Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9155 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9155 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18311/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 1128/2023 depositata il 06/02/2023.
Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Sentito l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DEL PROCESSO
La società RAGIONE_SOCIALE ha impugnato dinnanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Enna un avviso di accertamento per IRES, IVA e IRAP per anno 2012 a seguito di verifica.
La Commissione tributaria provinciale di Enna, con sentenza n.807/02/2018 depositata il 17.10.2018, ha respinto il ricorso.
La società contribuente ha appellato la citata sentenza dinnanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di II grado della Sicilia, che, con la sentenza in epigrafe del 6.2.2023, ha rigettato il gravame.
La CGT ha accertato la fatturazione di €. 1.214.430,00 a favore della ditta COGNOME, a fronte di pagamenti per €.884.800,00, finalizzata all’indebita percezione di un contributo comunitario, nonché costi non deducibili, violazioni IVA per operazioni inesistenti e maggiori ricavi non dichiarati.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su sei motivi.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
In data 19.10.2023 è stata depositata proposta di decisione accelerata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata in data 27.10.2023.
Con atto depositato in data 5.12.2023 il difensore della ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso, allegando nuova procura. Unitamente all’istanza ex art. 380 bis c.p.c. è stata depositata copia della sentenza penale n. 388/2023 del Tribunale di Enna, pronunziata l’8.5.2023 e depositata l’11.7.2023, a seguito di dibattimento nei confronti di NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, con la quale il contribuente è stata assolto dai reati di cui agli artt. 110, 640 c.p., 2, 3, 8 comma
2 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché il fatto non sussiste, riportante attestazione, datata 20.10.2023, di irrevocabilità della sentenza dal 17.10.2023.
Con ordinanza interlocutoria si è rinviata la trattazione ad udienza pubblica in considerazione delle questioni di natura nomofilattica relative all’applicazione dell’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 87 del 2024 (‘Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’art. 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111 ‘).
La ricorrente ha depositato memorie, il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. , violazione degli artt. 112, 132, 116, 277, art. 36, D. Lgs. n° 546/92 e « Contrasto tra quanto detto nella sentenza impugnata e la sentenza del Tribunale di Enna n. 388/2023 emessa il 8 maggio 2023, depositata il 11 luglio 2023 » .
Con il secondo motivo si deduce « Violazione dell’art. 360, n. 3, 4 e 5. Errores in iudicando ed errores in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., dell’art. 36 del D.lgs 542/1992. Nullità della sentenza per mancata motivazione, motivazione meramente apparente o perplessa in violazione di un preciso obbligo di legge. – Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia discusso dalle parti e della motivazione – circostanze confermate dalla sentenza del Tribunale di Enna n. 388/2023 del 8.5.2023 ».
Con il terzo motivo si deduce « violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3, n. 4, n. 5. c.p.c. Errores in iudicando ed errores in procedendo. Nullità della sentenza in violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere valutato il comportamento processuale della ADE che non ha preso specifica posizione su ogni motivo di impugnazione proposta e documento depositato dalla
Società, violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 116 c.p.c., della Circolare n. 17/E del 31.03.2010 della Agenzia delle Entrate ».
Con il quarto motivo si deduce « violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3, n. 4, n. 5 c.p.c. Errores in iudicando ed errores in procedendo. Nullità della sentenza in violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., 132 c.p.c., 116 cpc, dell’art.6 L. 130/22 che ha aggiunto all’articolo 7 del DLGS 546/92, il comma 5 bis, per non avere tenuto conto di tutte le prove documentali che sono state prodotte in corso di causa e per avere commesso gravissimi errori di valutazione delle stesse prove ».
Con il quinto motivo si deduce « violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3, n. 4, n. 5 c.p.c. Errores in iudicando ed errores in procedendo. Nullità della sentenza in violazione e falsa applicazione artt. 52, 53 e 61 D.P.R. n. 633 del 1972, dell’art.6 L.130/22 che ha aggiunto all’articolo 7 del DLGS 546/92, il comma 5 bis, per avere violato l’onere, che incombe sull’Amministrazione finanziaria, di espletare l’attività accertativa senza svolgere alcuna attività tesa all’acquisizione di un autonomo convincimento basato su prove certe da cui far scaturire l’avviso di accertamento ».
Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., « Errores in iudicando ed errores in procedendo. Nullità della sentenza in violazione e falsa applicazione per non aver dichiarato la nullità per violazione dell’art 7 Legge 212 del 2000 » laddove l’avviso si è riferito ad accertamenti relativi a terzi soggetti senza allegare il relativo PVC.
Con riferimento a tali motivi il Consigliere delegato aveva formulato la seguente proposta:
«In disparte l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, in quanto affastellano tutti i possibili profili di censura, senza consentire di cogliere distintamente le singole doglianze prospettate (Cass., n. 39169/2021; Cass., Sez. U., n. 9100/2015), primo motivo manifestamente infondato, nella parte in cui si fonda
sull’esistenza e sul contenuto di un documento (sentenza del giudice penale) formatosi in epoca successiva persino alla celebrazione del giudizio di merito in appello, essendo ammissibile nel giudizio di cassazione la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa (Cass. n. 4415/2020); primo motivo infondato anche nella parte in cui desume l’esistenza di un «giudicato esterno» nel giudizio tributario derivante da una assoluzione in un giudizio penale (nella specie, relativa alle imputazioni contestate in sede penale a Castrogiovanni Santo Salvatore quale legale rappresentante della società ricorrente), non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata nel processo tributario, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Cass., n. 18953/2023; Cass., n. 37801/2021; Cass., n. 27814/2020; Cass. n. 4415/2020, Cass., n. 28714/2017), principio cui non si sottrae la pronuncia di questa Corte citata dal ricorrente; da cui consegue che la sentenza del giudice del merito attiene alla fondatezza del merito della pretesa tributaria, per la quale si rinvia al punto precedente; secondo e terzo motivo inammissibili nella parte in cui deducono violazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per doppia conforme; secondo e terzo motivo manifestamente infondati nella parte in cui deducono che il giudice di appello non si sia pronunciato su tutte le eccezioni formulate in appello, non dovendo il giudice del merito, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente
rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., n. 25509/2014; Cass., n. 24542/2009); secondo e terzo motivo inammissibili nella parte in cui deducono l’omesso esame da parte del giudice di appello di alcune prove addotte dal contribuente (perizia di parte e altri documenti ivi indicati a pag. 17 e 18 ric.), in quanto motivi volti a una rivalutazione in sede di legittimità del materiale probatorio, inteso in tali termini da parte del ricorrente anche il comportamento processuale tenuto dall’Ufficio quale presupposto per l’applicazione del principio di non contestazione, che spetta al giudice del merito, così come impinge nel merito la richiesta di rivalutazione della documentazione prodotta, peraltro non analiticamente indicata; quarto motivo inammissibile in quanto, in disparte l’inammissibilità del profilo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., volto a riformulare un nuovo accertamento in fatto operato dal giudice del merito e in tesi corroborato, anche in questo caso, dalla perizia di parte contribuente; quarto motivo parimenti inammissibile, da esaminarsi congiuntamente e negli stessi termini al quinto motivo nel suo complesso, nella parte in cui si deduce violazione di legge in relazione all’art. 7, comma 5 -bis d. lgs. n. 546/1992, in quanto questione non tracciata nella sentenza impugnata e quindi questione nuova, nonostante la norma fosse in vigore da prima della discussione della causa in appello (10 ottobre 2022), per cui l’astratta questione dello ius superveniens (ove applicabile nel caso di specie), doveva essere esaminata davanti al giudice di appello, pena risultare questione nuova in questa sede; motivi, in ogni caso, inammissibili sia sotto il profilo della specificità, in quanto non indicano quali sarebbero i profili per i quali la prova dell’Ufficio risulterebbe insufficiente o contraddittoria, sia in quanto inducono una (peraltro generica) rilettura del materiale probatorio, riservata al giudice del merito; sesto motivo -in disparte l’inammissibilità dello stesso per non essere tale questione stata affrontata dal
giudice di appello e, quindi, costituente questione nuova sotto il profilo della violazione di legge (così come inammissibile per doppia conforme è il profilo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) -manifestamente infondato, avendo il giudice di appello fondato il proprio giudizio sulle risultanze del PVC, da intendersi come PVC effettuato nei confronti della contribuente a seguito di verifica, come indicato in narrativa («a seguito di una verifica compiuta dalla Guardia di Finanza di Nicosia») ;»
E’ fondato il primo motivo nei termini in motivazione, mentre per il resto deve decidersi in conformità alla proposta, anche considerato che nelle successive memorie la ricorrente non porta argomenti in grado di inficiare quanto osservato in PDA.
