Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2305 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2305  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 252/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE,  domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,  e rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SARDEGNA n. 420/2022 depositata il 23/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, con sentenza n. 420/08/2021 depositata in data 23.05.2022 e non notificata, in riforma della sentenza di primo grado che aveva rigettato l’ impugnazione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego di rimborso emesso dal Comune di Olbia e relativo all’istanza presentata dalla società contribuente per la ripetizione della TARSU corrisposta per gli anni 2000, 2001, 2002, 2003, 2004 e 2006 dichiarava dovuto il rimborso richiesto dalla contribuente ponendo a fondamento della decisione il passaggio in giudicato della sentenza n. 291/08/18, resa il 23/03/2018, con cui era stata accertata l’insussistenza del presupposto impositivo per altra annualità;
avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il Comune di Olbia cui resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
quest’ ultima ha depositato memoria in data 9 novembre 2023;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo l’ ente ricorrente lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per omessa pronuncia su un’eccezione ritualmente introdotta in relazione agli artt. 112 cod. proc. civ., 21, primo comma, e 19 d. lgs. 546/1992;
 rileva  che  i  giudici  di  appello  avevano  del  tutto  omesso  di considerare l’eccezione ritualmente sollevata circa la inammissibilità del  ricorso  avverso  il  diniego  pronunciato  sull’istanza  di  rimborso della società, dal momento che quest’ultima aveva ad oggetto una
pretesa  tributaria  consolidatasi  per  mancata  impugnazione  prima degli avvisi di accertamento e, poi, delle cartelle con le quali gli stessi venivano messi in riscossione e sulla quale la parte aveva prestato acquiescenza pagando le somme ingiunte;
 con  il  secondo motivo  lamenta,  ai  sensi  dell’  art.  360,  primo comma, n. 3, violazione degli artt. 21, primo comma, e 19, d. lgs. 546/1992;
2.1. assume che la Commissione Tributaria Regionale, violando la normativa suddetta, aveva disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ritualmente sollevata dal Comune, avente ad oggetto una pretesa  riferita  ad  atti  ormai  consolidati  per  mancata  tempestiva impugnazione, su cui era intervenuta anche acquiescenza da parte della contribuente;
con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2967 cod. civ., dell’art. 62, terzo comma del d.lgs. 507/1993 e dell’art. 12 del Regolamento Comunale Tarsu approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 11 del 1997 come succ. mod ed int. e dell’art. 2697 c.c., atteso che la Commissione Tributaria Regionale, violando la normativa in esame, aveva illegittimamente esteso gli effetti del giudicato formatosi per un’annualità – e concernente non tassabilità delle aree per produzione di rifiuti speciali – anche ad annualità diverse, omettendo di verificare la ricorrenza degli imprescindibili presupposti richiesti dalla detta normativa;
con il quarto motivo deduce , ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione, dell’art. 62, terzo comma del d.lgs. 507/1993 e dell’art. 12 del Regolamento Comunale Tarsu approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 11 del 1997, come succ. mod ed int., in quanto i giudici di appello dichiarando illegittimo il diniego espresso dal Comune sull’istanza di rimborso, avevano, di fatto, riconosciuto il diritto della società a beneficiare dell’esclusione dalla tassazione di tutte le superfici, in mancanza dei prescritti
requisiti di legge che imponevano alla ditta di farne tempestiva ed espressa  richiesta  l’anno  prima  di  quello  oggetto  di  imposizione nonché di fornire adeguata dimostrazione di avvenuto smaltimento a proprie spese delle scorie prodotte;
il primo motivo è infondato;
5.1.  deve  ritenersi  che  la  Commissione  Tributaria  Regionale, nell’ esaminare nel merito la questione dedotta dalla società contribuente in  ordine  alla  rilevanza  del  giudicato  esterno,  abbia,  sia  pure implicitamente,  ritenuto  di  superare  il  profilo  di  inammissibilità richiamato;
5.2. giova, pure, ricordare che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis , Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123);
il  secondo motivo ed il terzo motivo, afferenti questioni ritualmente  sollevate  dal  Comune  nel  corso  dei  giudizi  di  merito, appaiono  fondati  per  le  ragioni  appresso  specificate,  rimanendo assorbito il quarto motivo;
6.1. in punto di fatto risulta che la RAGIONE_SOCIALE, alla luce della pronuncia  della  Commissione  Tributaria  Provinciale  di  Sassari  n. 103/2008, riferita a TARSU anno 2005, passata in giudicato, in data 1  ottobre 2008  ha  presentato  al  Comune  di  Olbia  l’istanza  di rimborso delle somme versate per TARSU anni 2000-2004 e 2006, richiamando detta decisione che aveva accertato la parziale insussistenza dei presupposti impositivi stabilendo che le superfici
