Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 936 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 936 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
Irpef
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5647/2016 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati presso l’avv. NOME COGNOME in INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 3206/2015 depositata in data 9/07/2015;
udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 20/09/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
A seguito di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE con cui era contestata l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, e di conseguenza un indebito risparmio di imposta da considerare provento illecito ai sensi dell’art. 14 , comma 4, della l. n. 537 del 1993, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Bergamo, emetteva due avvisi di accertamento a fini Irpef per gli anni di imposta 2007 e 2008 nei confronti di NOME COGNOME ritenuto coamministratore di fatto della società, unitamente a NOME COGNOME.
La Commissione tributaria provinciale di Bergamo rigettava il ricorso del contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettava l’appello.
In particolare, evidenziava che la ristretta base azionaria consentiva la presunzione di attribuzione di maggior reddito ai soci, irrilevante essendo che il ricorrente ne fosse socio al 50% tramite altra società, per cui era anche irrilevante la difesa circa la sussistenza dei presupposti per la qualificazione come amministratore di fatto; evidenziava altresì che le indagini penali avevano dimostrato il coinvolgimento della società nella fruizione di crediti non spettanti o non esistenti. Infine, evidenziava che rimaneva indimostrata l’affermazione dell’ omessa considerazione di costi, comunque non riconoscibili nel caso di omessa dichiarazione dei ricavi accertati.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di tre motivi, cui ha fatto seguito memoria depositata unitamente a documentazione.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 20/09/2024.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce violazione di legge in relazione all’indebita contrazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) in relazione al mancato riconoscimento della legittimazione passiva del RAGIONE_SOCIALE a dedurre in merito all’accertamento nei confronti della società.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Mancanza di motivazione e palese contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si ritiene che RAGIONE_SOCIALE abbia ricoperto il ruolo di amministratore di fatto delle RAGIONE_SOCIALE in assenza di riferimenti concreti rispetto all’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, in presenza di una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto emessa in sede penale per il medesimo fatto . Deduce infatti di essere stato assolto con formula piena in sede penale dal Tribunale di Padova.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., si deduce error in procedendo determinato dalla infondata presunzione della titolarità al 50% di quote di una società a ristretta base azionaria in capo al ricorrente e ciò anche in riferimento agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Il primo motivo censura l’affermazione della CTR secondo la quale era corretta la statuizione della CTP laddove aveva rigettato il ricorso presentato dalla parte che non era titolata a farlo ; secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente, tale affermazione si riferisce non alla sentenza di primo grado del presente giudizio ma alla sentenza resa dalla CTP nel giudizio intrapreso dallo stesso COGNOME contro gli avvisi intestati alla società RAGIONE_SOCIALE a fini Ires, Irap e Iva, a lui notificati quale coamministratore di fatto.
Il motivo, quindi, è evidentemente inammissibile perchè censura un’affermazione resa meramente ad abundantiam nel presente giudizio e spende argomenti che andavano evidentemente dedotti in sede di gravame contro la predetta sentenza della CTP. Né il ricorrente evidenzia di aver proposto, nel presente giudizio, deduzioni difensive inerenti al merito della pretesa nei confronti della società.
L’esame del terzo motivo va anteposto a quello del secondo , per motivi logici.
Il terzo motivo censura infatti l’illegittimità della decisione laddove ritiene applicabile la ripresa contestando all’odierno ricorrente lo status di socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE, peraltro indirettamente tramite un’ altra società, deducendo: a) l’inapplicabilità nei confronti del COGNOME dell’avviso di accertamento emesso verso la RAGIONE_SOCIALE; b) la mancata contestazione del ruolo di socio di RAGIONE_SOCIALE a ristretta base nell’avviso di accertamento diretto a COGNOME NOME, emesso nei suoi confronti quale coamministratore della società verificata ed autore delle violazione ed ove i redditi erano contestati ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537/1993; c) la mancanza del ruolo di socio di fatto della società verificata.
Il motivo è fondato quanto alla seconda doglianza, che in sé è chiara; l’avviso di accertamento sintetizzato e prodotto, infatti, richiamato l’accertamento verso la società già notificatogli quale
coamministratore, attribuisce direttamente al COGNOME i risparmi di imposte effettuati dalla società quali redditi diversi ex art. 14, comma 4, l. n. 537 del 1993, per cui si contesta che la decisione della CTR, fondata sul ruolo di socio (peraltro tramite una ulteriore società al 50%, di cui in realtà neanche l’Agenzia evidenzia l’esistenza ) al quale sono stati riversati gli utili accertati nei confronti della società a ristretta base, e che ha espressamente ritenuto irrilevante la qualità di amministratore della società (e quindi la possibilità di difendersi provando la insussistenza dei relativi presupposti), sia ultronea rispetto al contenuto dell’avviso di accertamento (ove invece era contestato proprio il ruolo di amministratore) e a quanto deciso dalla CTP.
Deve infatti rammentarsi che nel giudizio tributario l’oggetto del dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato, e, dall’altro, dagli specifici motivi d’impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo (Cass. 11/05/2007, n. 10779).
