare quanto stabilito da una sentenza tributaria?
L’unico strumento previsto dalla legge è il giudizio di ottemperanza, disciplinato dall’articolo 70 del D.Lgs. 546/1992. Questo procedimento speciale è l’unica via per ottenere l’adempimento della sentenza.

Un funzionario della segreteria di una Commissione Tributaria è responsabile per danni se rifiuta di rilasciare una copia della sentenza con formula esecutiva?
No. Poiché la formula esecutiva non è più necessaria né prevista per l’esecuzione delle sentenze tributarie, il rifiuto di rilasciarla è un atto legittimo. Di conseguenza, il funzionario non commette alcun illecito e non può essere condannato al risarcimento dei danni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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