Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20220 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
Oggetto:
Tributi
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19345/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso (PEC: EMAIL
EMAIL;
COGNOMEEMAIL);
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale -Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche n. 137/02/2024, depositata il 14.02.2024.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 25.03.2025;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale, riportandosi alle proprie conclusioni scritte, ha chiesto l’accoglimento d el quinto motivo del ricorso principale e il rigetto quello incidentale.
Sentiti, per la società contribuente, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle entrate, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Pesaro rigettava il ricorso della RAGIONE_SOCIALE (in breve IFF) avverso la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA riguardante imposte dirette, IVA e altro, per gli anni di imposta 2005 e 2006.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche accoglieva parzialmente l’appello della contribuente, ‘ con riguardo al calcolo del periodo per le imposte (solo 2005 e 2006) e per il calcolo delle sanzioni ‘ .
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince, per quello che qui ancora interessa, che:
la cartella impugnata era stata emessa a seguito del giudizio relativo ai prodromici avvisi di accertamento, divenuti definitivi con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 18642 del 2018;
gli atti impositivi erano scaturiti dalla verifica fiscale effettuata a carico della RAGIONE_SOCIALE, con sede in Lussemburgo, e della RAGIONE_SOCIALE, con sede in Italia, a Fossombrone, a seguito della quale era emerso che la IFF aveva una stabile organizzazione (in breve SO) sul territorio nazionale;
il giudice di prime cure aveva ritenuto inammissibili i motivi di impugnazione, proposti avverso la cartella di pagamento, in quanto
non riguardanti l’ attività di riscossione, ma finalizzati a rimettere in discussione la pretesa impositiva, senza considerare ‘ il complesso del giudicato interno così come formatosi dalla sequenza dei giudizi cui è riferimento negli atti di causa. I redditi, accertati dalla CTR Marche e imponibili: a) per l’anno 2004/2005 per IRES e IRAP di € 900.680,73; b) per l’anno 2005/2006 per IRES e IRAP di € 1.998.044,90, sono divenuti definitivi ed intangibili e quindi non rettificabili dalla A.d.E.’ ;
la sentenza della Corte di Cassazione n. 18642 del 2018, pronunciata nel giudizio riguardante i prodromici atti impositivi, ‘ nel confermare la sentenza della CTR ha identificato i criteri per la loro determinazione: arco temporale di esistenza della S.O.; percentuale del 5% da applicarsi alle vendite interne effettuate nel periodo. Da ciò gli importi richiesti con l’iscrizione a ruolo per il periodo 2004/2005 di € 665.122,25 per IRAP e di € 103.799,38 per IRES contrastano con quelli riconosciuti dal giudice di appello in € 297.224,40 per IRES anno 2004/2005 e d i € 46.382,02 per IRAP stesso periodo e nella parte ridondante “in parte qua” delle sanzioni ivi iscritte, e vanno quindi rideterminati alla luce dei richiamati criteri. ‘;
la sentenza di primo grado andava, dunque, riformata con il parziale accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente ‘ per quanto attiene al periodo 2004/2005 e al calcolo delle imposte e delle sanzioni con riferimento all’imponibile riconosciuto ‘, con il conseguente assorbimento di tutti gli ulteriori motivi sollevati dall’appellante;
Contro la suddetta decisione la contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, illustrati con memoria.
Anche l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La contribuente resisteva con controricorso al ricorso proposto dall’Agenzia .
Anche L ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso al ricorso proposto dalla contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va qualificato come ricorso incidentale, perchè è stato notificato in data 16.09.2024 e, quindi, dopo quello proposto dalla contribuente (notificato in data 12.09.2024).