Va dato rilievo al giudicato penale costituito dalla sentenza n. 388/2023 del Tribunale di Enna, di cui per autosufficienza sono riportati ampi stralci in ricorso, pronunciata a seguito di dibattimento nei confronti di NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste, dai reati
9.1. Va rammentato in primo luogo che, s econdo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la sentenza penale, anche irrevocabile, non è idonea, in forza del disposto di cui all’art. 654 c.p.p., ad esplicare alcun effetto vincolante nel processo tributario, assumendo – per il principio della circolazione dei mezzi di prova – un rilievo solo quale elemento di prova, soggetto all’autonoma valutazione del giudice tributario. Pertanto, anche se la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non assume efficacia di giudicato nel processo tributario, neppure quando i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, la stessa può essere presa in considerazione come
possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. n. 6918 del 2013; Cass. n. 2938 del 2015; Cass. n. 10578 del 2015; Cass. n. 17258 del 2019; Cass. n. 4645 del 2020; Cass. n. 6532 del 2020).
9.2. Va altresì considerato l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal decreto legislativo n. 87 del 2024 (in esecuzione della delega conferita al Governo dall’art. 20 della legge n. 111 del 2023), pubblicato sulla G.U. n. 150 del 28/6/2024 ed entrato in vigore il 29/6/2024, rubricato ‘Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione’, che così dispone: « 1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio . 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati. ».
9.3. Tale norma prevede, pertanto, l’efficacia vincolante nel processo tributario del giudicato penale assolutorio, purché esso, formatosi in dibattimento, abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purché l’assoluzione
sia avvenuta in base ad una delle due formule indicate. Come detto, prima della novella di cui al d.lgs. 87/2024, era l’art. 654 c.p.p. a governare il rapporto fra giudicato penale e processo tributario, escludendone l’efficacia vincolante, stanti i limiti probatori propri di tale ultimo processo. La natura di norma processuale, già riconosciuta all’art. 654 c.p.p. (Cass. n. 7405 del 1994), non può che essere estesa anche al sopravvenuto art. 21 -bis. In mancanza di una disposizione transitoria, come nel caso in esame, deve essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore. In tal senso si è già espressa questa stessa Corte, stabilendo che la norma è applicabile, quale ius superveniens , anche nei casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) (Cass. n. 936 del 2025; Cass. n. 30814 del 2024; Cass. n. 23570 del 2024). Questa Corte ha altresì affermato che la norma comporta la piena efficacia di giudicato della sentenza penale dibattimentale irrevocabile nel processo tributario in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) (Cass. n. 23570 del 2024;
Cass. n. 23570 del 2024; Cass. n. 23609; Cass. n. 30814 del 2024; Cass. 30900 del 2024; Cass. n. 936 del 2025; Cass. n. 1021 del 2015 ).
