Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15880 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15880 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 06/06/2024
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11430/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (PEC: EMAIL);
– ricorrente –
contro
Comune di Perugia, in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in INDIRIZZO, INDIRIZZO (studio prof. AVV_NOTAIO), presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 132/1/2020, depositata il 28 ottobre 2020, della Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria ;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 132/1/2020, depositata il 28 ottobre 2020, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dal Comune di Perugia per il recupero a tassazione dell’ICI dovuta dalla contribuente per l’anno 2011, ed in relazione al possesso di aree edificabili;
1.1 -il giudice del gravame ha rilevato che:
-l’atto impositivo risultava compiutamente motivato in quanto richiamata una pronuncia della Commissione tributaria regionale dell’Umbria (sentenza n. 107/02/2017, del 9 marzo 2017) che resa, tra le stesse parti, su controversia relativa al diniego di rimborso dell’ICI richiesto dalla contribuente per gli anni dal 2007 al 2011 aveva accertato un valore venale in comune commercio delle aree edificabili (per € 6.405.000,00) e che doveva ritenersi nota alla contribuente;
venendo in considerazione il giudicato formatosi tra le parti, non poteva trovare accoglimento la censura di omessa «valutazione, da parte del primo giudice, di elementi di valutazione ormai definitivamente accertati»;
– RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi; il Comune di Perugia resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.
Considerato che:
-il ricorso espone i seguenti motivi:
1.1 -il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., assumendo la
ricorrente che il decisum poggiava, nella fattispecie, su di una motivazione meramente apparente che non dava conto delle ragioni postevi fondamento e, nello specifico, degli «elementi e … criteri utilizzati dal Comune , asseritamente contenuti nella citata sentenza della CTR, pas sata in giudicato … posti a fondamento della rettifica del valore» delle aree oggetto di tassazione;
1.2 -col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 3 e 21septies , al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11, comma 2bis , alla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162, così censurando la rilevata compiutezza motivazionale di un avviso di accertamento che né esponeva i dati utilizzati ai fini della specifica determinazione del valore venale delle aree sottoposte a tassazione (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5) né riproduceva, nei suoi dati essenziali, e qual rilevanti ai fini di detto accertamento di valore, la sentenza della Commissione tributaria regionale richiamata;
1.3 -il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., sull’assunto che, nella fattispecie, il giudice del gravame avrebbe dovuto escludere l’efficacia ultrattiva del giudicato formatosi con la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria atteso che, per un verso, il valore venale in comune commercio delle aree fabbricabili, quale base imponibile dell’ imposta comunale sugli immobili, costituisce elemento variabile con riferimento ai diversi periodi di imposta e che, per il restante, quanto (proprio) all’anno 2011, il Comune aveva parzialmente accolto l’istanza di rimborso, così che detto giudicato andava ascritto al periodo dal 2007 al 2010;
1.4 -col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia omesso esame «di elementi e documenti probatori offerti in giudizio … e decisivi per il giudizio», così deducendo l’omesso esame di una consulenza di parte che in assenza di beni comparabili ed alla stessa stregua delle specifiche connotazioni tipologiche delle aree edificabili, oggetto di tassazione, oltreché dei relativi tempi (lunghi) di utilizzazione edificatoria -aveva determinato il valore venale in comune commercio delle aree dietro applicazione del metodo analitico-ricostruttivo del valore di trasformazione, così esponendo un valore (pari ad € 469.654,62 ovvero, nel caso di procedura concertata, ad € 596.019,29) ben inferiore a quello utiliz zato dall’atto impositivo;
1.5 -col quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91, comma 1, cod. proc. civ. sull’assunto che illegittimamente erano state liquidate le spese processuali del secondo grado di giudizio in quanto l’Ente impositore si era difeso a mezzo di proprio personale dipendente che, per di più, non aveva nemmeno prodotto una nota spese;
-il ricorso -che pur prospetta profili di inammissibilità -è, nel suo complesso, destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso;
-l’infondatezza del primo motivo consegue dall’obiettivo contenuto della gravata sentenza -che, sopra ripercorso, chiaramente declina, seppur sintetim , la ratio decidendi posta a fondamento di ciascuna questione controversa -e dal costante orientamento della Corte, alla cui stregua s’è rilevato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla
motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
– così che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599);
4. -a riguardo, ora, del secondo motivo di ricorso, e come la Corte ha ripetutamente statuito (proprio) in tema di ICI, va rimarcato che l’obbligo motivazionale dell’ avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta ; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione
degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva f ase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571);
nella fattispecie, come ben rilevato dal giudice del gravame, la pretesa impositiva -chiaramente esposta secondo la stessa trascrizione dell’atto impositivo operata dalla ricorrente -conseguiva da una pronuncia che, resa tra le stesse parti, era passata in giudicato, così che il rinvio per relationem operato ai contenuti di detta pronuncia non necessitava (anche) dell’indicazione dei presupposti di una decisione della quale la stessa contribuente era stata destinataria, con conseguente idoneità della sin tesi descrittiva assolta dall’atto dietro indicazione della base imponibile del tributo;
-come espone lo stesso ricorso, tanto la pronuncia di primo grado, quanto quella resa dal giudice del gravame, hanno rilevato il giudicato esterno che si era formato, tra le parti, per le annualità dal 2007 al 2011, ed in relazione ad un giudizio -introdotto dalla contribuente dietro impugnazione di un diniego di rimborso dell’ICI versata per dette annualità -che era stato definito dietro accertamento della base imponibile del tributo qual correlata al valore venale in comune commercio di aree edificabili (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5), valore quantificato in € 6.405.000,00;
5.1 sotto il profilo, pertanto, dell’efficacia ultrattiva del giudicato, l’impugnata sentenza ha dato corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano
riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde , ex plurimis , Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675);
difatti, nella fattispecie, il giudizio introdotto dalla parte, odierna ricorrente, aveva ad oggetto (proprio) la determinazione del valore venale delle aree edificabili (in tesi) recessivo rispetto a quello oggetto di dichiarazione di parte -con conseguente diritto al rimborso -così che l’accertamento di detto valore, qual in concreto oggetto del giudicato tra le parti formatosi, costituiva questione ex se comune al successivo giudizio introdotto con impugnazione dell’avviso di accertamento che, per la medesima annualità (2011), il valore (così) accertato poneva a base della pretesa impositiva;
5.2 – tale costituendo la ratio decidendi che deve ascriversi alla gravata s entenza, appieno emerge l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso che -senza dar conto alcuno tanto del contenuto del dedotto accoglimento (parziale) del rimborso, dei luoghi (processuali) e degli stessi termini effettivi di svolgimento in giudizio di una siffatta difesa, quanto dello stesso obiettivo contenuto del giudicato esterno, -per l’appunto in completa anomia di ogni riferimento, ascrive detto giudicato agli anni dal 2007 al 2010, in tesi (così) escluso il medesimo periodo di imposta (anno 2011) che ancor ora viene in considerazione (per il relativo avviso di accertamento impugnato);
– il principio di autosufficienza del ricorso (art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), in tema di giudicato esterno, viene declinato dalla Corte, secondo un consolidato e risalente orientamento interpretativo, con la necessità della trascrizione della sentenza che costituisce giudicato (non essendo sufficiente la riproduzione di stralci ovvero del suo solo dispositivo: cfr. Cass., 30 dicembre 2019, n. 34590; Cass., 31 maggio 2018, n. 13988; Cass., 8 marzo 2018, n. 5508; Cass., 23 giugno 2017, n. 15737; Cass., 11 febbraio 2015, n. 2617; Cass., 16 luglio 2014, n. 16227; Cass., 30 aprile 2010, n. 10537; Cass., 13 marzo 2009, n. 6184; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. Sez. U., 27 gennaio 2004, n. 1416);
-e, come si è condivisibilmente rilevato, l’onere di specificità in questione non può non essere declinato (anche) con riferimento alla posizione processuale di chi deduca, così come nella fattispecie, l’inesistenza del giudicato esterno, col conseguente onere, a pena di inammissibilità, di riprodurre il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass., 19 agosto 2020, n. 17310);
-dalla inammissibilità del terzo motivo consegue l’inammissibilità (anche) del quarto motivo di ricorso, non potendosi dedurre l’omesso esame di fatti decisivi a fronte dell’effetto preclusivo del giudicato esterno e, per di più, nei termini della (mera) riproposizione di argomenti, e deduzioni, probatori che non danno alcun conto della stessa decisività dei dati fattuali in tesi pretermessi (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);
-in ordine, da ultimo, al quinto motivo di ricorso, va rilevato che la ricorrente – nell’evocare precedenti della Corte riferiti, però, al giudizio di opposizione previsto dalla l. n. 689 del 1981 (ora d.lgs. n. 150 del 2011, art. 6) – non considera che nel processo tributario esiste specifica disposizione che correla l’applicazione della tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento degli onorari ivi previsti, alla fattispecie della difesa tecnica garantita da personale dipendente dell’Ente locale [v. già il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis , aggiunto dal d.l. 8 agosto 1996, n. 437, art. 12, comma 1, lett. b ), conv. in l. 24 ottobre 1996, n. 556; v., ora, il citato art. 15, comma 2sexies , come introdotto dal d.lgs. n. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. f ), n. 2); cfr., altresì, Cass., 11 ottobre 2021, n. 27634; Cass., 3 novembre 2020, n. 24293; Cass., 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., 23 novembre 2011, n. 24675);
-le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 1.800,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024.