1.1 Ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale la contribuente deduce l’i llegittimità della sentenza per sopravvenuto contrasto con l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CGT-2 annullato interamente l’iscrizione a ruolo originariamente impugnata , visto che nel parallelo giudizio penale (conclusosi con la sentenza della Corte di Cassazione n. 40327 del 2014) era stata accertata l’insussistenza d ella SO in Italia della RAGIONE_SOCIALE ed il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE era stato assolto dal reato di omessa dichiarazione perché il fatto non sussiste, in relazione ai medesimi fatti oggetto della contestazione tributaria; sostiene che, in ogni caso, per il principio del favor rei di cui all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, devono venire meno almeno le sanzioni tributarie ancora non riscosse;
1.2 Il motivo è infondato.
1.3 Occorre premettere che l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 87 del 2024 (‘ Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111 ‘), entrato in vigore in data 29 giugno 2024, stabilisce che: « Art. 21-bis (Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione). –
La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti
materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonchè nei confronti dei loro soci o associati».
1.4 Il giudicato penale, quindi, esplica la sua efficacia nel processo tributario che ha ad oggetto la valutazione degli stessi fatti materiali esaminati nel giudizio penale, sicchè è evidente che può essere opposto solo nei giudizi tributari riguardanti il merito della pretesa e non anche in quelli relativi alla mera riscossione, in relazione ai quali detti fatti materiali sono ormai definitivamente accertati.
1.5 Poiché nel contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. 546/1992, ognuno degli atti impugnabili può essere oggetto di gravame solo per vizi propri, salvo che non si tratti di atti presupposti non notificati, non è ammissibile l’impugnazione della cartella esattoriale, che è mero atto di riscossione, per dolersi di vizi inerenti al merito del prodromico avviso di accertamento oggetto di rituale notificazione (Cass. n. 556 del 2016).
1.6 In disparte la circostanza che i fatti contestati in sede penale, come si evince dalla sentenza penale, riguardano gli anni dal 2002 al 2005, mentre l’operatività della SO è stata circoscritta nel giudizio tributario al periodo dal maggio 2005 al novembre 2006, nella specie non può essere comunque invocato l’art. 21 -bis cit. in relazione alla
cartella esattoriale, che è atto di mera riscossione, essendosi formato il giudicato sulla pretesa tributaria, sia impositiva che sanzionatoria.
1.7 Né può essere invocata l’applicazione dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, che riguarda il diverso caso della legge sopravvenuta che abroga un determinato illecito tributario rendendo inesigibile la sanzione eventualmente già irrogata, ma non ancora riscossa.
Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod civ., 14 del d.P.R. n. 602/1973 e 2 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , sostenendo che, se non si dovesse condividere l’interpretazione della sentenza di appello, secondo cui le somme iscritte a ruolo ai fini dell’IVA sarebbero state annullate, si deve ritenere che la CGT-2 abbia errato per non avere tratto le dovute conseguenze logico-giuridiche dal giudicato che ha definito la causa ‘principale’ , come da essa stessa accertato, senza tuttavia annullare la pretesa impositiva IVA, avendo confermato che la SO era diretta a fornire solo servizi a favore della ‘casa madre’ IFF, per cui non sussistevano vendite di capi di abbigliamento da parte della SO, tantomeno a clienti italiani, che pote vano assumere rilevanza ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 36 del d.lgs. n. 546/92, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione contraddittoria o apparente, in quanto, se si dovesse ritenere che la CGT-2 non avesse accolto i motivi di appello dichiarati ‘assorbiti’, relativi all’IVA e alle sanzioni, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata sono insanabilmente in contrasto le une con le altre, ovvero si tratta di motivazione apparente, in quanto non permette di comprendere la ratio decidendi ;
4. Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 disp. att. cod. civ., 1362, 1363 e 2909 cod. civ. e 2 del d.P.R. n. 633/1972 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in quanto, nell’ipotesi in cui la CGT2, nell’accertare il contenuto del giudicato che aveva definito la causa ‘principale’, abbia implicitamente ritenuto che la SO, risultante dal citato giudicato, avesse posto in essere operazioni di vendita di capi di abbigliamento a clienti italiani, la stessa ha errato nel non applicare il principio di ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, non avendo rilevato che il giudicato fosse costituito dalla sentenza di appello, come confermata dalla ‘prima’ sentenza della Corte di Cassazione; detto giudicato, riaffermato dalla ‘seconda’ sentenza della Corte di Cassazione, aveva individuato una SO, attiva dal maggio del 2005 al novembre del 2006, dedita, limitatamente ad alcune fasi aziendali, allo svolgimento di una complessa attività di servizi, consistenti in una ‘ attività di coordinamento’ tra IFF e la 22 (tramite mezzi elettronici, elaborazione e fornitura dati ed ‘altre attività, anche manuali’) e , quindi, ad effettuare esclusivamente delle ‘prestazioni di servizi’ a favore della ‘casa madre’, come si evince anche dalla metodologia applicata per determinarne il reddito (una provvigione figurativa calcolata sulle vendite mondiali di IFF, in ragione della assenza di ricavi propri della SO da vendite o servizi a terzi); ne deriva che, ai fini IVA, non sussistevano cessioni di beni effettate dalla SO, nemmeno ai clienti italiani, tanto che la sentenza di rinvio, che sosteneva l’esistenza di cessioni di beni da parte della SO, era stata interamente cassata dalla ‘seconda’ sentenza della Corte di cassazione per mancato rispetto del giudicato interno; precisa che l’effettiva volontà della ‘seconda’ sentenza della Corte di cassazione di riaffermare il giudicato interno si evinceva dal rigetto dei motivi di ricorso della IFF, con i quali era stata chiesta la disapplicazione del giudicato per contrasto con il diritto UE e,
quindi, sotto profili diversi da quello in esame; aggiunge che l’interpretazione conforme al diritto UE, affermata dalla ‘second a ‘ sentenza della Corte di cassazione conferma che la SO non aveva realizzato alcuna vendita; in ulteriore subordine, sollecita un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE ex art. 267 TFUE sul seguente quesito: ‘ se il diritto dell’UE imponga o meno che una sentenza di legittimità, dal contenuto dubbio e contraddittorio (quale la ‘seconda’ Cassazione), debba essere inter pretata scegliendo l’opzione interpretativa che assicuri il rispetto del diritto dell’UE ‘ .
Il terzo motivo, che per priorità logica va esaminato prima, è infondato, in quanto ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232).
5.1 La motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, avendo la CTR esposto, sia pure sinteticamente, le ragioni in base alle quali ha ritenuto di accogliere solo parzialmente l’appello del la contribuente, delimitando il periodo di operatività della SO, come risultava già dal giudicato formatosi con riguardo ai prodromici atti impositivi, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di gravame, sicchè si deve ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).
Il secondo e il quarto motivo di ricorso, che vanno esaminati unitariamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
6.1 Si tratta di censure che riguardano, in realtà, il merito della pretesa, ormai definitivamente accertato, sebbene dirette a sostenere una presunta violazione del giudicato interno, per non avere il giudice di appello considerato che nel giudizio ‘principale’ (quello relativo agli atti impositivi) era stata esclusa la cessione di capi di abbigliamento da parte della SO a clienti italiani e, quindi, la sussistenza di operazioni imponibili IVA.
6.1 Come si è già prima accennato, nel giudizio relativo all’impugnazione de gli avvisi di accertamento la seconda sentenza della Corte di Cassazione (n. 18642 del 2018) ha stabilito che, a seguito della prima sentenza della Corte di cassazione (n. 5649 del 2015), si era formato il giudicato interno in ordine alla sussistenza della SO per il periodo dal maggio 2005 al novembre 2006; così delimitato il periodo di operatività della SO, sempre la seconda sentenza della Corte di Cassazione ha rigettato le censure mosse dalla IFF (pp. 11 e ss.) con riferimento alla ripresa relativa all’IVA ( ripresa che era stata confermata dal giudice di rinvio con riferimento alle cessioni ai clienti italiani, seppure in relazione al più ampio periodo contestato dall’Ufficio , come si evince alle pp. 9 e 16 della sentenza della CTR Marche n. 598/01/2016), accogliendo solo il settimo motivo del ricorso proposto dalla contribuente con riferimento alla violazione del giudicato, nella parte in cui il giudice di rinvio aveva svolto, sul punto, un nuovo accertamento in fatto per tutti gli anni di imposta in cui era stata contestata la sussistenza della SO (mentre avrebbe dovuto limitare la propria valutazione, appunto, al periodo maggio 2005 novembre 2006, come definitivamente accertato dalla prima sentenza della Corte di Cassazione).
