Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1187 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6039/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in FOGGIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-controricorrente-
e
sul controricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
contro
ricorrente/ricorrente
incidentale
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-controricorrente incidentale – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. della PUGLIAFOGGIA n. 363/2016 depositata il 16/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Cons. COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME veniva a conoscenza di una cartella di pagamento asseritamente non notificatagli, avverso la quale proponeva ricorso, comunque tempestivo, lamentando non aver avuto notifica dell’atto impositivo presupposto, né aver avuto contezza del nominativo del responsabile del procedimento. Negava di aver avuto in sua mano la cartella, seppure abbandonava l’eccezione di regolare notifica della stessa, riconoscendo essere avvenuta col maturarsi del termine per il deposito nella casa comunale, ai sensi dell’articolo 140 del codice di procedura civile.
Il giudice di primo grado accoglieva le ragioni di parte contribuente, ritenendo non dimostrata la prova della preventiva notificazione dell’avviso di accertamento o, comunque, dell’atto impositivo. Affermava non esservi litisconsorzio fra l’incaricato della riscossione e l’amministrazione finanziaria, donde spettava al primo la chiamata in causa della seconda laddove si facesse questione, com’era nei fatti, in ordine al presupposto atto impositivo e non solo a vizi propri della cartella.
Proponeva appello l’incaricato per la riscossione ed interveniva in giudizio altresì l’Agenzia delle entrate.
Il collegio di secondo grado ha rigettato l’impugnazione, motivando tra l’altro – non essere stato indicato il responsabile del procedimento e per non essere stata data la prova della preventiva notifica dell’atto impositivo.
Propone ricorso per cassazione l’incaricato per la riscossione, affidandosi a due motivi, cui replica la parte contribuente con tempestivo controricorso, a sua volta propone ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate, affidato ad unico motivo, cui replica la parte contribuente con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, il difensore della ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
In via preliminare di rito, alla luce dei principi affermati da Cass., Sez. Tributaria, n.3312 del 3 febbraio 2022 integralmente condivisi dal Collegio, si dà atto dell ‘ammissibilità della memoria depositata dal difensore della estinta Equitalia Sud s.p.aRAGIONE_SOCIALE (alla quale è succeduta ex lege Agenzia delle entrate-Riscossione parte nei cui confronti, ex art.2909 cod.civ. e 110 cod. proc.civ. prosegue il giudizio e si producono gli effetti del giudicato), in quanto lo stesso era rappresentante e procuratore di soggetto già ritualmente costituito al l’ 1 luglio 2017 (infatti il ricorso , notificato i 3-4 marzo 2016, è stato depositato in data 11 marzo 2016.
Vengono posti due motivi di ricorso principale ed un motivo d’ impugnazione con il ricorso incidentale.
Con il primo motivo di ricorso principale si prospetta censura in parametro all’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 37 del medesimo codice di rito. Nella sostanza, si propone censura per violazione del riparto di giurisdizione, avendo il giudice di merito annullato integralmente la cartella esattoriale, pur contenente ruoli derivanti da profili diversi
da quelli tributari, segnatamente due contravvenzioni al codice della strada.
Con il secondo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 e del decreto ministeriale delle finanze del 28 giugno 1999, nonché dell’articolo 2719 del codice civile. Nella sostanza, si rappresenta che il contribuente doveva avere la cartella, in sue mani, una volta ammessa la regolarità della notifica e, d’altro canto, non poteva chiedersi all’incaricato per la riscossione la produzione dell’esemplare della cartella, che non è più in suo possesso, ma che è validamente sostituita dagli estratti di ruolo prodotti, come da giurisprudenza costante di questa Suprema Corte di legittimità.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5 del codice di procedura civile per omesso esame circa un fatto decisivo, laddove il collegio di secondo grado avrebbe obliato di esaminare la produzione documentale dell’Ufficio, resa in secondo grado, ove era stata prodotta non solo la busta con cui l’atto impositivo era stato notificato, ma lo stesso atto impositivo, cioè l’avviso di accertamento, non esaminato dal giudice del gravame.
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di giudicato proposta dalla parte contribuente in entrambi i propri controricorsi.
Il contribuente, infatti, rappresenta come già la sentenza di primo grado contenesse due autonome rationes decidendi , non intaccate in sede d’appello e non validamente aggredite in sede di legittimità. Afferma, infatti, che fin dal primo grado di giudizio l’annullamento era statuito per non aversi prova che la cartella contenesse l’obbligatoria indicazione del nominativo del responsabile del procedimento e, soprattutto, che la cartella era priva di motivazione, né vi era prova che fosse stata preceduta da valida
notifica di un atto propedeutico, cioè l’atto impositivo di accertamento.
Dall’esame della sentenza di primo grado emerge che il collegio di prossimità abbia argomentato esplicitamente con diverse rationes in accoglimento alle plurime censure di parte privata. Fra queste, emerge chiaramente il passaggio argomentativo, ove si fa riferimento alla mancata indicazione del responsabile del procedimento e, soprattutto, della mancata prova della notifica del presupposto avviso di accertamento.
Su questo punto non vi è stata impugnazione da parte dell’incaricato per la riscossione, che, come ricordato, non ha evocato in giudizio in primo grado l’ente impositore, assumendosi le relative responsabilità (Cass. S.U. 16412/2007; Cass. V, n.13082/2011; n. 14991/2020) per non aver fornito la prova -quale attore in senso sostanziale- della regolare sequenza procedimentale che porta all’atto di riscossione coattiva. Dall’esame dell’appello, infatti, emerge come l’incaricato per la riscossione abbia censura to il profilo della mancata indicazione, in cartella, del responsabile del procedimento, affermandolo contenuto dell’atto impositivo nel titolo esecutivo, che è cosa ben diversa dal dimostrare l’avvenuta preventiva notifica dell’atto impositivo presupposto , fase -peraltrodi competenza di Agenzia delle entrate, non dell’incaric ato per la riscossione.
Né poteva costituire apposita doglianza l’atto di intervento in appello dell’Agenzia delle entrate, con il deposito del suddetto documento, sia perché l’atto di intervento -dove ammissibile- non ha comunque natura impugnatoria, sia perché non può ampliare l’oggetto del giudizio in secondo grado, con violazione del contraddittorio e del doppio grado di giudizio.
Solo per completezza, laddove si volesse assumere che il documento relativo alla prova della notificazione dell’atto impositivo presupposto fosse stato comunque acquisito validamente in secondo
grado e dovesse essere valutato dal giudice del gravame, in ogni caso la sua ritenuta mancata rilevanza o completezza non può essere oggetto di censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., come proposto dal ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate. Trattasi infatti di valutazione sul compendio probatorio offerto, non della mancata considerazione di un fatto storico.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita
confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Pertanto, si è consolidato già con la sentenza di primo grado un giudicato interno che doveva rendere già inammissibile l’appello, anche sotto il profilo della giurisdizione che, in disparte la circostanza che, in questa sede, il motivo viene proposto sotto parametro diverso da quello previsto dal codice di rito ed in violazione dei requisiti completezza ed esaustività della doglianza, come richiesto dall’art. 366 del medesimo codice di procedura civile.
In definitiva, il ricorso principale ed il ricorso incidentale debbono essere dichiarati inammissibili, mentre le spese di lite
seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo con distrazione a carico del difensore dichiaratosene antistatario.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale, in solido fra loro, alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €. millequattrocento/00, oltre ad €.200,00 per esborsi, rimborso in misura forfettaria del 15%, Iva e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale -e della non sussistenza da parte della ricorrente incidentaledell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/10/2024.