9.4. Il Procuratore generale dubita della legittimità costituzionale della norma interpretata secondo questa ampia latitudine con riferimento alla mancata partecipazione dell’Ente impositore al giudizio penale ; segnala, in particolare, il tracciato interpretativo del giudice delle leggi (Corte cost. n. 55/1971, Corte cost. n. 99/1973, Corte cost. n. 165/1975, Corte cost. n. 192/1981, Corte cost. n. 247/1983) che esige, perché il giudicato possa riverberarsi, con efficacia vincolante, su altri processi, che le parti chiamate in questi ultimi siano state poste in grado di difendersi nel processo da cui deriva il giudicato, mentre l’art. 21 -bis , d.lgs. 74/2000 non richiede il rispetto del principio suddetto, a differenza di quanto fanno gli artt. 651, 652 e 654 c.p.p.; altro profilo critico attiene all’impatto sul complessivo regime probatorio dell’ordinamento tributario, con profonde divaricazioni tra le categorie di utenti e contribuenti, allorché l’accertamento contenuto nella sentenza assolutoria per le formule indicate dall’art. 21 -bis refluisca, con efficacia di giudicato, sull’accertamento dell’imposta, derivandone un irreparabile vulnus al principio di uguaglianza e di ragionevolezza posto che per le evasioni di più limitata entità (non suscettibili di rilevanza penale) varrebbe l’ordinario (e più rigoroso) regime probatorio del giudizio tributario, mentre per quelle più gravi la parte potrebbe fruire del regime proprio del giudizio penale, in cui l’onere è integralmente a carico della parte pubblica, essendo sufficiente, per la parte privata, un atteggiamento anche solo silente per ottenere un esito positivo del processo penale se la prova piena non sia stata raggiunta.
9.5. Queste criticità possono superarsi ritenendo, come affermato da recenti sentenze di questa Corte, che l’art. 21 -bis cit. esplichi i suoi effetti limitatamente alle sanzioni irrogate mentre,
con riferimento all’imposta, la valutazione della sentenza penale resta autonoma e rimessa al prudente apprezzamento del giudice tributario secondo il regime precedente alla novella (v. Cass. n. 3800 del 2025, alla cui ampia motivazione ci si riporta ; nello stesso senso, Cass. n. 4935 del 2025; Cass. n. 4924 del 2025; Cass. n. 4921 del 2025; Cass. n. 4916 del 2025; Cass. n. 4904 del 2025, tutte emesse in questa stessa udienza ): invero, « la rilevabilità della sentenza penale nel giudizio tributario non attiene alla pretesa impositiva ma alla sanzione, la cui effettività, proporzionalità e consistenza costituisce un accertamento rimesso costantemente in ogni fase processuale e procedimentale -alla stessa Amministrazione fiscale, restando priva di rilievo la circostanza che essa non abbia partecipato, in una qualche veste, al processo penale », come testimoniano anche l’art. 21 e l’art. 21 ter del d.lgs. n. 74/2000; inoltre, con l’efficacia del giudicato ai fini del solo trattamento sanzionatorio « l’imposizione è -in ogni caso -soggetta all’ordinario regime probatorio, sicché resta esclusa una ingiustificata divaricazione e differenziazione tra i contribuenti » (si rimanda a Cass. n. 3800 del 2025, par. 25.3 e segg.).
Con riguardo al secondo motivo, la doglianza è infondata nella parte in cui si censura la sentenza della CTR per omessa o apparente motivazione laddove rileva che « le critiche mosse dal ricorrente….. non hanno alcuna intrinseca forza di persuasione in quanto basate su mere asserzioni prive di alcuna base logica e/o documentale», ma nulla osserva sulle eccezioni difensive e sulle censure di parte né valuta le prove poste, come la consulenza tecnica, con la quale si evidenziavano errori nel merito dell’accertamento.
10.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del
“minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
10.2. In questo caso il motivo attinge il minimo costituzionale: la Corte ha ritenuto la legittimità dell’accertamento impugnato, di cui ha riportato i dati essenziali relativi alla pretesa tributaria, spiegando le ragioni della indetraibilità dell’IVA relative alle false fatture. Né va trascurato che il giudice del merito, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e
sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., n. 25509 del 2014; Cass., n. 24542 del 2009).
Con riguardo al terzo motivo, si porta in evidenza la perizia depositata dalla società, « di notevole rilievo difensivo », non contestata dall’Agenzia se non genericamente (‘ la perizia tecnica esibita……non ha alcun carattere probatorio ‘), con conseguente operatività dell’art. 115 c.p.c.. e assunzione di valenza probatoria di tutto ciò che è indicato in perizia.