6.2 Il giudicato accertato dalla seconda sentenza della Corte di Cassazione riguardava, dunque, anche la sussistenza delle cessioni di beni, effettuate dalla SO ai clienti italiani, limitatamente al periodo
maggio 2005 -novembre 2006 (‘ 6.2.- A ogni modo, l’eccezione è anche infondata, poiché la sentenza impugnata ha ricostruito il meccanismo in virtù del quale i beni, ceduti dalla s.r.l. 22 alla RAGIONE_SOCIALE, sono stati poi rivenduti dalla stabile organizzazione di questa ai clienti italiani: il giudice d’appello dà conto del <>. L’affermazione della società, allora, che postula che nessun bene sia pervenuto alla stabile organizzazione dalla RAGIONE_SOCIALE, è affidata a mera petizione di principio. 7.- Sì rivela, peraltro, fondato il settimo motivo del ricorso, per le ragioni già enunciate, nella parte in cui la società torna a denunciare, ai fini dell’iva, la violazione degli artt. 384 c.p.c. e 2909 c.c., là dove il giudice d’appello ha svolto un nuovo accertamento di fatto per tutti gli anni in considerazione in relazione alla configurabilità della stabile organizzazione. 7.1. – Il motivo è, invece, inammissibile per il profilo col quale lamenta che il giudice del rinvio non ha accertato in concreto alcuna cessione imponibile ai fini dell’iva compiuta dalla stabile organizzazione per il periodo in cui se n’è accertata l’esistenza. Il giudice d’appello ha difatti avuto riguardo, ai fini dell’iva, alla <>. E in precedenza ha richiamato, così individuando per relationem le vendite in questione, le <>; sicché la censura si traduce, per quest’aspetto, in una contestazione delle valutazioni di merito svolte dal giudice d’appello, inammissibilmente proposta. Il che determina l’assorbimento del profilo oltre indicato sub 7.2.b del ricorso.’).
6.3 La definitività della pretesa, come sopra illustrata, anche per il recupero dell’ IVA, risulta chiaramente affermata dalla seconda sentenza della Corte di Cassazione, resa nel giudizio relativo alla impugnazione degli atti impositivi, e ciò implica il rigetto anche della subordinata richiesta di rinvio pregiudiziale, non essendo ravvisabile alcuna incertezza interpretativa al riguardo.
Con il quinto motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la CGT-2 ha omesso di pronunciarsi sul quarto, subordinato motivo di appello, con il quale era stata contestata la corretta determinazione dell’IVA dovuta sulle vendite effettuate dalla SO ai clienti italiani.
7.1 Il motivo è inammissibile.
7.2 Sebbene la CTR abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di appello suindicato , va premesso che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, ‘Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ ( ex plurimis , Cass. 28.06.2017, n. 16171).
7.3 Nella specie , il criterio di determinazione dell’IVA è stato definitivamente fissato nel giudizio relativo all’impugnazione degli avvisi di accertamento, conclusosi con la sentenza della Corte di
Cassazione n. 18642 del 2018, che ha confermato sul punto la sentenza della CTR delle Marche n. 598/01/2016, nel senso che dovevano essere considerate, ai fini IVA, solo le fatture relative alle cessioni commerciali effettuate da lla SO dell’IFF nei confronti dei clienti italiani per il periodo dal maggio 2005 al novembre 2006 (periodo questo definitivamente accertato dalla prima sentenza della Corte di Cassazione n. 5649 del 2015).
7.4 L’Ufficio ha provveduto a ricalcolare l’IVA in ossequio a tali indicazioni sulla base dei dati desunti dal VIES e della documentazione acquisita nel corso della verifica fiscale, riguardante gli ordini dei clienti italiani (cfr. pp. 32 e ss. del controricorso dell’AdE).
