Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7476 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7476 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
Irpef – Avviso di accertamento -Motivazione -giudicato penale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28429/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA, n. 310/2020, depositata il 21 gennaio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate , che si difende a mezzo controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Palermo che aveva rigettato il ricorso spiegato avverso l’avviso di accertamento , n. CODICE_FISCALE, con il quale l’Ufficio, per l’anno di imposta 2009, aveva recuperato a tassazione, ai fini Irpef, maggiori redditi, accertati a seguito di indagini bancarie.
La contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 1, e 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 42 d.P. R 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 3 legge 7 agosto 1990, del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, dell’art. 15 preleggi.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’invalidità dell’atto impositivo per difetto di motivazione , sebbene il processo verbale di constatazione (p.v.c) non fosse stato allegato e non se ne fossero nemmeno trascritti i punti essenziali. Sostiene che l’art. 7 cit. introduce un generale divieto di motivazione per relationem e che la C.t.r. ha errato nel ritenere dirimente la circostanza che il p.v.c. fosse stato in precedenza notificato alla contribuente, con conseguente conoscenza del suo contenuto.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 20 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74; in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ ., l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati ogge tto di discussione tra le parti.
Osserva che, nel corso del giudizio di appello, erano state depositate due sentenze di assoluzione rese dal Tribunale di Palermo, la n. 1606 del 2014 e la n. 1272 del 2014; che la prima delle due sentenze, di assoluzione per non aver commesso il reato ascrittole di infedele dichiarazione, non era stata presa in considerazione dalla C.t.r.
Nella memoria la ricorrente evidenzia, altresì, che le dette sentenze sono passate in giudicato come da attestazione di cancelleria ritualmente versata in atti. Aggiunge che, alla luce delle recenti modifiche legislative, intervenute successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione e, in particolare, in ragione dell’introduzione dell’art.21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000 , l’accertamento contenuto nella sentenza del Tribunale di Palermo, n. 1606 del 28 marzo 2014 esplica i propri effetti, in termini di giudicato esterno, anche nel presente giudizio.
Assume, in proposito, la piena coincidenza tra i fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale e quelli che riguardano il presente giudizio tributario in quanto entrambe le contestazioni, sia quella penale che quella tributaria, avevano fondamento nell’attività di verifica fiscale ai fini Irpef, per gli anni d’imposta 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010, condotta dalla G.d.F. e culminata nella redazione e consegna del p.v.c. del 19 luglio 2012, in esito alla quale erano stati attribuiti alla contri buente maggiori redditi derivanti dall’applicazione delle indagini finanziarie. In particolare osserva che in sede penale era stato contestato il reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, di presentazione di dichiarazione infedele per gli anni d’imposta 2007 e 2008; in sede tributaria era stato notificato l ‘avviso di accertamento oggetto del presente giudizio.
Il primo motivo è infondato.
3.1. In tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000, nel prevedere che
debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza; nel caso di specie è incontestato che il processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. fosse stato previamente notificato alla contribuente e che il suo contenuto essenziale fosse stato comunque riportato nell’atto impositivo (cfr. Cass. 08/03/2022, nn. 7484 e 7485 rese tra le medesime parti e la giurisprudenza ivi richiamata).
3.2. Ulteriore ragione di infondatezza del motivo va, poi, ravvisata nel principio giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui «l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dall’art. 7 cit. deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e 3 sociale e di ragionevolezza, rispettivamente espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009); la parte del rapporto tributario, infatti, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica (cfr. Cass. nn. 7484 e 7485 del 2022 cit.) Conseguenza, questa, che, nel caso di specie, la ricorrente non ha neppure dedotto.
Il secondo motivo è infondato.
4.1. La sentenza n. 1606 del 2014 del Tribunale di Palermo, passata in giudicato, ha assolto la contribuente, per non aver commesso il fatto, per il delitto di cui agli art. 81 cod. pen. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, ascrittole perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sui redditi indicava nella
dichiarazione annuale dei redditi per l’anno 2007 e 2008 elementi attivi per ammontare inferiore a quello effettivo.
L’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio -se pure scaturito dal medesimo processo verbale che contestava proventi non dichiarati per gli anni di imposta dal 2005 al 2009 -ha ad oggetto esclusivamente i redditi del 2009.
4.2. Ciò posto, in via preliminare deve evidenziarsi che, diversamente da quanto esposto in memoria, alcun rilievo può avere lo ius superveniens di cui all’art. 21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000 introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m) d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87.
La nuova disposizione prevede che «la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi ».
Nella fattispecie in esame, invece, i fatti materiali oggetto del giudizio tributario sono diversi in quanto riguardano diversi anni di imposta. In ragione di ciò non potrebbe avere natura dirimente nemmeno la decisione eventualmente assunta dalle Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 5714 del 2025 sull’interpretazione dell’art. 21 -bis cit. che involge profili diversi da quelli in rilievo nel presente giudizio (ovvero la riferibilità del disposto di cui all’art. 21 -bis cit . all’imposta o alla sola sanzione e la rilevanza della sentenza penale pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c od. proc. pen.) in fattispecie in cui vi era assoluta identità del fatto contestato in sede tributaria ed in sede penale.
Viene, piuttosto, in rilievo il consolidato orientamento di questa Corte -formatosi con riferimento al giudicato civile, ma mutuabile anche con riferimento al giudicato penale -secondo il quale la sentenza
del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore condizionante inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicché, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni (Cass. 13/10/2022, n. 29992, Cass. 02/12/2021, n. 37936).
I fatti esaminati nella sentenza penale invocata riguardano le dichiarazioni dei redditi relativi ad altri anni di imposta ed il coinvolgimento della contribuente nella società RAGIONE_SOCIALE anch’esso suscettibile di mutare nel tempo.
4.3. Stesse considerazioni valgono anche per la seconda sentenza menzionata nelle memoria -sent. n. 1272 del 2014 del Tribunale di Palermo, anch’essa passata in giudicato -che ha assolto la contribuente, per non aver commesso il fatto, per il delitto di cui all’art. 10ter d.lgs. n. 74 del 2000, ascrittole, per non aver versato quale rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta 2007.
4.4. Quanto, invece, alla censura mossa con il ricorso, la ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello, dopo aver escluso l’efficacia vincolante nel processo tributario del giudicato penale, avrebbe totalmente omesso l’esame della sentenza n. 1606 del 2014 ai fini della formazione del proprio libero convincimento, incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge ed ha omesso l’ esame del fatto decisivo; tuttavia, la censura non contiene alcuna argomentazione in ordine alla decisività della sentenza che si assume ignorata ai fini dell’adozione di una statuizione diversa nell’ambito del presente giudizio tributario. Per
altro, quest’ultimo , come già rilevato, ha ad oggetto un diverso anno di imposta rispetto a quello cui si riferiscono i fatti oggetto del giudizio penale e riguarda, come evidenziato nella sentenza impugnata, il conto bancario personale della contribuente.
5. I n conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025 e, a seguito di