11.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza: posto che il principio di non contestazione riguarda i fatti materiali e non gli aspetti valutativi (Cass. n. 2196 del 2015), era onere della ricorrente precisare le circostanze di fatto acclarate dalla perizia di parte che costituirebbero fatti non contestati a favore della ricorrente.
Con riguardo al quarto motivo, si lamenta che nel ricorso introduttivo erano stati evidenziati errori materiali e depositate prove documentali che dimostravano l’erroneità nella ricostruzione della maggior imposta accertata, quanto ai prelevamenti dal conto corrente della società, al maggior imponibile accertato, al disconoscimento di costi, ai pagamenti mancanti, alle fatture emesse, ai proventi illeciti scaturiti dal risparmio fiscale. Si segnala, inoltre l’onere probatorio che incombe sulla stessa Agenzia delle Entrate in forza del comma 5 bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/92, aggiunto dall’art. 6 l. n. 130/22, secondo cui « L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il Giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria
sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondono la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta, comunque, al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati ». Osserva la ricorrente che tale disposizione si applica a tutti i procedimenti pendenti alla data del 16 settembre 2022, ovvero alla data di entrata in vigore della disposizione.
12.1. Con il quinto motivo si reitera il richiamo del l’onere della prova in capo all’Amministrazione secondo quanto previsto dall’art. 7 comma 5 bis del d.lgs. n. 546/1992, affermando che l’incertezza probatoria sui fatti accertati resta a carico dell’Agenzia.
12.2. Le due doglianza possono essere esaminate unitariamente e sono inammissibili sia perché ripropongono una rivalutazione dei fatti sia perché pongono una questione nuova: poiché la norma era in vigore già prima della discussione della causa in appello, l’astratta questione dello ius superveniens (ove applicabile nel caso di specie), doveva essere proposta davanti al giudice di appello, risultando questione nuova in questa sede. Oltre a ciò, la doglianza difetto di specificità, non spiegando la concreta incidenza della nuova norma invocata nella causa de qua.
Con il sesto motivo si contesta di non aver avuto notifica del processo verbale di constatazione relativo a terzi soggetti che non era stato allegato all’avviso di accertamento impugnato.
13.1. Il motivo è per un verso inammissibile e per altro verso infondato.
13.2. E’ infondato nel suo assunto implicito, secondo cui tutti gli atti indicati nell’avviso dovrebbero essere ad esso allegati, perché l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem può essere assolto tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne
riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente -ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale -di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019, n. 4176; Cass., n. 29968 del 2019). Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva. Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass., n. 24417 del 2018); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., n. 407 del 2015; Cass., n. 18073 del 2008). In ultimo, va ribadito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, va inteso in necessaria correlazione con la finalità «integrativa» delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, della legge 7 agosto
1990, n. 241; il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore «narrativo»), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass., n. 24417 del 2018; Cass., n. 2614 del 2016; Cass., n. 7654 del 2012), con la conseguenza che, in difetto di prova, non offerta dalle società contribuente, che il contenuto della nota richiamata dall’avviso di accertamento fosse necessario ad integrare la motivazione dell’atto impositivo emesso a suo carico, deve ritenersi che ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente ai fini probatori, ma non ai fini motivazionali (Cass., n. 6524 del 2020).
13.3. Impostata nei termini che precedono la censura risulta inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza in quanto la ricorrente avrebbe dovuto riportare in termini puntuali il contenuto dell’avviso impugnato al fine di consentire al giudice di scrutinare la censura, e verificare il vizio motivazionale addotto, senza dover esaminare gli atti di causa. In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità
della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147 del 2017).
Conclusivamente, accolto il primo motivo nei termini in motivazione e rigettati gli altri, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini in motivazione, rigettati gli altri, cassa la sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Roma 15 gennaio 2025 IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME NOME COGNOME