Con il sesto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’artt. 3 e 12 d.lgs. n. 472/1997 , 6, comma 9-bis2, del d.lgs. n. 471/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per non avere la CGT-2 riformato le sanzioni iscritte a ruolo, in quanto nella specie trovava applicazione d’ufficio la sopravvenuta e più favorevole sanzione di cui all’art. 6, comma 9 -bis2, cit., in luogo delle sanzioni per omessa dichiarazione IVA e omessa fatturazione, o, in alternativa, la disciplina del cumulo giuridico all’esito della ‘seconda’ sentenza della Corte di cassazione;
Con il settimo motivo, deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per non essersi la CGT pronunciata sul quinto motivo di appello, relativo alla corretta rideterminazione delle sanzioni dovute.
Anche i predetti motivi, che vanno esaminati congiuntamente, riguardando entrambi le sanzioni applicate, sono inammissibili, perché cercano di rimettere in discussione il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, nonostante il giudicato intervenuto sul punto, a seguito della sentenza di questa Corte n. 5649 del 2015 (cfr. p. 14 della sentenza n.
18642 del 2018), essendo al riguardo irrilevante anche la sopravvenuta previsione normativa più favorevole.
10.1 Va osservato, infatti, che l’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, stabilisce che ‘Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo ‘.
10.2 La predetta disposizione sancisce, in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, il principio del “favor rei”, sicché la sanzione meno grave, più favorevole al trasgressore, ha portata retroattiva nei giudizi pendenti, a condizione che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo.
10.3 D iversamente dalla ‘ abolitio criminis ‘, disciplinata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 (‘ Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato ‘), in cui l’unico evento impeditivo per l’applicazione del principio del ‘ favor rei ‘ è l’intervenuto pagamento della sanzione, nel caso di successione di leggi che stabiliscano sanzioni di entità diversa, la preclusione all’applicazione della ‘ lex mitior ‘ è la definitività dell’atto di irrogazione delle sanzioni .
10.4 Nella specie, come si è detto, il provvedimento di irrogazione delle sanzioni era divenuto definitivo, in conseguenza della decisione della Corte di Cassazione n. 5649 del 20.03.2015 e, quindi, addirittura in data antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto alcune modifiche in materia di sanzioni.
10.5 In presenza di un atto presupposto, emesso nei confronti della contribuente e divenuto definitivo a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione, l’eventuale disciplina più favorevole non può trovare più applicazione, stante il chiaro disposto dell’art . 3, comma 3, del d.lgs.
n. 472 del 1997, atteso che la successiva cartella di pagamento deve indicare l’importo della sanzione definitivamente stabilita con la sentenza non più soggetta ad impugnazione, ferma restando la rideterminazione del quantum ex art. 336 cod. proc. civ., a seguito della riduzione dell’imponibile , come accertato nel giudizio riguardante gli atti impositivi.
11. C on l’ottavo motivo , deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212/2000 e 41 della Carta di Nizza, nonché del principio europeo del diritto al contraddittorio preventivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. , per non avere la CGT-2 considerato che, in ragione della difficoltà di interpretazione del giudicato che aveva definito la causa ‘principale’, l’Agenzia delle entrate doveva motivare compiutamente le ragioni in base alle quali aveva liquidato le somme iscritte a ruolo e, in ogni caso, instaurare il contraddittorio preventivo con la società contribuente, al fine di evitare che tale liquidazione si traducesse, di fatto, in una ‘nuova pretesa impositiva discrezionale’, posto che la contribuente avrebbe potuto, in sede di contraddittorio, dedurre da subito le ragioni indicate nel secondo, quarto, quinto e settimo motivo di ricorso;
11.1 Il motivo è infondato.
11.2 Per quanto riguarda l’obbligo del contraddittorio preventivo, la disciplina ratione temporis vigente non lo prevede per gli atti di riscossione, emessi a seguito di avvisi di accertamento definitivi, neppure quando si tratta di cartelle esattoriali relative a tributi armonizzati, trattandosi di adempimento prescritto solo per gli atti impositivi.