4. A fronte di tali considerazioni, si innesta il tema del giudicato, dedotto nel corpo del secondo motivo, ribadito nella memoria, avendo il ricorrente depositato sentenza dibattimentale del Tribunale di Padova n. 2272/2015 emessa in data 13/07/2015, e quindi successiva alla sentenza impugnata, munita di attestazione di irrevocabilità, che manda assolto il COGNOME, con la formula «non ha commesso il fatto» dai reati contestatigli. La sentenza peraltro era già agli atti del giudizio, ed è munita anche di attestazione di irrevocabilità per il COGNOME, che viene assolto, per non aver commesso il fatto, dai reati di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi della RAGIONE_SOCIALE e indebita compensazione di crediti inesistenti, sempre per RAGIONE_SOCIALE, perché, in base a documentazione e deposizioni testimoniali, viene escluso che fosse da considerare amministratore di fatto della società essendone un mero dipendente. Il giudicato penale contiene un accertamento
quindi dell’estraneità del COGNOME al ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, qualità di amministratore che la CTR ha erratamente ritenuto irrilevante nel giudizio, ritenendo che il contribuente potesse liberarsi da responsabilità solo provando l’omessa percezione dei redditi dalla società.
Orbene, questa Corte ha già ritenuto la potenziale rilevanza del giudicato penale assolutorio nei processi pendenti, in conseguenza dell’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000 come introdotto dal d.lgs. n. 87/2024.
Sui rapporti tra giudicato penale e processo tributario questa Corte ha costantemente affermato che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. n. 17258/2019; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 5720/2007).
Si è precisato, infatti, che l’art. 654 cod. proc. pen., che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale – norma operante, in base all’art. 207 disp. att., anche per i reati previsti da leggi speciali, ed avente, quindi, portata immediatamente modificativa dell’art. 12 del d.l. n. 429 del 1982, conv. dalla l. n. 516 del 1982, disposizione che regolava l’autorità del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poi espressamente abrogata dall’art. 25, lett. d), del d.lgs.
n. 74 del 2000 -, la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova «della posizione soggettiva controversa». Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. n. 546 del 1992 (e, in precedenza, dall’art. 35, comma quinto, del d.P.R. n. 636 del 1972), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973) prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, comma primo, cod. civ.), che nel processo penale (art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.), la conseguenza del mutato quadro normativo era che nessuna automatica autorità di cosa giudicata potesse più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale fossero gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria aveva promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario, in tale sistema, non poteva limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), doveva, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso era destinato ad operare (Cass. n. 9109/2002; Cass. n. 8102/2003; Cass. n. 10945/2005; Cass. n. 5720/2007; Cass. n. 19786/2011; Cass. n.
4924/2013; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 28174/2017; Cass. n. 17258/2019).
Questa Corte, di conseguenza, ha precisato, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione nel giudizio di cassazione in sede di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ., che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non poteva trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato fosse invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 2735/2017, di cui fanno applicazione, tra tante, Cass. n. 22376/2017; Cass. n. 23483/2010; ed ancora Cass. n. 9900/2024 e Cass. n. 16413/2023 in materia tributaria).
Tale assetto normativo e giurisprudenziale è stato innovato dall ‘art. 21bis del d.lgs. 10/03/2000, n. 74, introdotto dall ‘art. 1, comma 1, d.lgs. 14/06/2024, n. 87 ed in vigore dal 29 giugno 2024, rubricato «Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione», il quale dispone: «1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha
commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati».
La disposizione, che non si accompagna alla previsione di una sospensione obbligatoria del processo tributario in pendenza di quello penale, impone di riconoscere efficacia vincolante nel processo tributario al giudicato penale assolutorio formatosi a seguito di giudizio dibattimentale purchè tale giudicato abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purchè l’assoluzione sia avvenuta in base ad una delle due formule sopra indicate; l’efficacia del giudicato a ttiene quindi agli «stessi fatti materiali», il che ha indotto i primi commentatori ad evidenziare che quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti di fatto.
La ratio della riforma, evincibile del criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo,
è quella di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem (criterio di delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 della l. n. 111 del 2023); il legislatore si propone la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem (il che spiega la rilevanza del solo giudicato assolutorio).
Questa Corte (Cass. n. 21584/2024; Cass. n. 23570/2024; Cass. n. 23609/2024; Cass. n. 30914/2024 ) ha già ritenuto che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso).
Le disposizioni in esame appaiono infatti avere carattere processuale, incidendo sulla efficacia esterna nel processo tributario del giudicato penale (il primo comma) e sulle modalità di produzione nel giudizio di cassazione (il secondo comma).
Il motivo, quindi, sul punto, alla luce della indicata produzione della sentenza assolutoria, va accolto.
Alla luce di tali considerazioni, assorbiti i restanti profili fattuali denunciati dal secondo motivo, il terzo ed il secondo motivo, ove deduce il sopravvenuto giudicato penale assolutorio dibattimentale, vanno accolti; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, per nuovo esame della corrispondenza tra la originaria contestazione dell’avviso di accertamento e quanto dedotto in giudizio e per la valutazione della rilevanza del sopravvenuto giudicato penale assolutorio. Alla Corte di giustizia è altresì demandato di provvedere in relazione alle spese di lite del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso, nei termini indicati in motivazione, dichiarato inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 20 settembre 2024.