Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 792 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 792 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
RAGIONE_SOCIALE
– intimato – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 945/2021 depositata in data 3/12/2021, non notificata; udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Giudicato penale di assoluzione-rilevanza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13883/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
La Commissione tributaria regionale della Liguria rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro un avviso di accertamento per Ires, Irap e Iva per l’ anno di imposta 2012 in relazione a operazioni oggettivamente inesistenti; in particolare i giudici di appello davano rilevanza alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste pronunciata dal Tribunale di Genova nei confronti del legale rappresentante della società, evidenziando che la CTP, con valutazione condivisa, aveva altresì valutato in senso favorevole alla società gli elementi fattuali emersi che deponevano per l’effett iva esecuzione delle operazioni.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato ad un motivo.
La società contribuente, cui il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. presso il difensore di appello, è rimasta intimata.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10 dicembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ., l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, dell’ art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 2909 cod. civ. ; deduce che il giudicato penale non è rilevante direttamente nel processo tributario, ove la pretesa erariale può fondarsi anche su presunzioni inidonee a supportare una pronuncia di condanna penale e ove valgono i limiti di prova previsti dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992; nel caso di specie i giudici del gravame avevano solo formalmente affermato che la sentenza penale non aveva efficacia di giudicato ma poi di fatto avevano evidenziato che l’ufficio non aveva offerto elementi ulteriori e diversi da quelli vagliati dal giudice penale, laddove invece avrebbero dovuto procedere
ad un’ autonoma valutazione, pur essendo pacifico che i fatti materiali fossero gli stessi.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. n. 17258/2019; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 5720/2007).
Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 9109/2002; Cass. n. 8102/2003; Cass. n. 10945/2005; Cass. n. 5720/2007; Cass. n. 19786/2011; Cass. n. 4924/2013; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 28174/2017; Cass. n. 17258/2019).
2.1. Tale assetto è stato però innovato dall’art. 21 -bis del d.lgs. 10/03/2000, n. 74, introdotto dall’art. 1, comma 1, d.lgs. 14/06/2024, n. 87 ed in vigore dal 29 giugno 2024, rubricato «Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione», il quale dispone: «1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il
fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati».
La disposizione, che non si accompagna alla previsione di una sospensione obbligatoria del processo tributario in pendenza di quello penale, impone di riconoscere efficacia vincolante nel processo tributario al giudicato penale assolutorio formatosi a seguito di giudizio dibattimentale purchè tale giudicato abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purchè l’assoluzione sia avvenuta in base ad una delle due formule sopra indicate; l’efficacia del giudicato a ttiene quindi agli «stessi fatti materiali»; il che ha indotto i primi commentatori ad evidenziare che quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti di fatto.
La ratio della riforma, evincibile del criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo,
è quella di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem (criterio di delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 della l. n. 111 del 2023); il legislatore si propone la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem (il che spiega la rilevanza del solo giudicato assolutorio).
2.2. Questa Corte (Cass. n. 21584/2024; Cass. n. 23570/2024; Cass. n. 23609/2024; Cass. n. 30675/2024; Cass. n. 30814/2024) ha già ritenuto che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso).
Le disposizioni in esame appaiono infatti avere carattere processuale, incidendo sulla efficacia esterna nel processo tributario del giudicato penale (il primo comma) e sulle modalità di produzione nel giudizio di cassazione (il secondo comma) (Cass. n. 30814/2024).
2.3. Esposte tali considerazioni, in primo luogo deve osservarsi che la CTR non ha affatto violato i principi sopra esposti, riferiti al previgente quadro normativo, in quanto non si è limitata a recepire acriticamente il giudicato penale assolutorio ma, a confutazione di analogo motivo di appello, ha espressamente richiamato le
considerazioni della CTP che aveva non solo valutato il giudicato penale ma escluso la inesistenza delle operazioni anche in base alla ricostruzione logica e documentata del legale rappresentante della società. L’assunto secondo cui l’ufficio non avrebbe i ndicato i fatti divergenti dell’accertamento fiscale rispetto alla imputazione penale è affermazione che non attiene al riparto degli oneri probatori bensì ai motivi di appello, la cui proposizione non conterrebbe idonea critica alla decisione di primo grado.
2.4. In secondo luogo, occorre osservare che i presupposti di applicazione della nuova disciplina sono: a) sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso; b) la pronuncia a seguito di dibattimento; c) l’identità dei fatti materiali; a tali condizioni la sentenza assolutoria pronunciata nei confronti del legale rappresentante ha efficacia di giudicato anche nel processo tributario a carico della società (comma 3).
Nel nostro caso, è pacificamente evidenziato che si tratti di assoluzione irrevocabile perché il fatto non sussiste pronunciata nei confronti del legale rappresentante della società; la stessa Agenzia ammette come circostanza pacifica che i fatti posti a base della imputazione penale e quelli posti a base dell’accertamento sono identici; la CTR inoltre ha espressamente evidenziato che si tratti di pronuncia emessa a seguito di dibattimento, con affermazione rimasta incensurata nel ricorso o in successive memorie.
Alla luce della sopravvenienza normativa e delle precedenti considerazioni in diritto e in fatto, quindi, il ricorso deve essere respinto, con integrazione della motivazione nei termini indicati.
Non vi è a provvedere sulle spese di lite alla luce del mancato svolgimento di attività difensiva dell’intimata.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 1778/2016).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 10 dicembre 2024.