11.3 Anche nei casi specificatamente indicati dal legislatore, in cui è previsto un obbligo di contraddittorio preventivo per determinati atti di riscossione, come nel caso delle cartelle emesse a seguito di controllo automatizzato, l’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 non
lo impone in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione ( ex multis , Cass. n. 18405 del 2021);
11.4 Anche la doglianza relativa alla carenza di motivazione è priva di rilievo, posto che il richiamo agli avvisi di accertamento e alla sentenza della Corte di Cassazione, a seguito della quale è stata effettuata l’iscrizione a ruolo della pretesa (come risulta dal contenuto della cartella di pagamento allegata al ricorso per cassazione), assolve l’obbligo motivazionale previsto per la cartella di pagamento (cfr. Cass. S. Un. n. 22281 del 2022).
12. Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, d.lgs. 546/1992, 132 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perchè la CGT-2, pur richiamando correttamente il ‘criterio’ con il quale la Corte di cassazione aveva definitivamente statuito sul l’esistenza della SO in Italia della contribuente IFF, per il solo periodo dal maggio 2005 al novembre 2006, non ha poi considerato gli importi ad esso riferibili, come calcolati dall’Ufficio, ma ha ritenuto di dover confermare gli importi errati indicati dalla CTR nel giudizio di appello, sebbene non rispondenti alla corretta applicazione del criterio determinato dalla Corte di cassazione, ponendosi così in contrasto anche con la propria decisione nella parte in cui richiama detto criterio.
12.1 Il motivo è infondato non essendo ravvisabile alcuna omessa motivazione per le stesse ragioni indicate con riferimento al terzo motivo del ricorso principale, avendo la sentenza impugnata fornito una motivazione comprensibile e non contraddittoria in ordine agli imponibili stabiliti ai fini delle imposte dirette (‘ I redditi, accertati dalla
CTR Marche e imponibili: a) per l’anno 2004/2005 per IRES e IRAP di € 900.680,73; b) per l’anno 2005/2006per IRES e IRAP di € 1.998.044,90, sono divenuti definitivi ed intangibili e quindi non rettificabili dalla A.d.E. La Cassazione, infatti, nel confermare la sentenza della CTR ha identificato i criteri per la loro determinazione: arco temporale di esistenza della S.O.; percentuale del 5% da applicarsi alle vendite interne effettuate nel periodo. Da ciò gli importi richiesti con l’iscrizione a ruolo per i l periodo 2004/2005 di € 665.122,25 per IRAP e di € 103.799,38 per IRES contrastano con quelli riconosciuti dal giudice di appello in € 297.224,40 per IRES anno 2004/2005 e di € 46.382,02 per IRAP stesso periodo e nella parte ridondante “in parte qua” delle sanzioni ivi iscritte, e vanno quindi rideterminati alla luce dei richiamati criteri. In relazione a tali motivi, parzialmente fondati per le imposte liquidate, la Corte ritiene che la impugnata sentenza della CTP di Ancona vada in parte riformata con il parziale accoglimento del ricorso di appello per quanto attiene al periodo (2004/2005) e al calcolo delle imposte e delle sanzioni con riferimento all’imponibile riconosciuto’ ).
Con il secondo, subordinato motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ . in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 del cod. proc. civ., perché, nell’indicare gli importi delle imposte dovute, la CGT non si è attenuta al criterio indicato in via definitiva dalla Corte di cassazione.
13.1 Anche questo motivo è infondato.
13.2 La CGT-2 ha richiamato la base imponibile ai fini IRES e IRAP, che la sentenza di appello n. 44/02/2011 aveva calcolato in modo preciso nei confronti della contribuente per il periodo maggio 2005 -novembre 2006, mediante la indicazione degli esatti importi e non solo fornendo il criterio per la loro determinazione, sicchè su tali importi si
è formato il giudicato, posto che la prima sentenza della Corte di C assazione (n. 5649/2015), nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle entrate solo per le sanzioni, ha confermato implicitamente e in via definitiva gli imponibili accertati dalla suindicata sentenza di appello.
In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE sia quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate.
Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, stante la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate.
Compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025