dell’immobile aziendale erano soggette a tassazione esclusivamente in relazione alla residenza del custode ed agli uffici, mentre le altre aree destinate alle lavorazioni artigianali erano da ritenersi escluse poiché soggette alla normativa speciale inerente lo smaltimento di rifiuti speciali tramite imprese specializzate;
6.2. i giudici di appello, secondo quanto si evince dalla sentenza in atti, ritenevano  condivisibile la tesi della  società  contribuente secondo cui l’accertamento , in fatto, relativo alla pronuncia riferita all’anno  2005,  passata  in  autorità  di  giudicato,  era  idonea  a travolgere anche i pagamenti riferiti agli anni 2000-2004 e 2006, dal momento che l ‘ organizzazione aziendale e logistica, dipendente dalla situazione degli stessi immobili, era rimasta immutata nel corso degli anni;
6.3. occorre premettere, avendo parte ricorrente fatto riferimento alla sussistenza di un diritto soggettivo al rimborso nascente dal regolamento comunale, che la previsione del richiamato Regolamento del Comune di Olbia secondo cui ‘ Il contribuente può chiedere lo sgravio o il rimborso della tassa iscritta a ruolo riconosciuta non dovuta nel termine di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il pagamento o è stato definitivamente accertato il diritto alla restituzione ‘ non esclude, ovviamente, il diritto dell’ ente di negare detto rimborso laddove ritenga lo stesso non dovuto, nell’ esercizio delle facoltà allo stesso spettanti;
6.4. le Sezioni Unite di questa Corte hanno più volte affermato il principio secondo il quale avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo (come avvenuto nel caso in esame), non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, quanto per l’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività, atteso che diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso
ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009). Secondo l’arresto delle S.U. citate, il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, per le ragioni esposte in precedenza. Dunque, l’istanza di autotutela del contribuente non determina per l’Amministrazione alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto meno, di agire nel senso prospettato dalla contribuente medesima. Contro il rifiuto espresso di autotutela può, difatti, esercitarsi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria e, nel caso in esame, anche una illegittima ablazione del giudicato che ha riguardato la legittimità del medesimo atto impositivo (Cass. n. 11457/2010; Cass. n. 10020/2012; Cass. nn. 25563, 15194 e 255524/2014);
6.5. è stato osservato che l’ interesse a che ciascun individuo sia soggetto ad una tassazione conforme alla legge e correlata alla propria capacità contributiva è un interesse astratto (coincidente con il ripristino della legalità) laddove invece, per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico (come, ad esempio, l’interesse derivante dall’intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione; di atto basato su una affermazione di principio, suscettivo di generalizzazione, errata), in esatta corrispondenza all’interesse di cui l’amministrazione deve dar conto nella motivazione dell’atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato);
6.6. il “rilevante interesse generale” che legittima l’autotutela non può, dunque, consistere nella mera deduzione dell’erronea imposizione in ragione di un giudicato favorevole al contribuente, trattandosi di un profilo inerente, in via esclusiva, l’interesse privato ad evitare una tassazione superiore rispetto a quella che si ritiene dovuta, mentre il sindacato giurisdizionale può esercitarsi soltanto sulla legittimità del rifiuto stesso da parte dell’Amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell’art. 2quater del decreto-legge 20 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell’art. 3 del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, ne giustificano l’esercizio, e non, come detto, sulla fondatezza della pretesa tributaria;
7. in materia di autotutela tributaria deve anche richiamarsi l’ intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 181/2017, – nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 -quater , comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, conv., con mod., dalla legge 30 novembre e dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sollevate dalla CTP di Chieti, in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 113 della Costitu zione, nell’ambito di un proce sso instaurato da un contribuente contro il «silenziorifiuto formatosi sull’istanza di autotutela» avente ad oggetto il riesame degli avvisi di accertamento, non impugnati in sede giudiziaria, di rettifica in aumento dei redditi professionali dichiarati – dopo avere richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui l’autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente e secondo cui non esiste un dovere dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d’altro canto, il silenzio stesso può
essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412) -ha precisato che « A differenza di quest’ultimo , tuttavia, l’annullamento d’ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell’autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell’atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l’illegittimità. Certamente, l’apprezzamento discrezionale operato in sede di autotutela tributaria presenta tratti particolari per la forza che assume, nel suo contesto, l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi. L’annullamento d’ufficio di atti inoppugnabili per vizi ‘sostanziali’, cioè che hanno condotto l’amministrazione a percepire somme non dovute, tende infatti a soddisfare ipso jure l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, che si può considerare una sintesi tra l’interesse fiscale dello Stato -comunità e il principio della capacità contributiva, tutelati dall’art. 53, primo comma, Cost. (…). Anche in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti -e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio. Questa
configurazione dell’autotutela tributaria emerge del resto chiaramente dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che afferma il carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario e, come visto, sottolinea che esso «non costituisce un mezzo di tutela del contribuente» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 febbraio 2015, n. 3442, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 24 maggio 2013, n. 12930, (…) Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097)»;
7.1. in particolare, nella detta pronuncia, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 23 e 53 Cost. osservando che «le norme censurate -e più in generale la disciplina legislativa dell’annullamento d’ufficio tributario -operano dunque un bilanciamento non irragionevole tra l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tri buti e l’interesse alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico che sarebbe inevitabilmente sacrificato da una scelta legislativa che imponesse all’amministrazione di pronunciarsi sempre e comunque sull’istanza di autotutela del contribuente. Di fronte a una tale istanza, alle agenzie fiscali è invece consentito di valutare se attivarsi o meno, senza che la loro eventuale scelta di non provvedere possa essere oggetto di contestazione giurisdizionale da parte dell’istante, non essendo in tale caso il loro potere di provvedere in autotutela diverso da quello esercitabile in ipotesi spontaneamente. La non irragionevolezza della disciplina esaminata non comporta che siano precluse al legislatore altre possibili scelte. Questa Corte ha già osservato che, «in via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale» (sentenza n. 75 del 2000). Ugualmente ha ritenuto non fondata la questione posta in riferimento all’art. 97 Cost. affermando che «Dalla giusta considerazione che la disciplina legislativa del po tere di annullamento d’ufficio degli atti divenuti
inoppugnabili si fonda (anche) sull’art. 97, secondo comma, Cost., non è corretto inferire la necessità costituzionale della previsione legislativa di un dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, come prospetta il giudice a quo. Al contrario, proprio nel principio di buon andamento espresso nella norma costituzionale citata si radica il vincolo per il legislatore di tenere conto, nella disciplina dell’annullamento d’ufficio, anche dell’interesse pubblico alla stabilità dei rapp orti giuridici già definiti dall’amministrazione, con la conseguenza che non irragionevolmente il legislatore stesso ha ritenuto di non prevedere che su eventuali istanze di autotutela l’amministrazione debba necessariamente pronunciarsi» nonché non fondata la questione relativa agli artt. 24 e 113 Cost. in quanto la disciplina legislativa del potere di autotutela tributaria, nella parte in cui non prevede un obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di annullamento presentate dal contribuente, non lede la garanzia costituzionale del diritto al giudice;
8. orbene nella specie, trattasi sostanzialmente di un atto di conferma c.d. impropria, cioè di un atto – come si evince dalla sentenza impugnata – confermativo di un precedente provvedimento senza alcuna istruttoria ulteriore, in considerazione di quanto precede l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il giudicato sarebbe tout court idoneo a travolgere gli accertamenti divenuti definitivi non può che essere censurata. Diversamente opinando, o si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa, o si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo, che sia divenuto definitivo (vedi Cass. n. 15220 del 2012; e cfr. Cass. SU. n. 16097 del 2009, nella quale si è anche ribadito, più in generale, che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del
contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti);
9. a non diversa conclusione, quanto alle legittimità dell’ operato dell’ ente impositore, deve pervenirsi anche ove si ritenesse che, nel caso in esame, si verte in ipotesi di conferma c.d. propria ravvisabile ove l’Amministrazione entra nel merito dell’istanza e, dopo aver considerato i fatti e motivi prospettati dal richiedente si esprime in senso negativo, inizia un vero e proprio procedimento di riesame, con una nuova valutazione della situazione in fatto e di diritto. In tal caso l’atto emanato si sostituisce al precedente come fonte di disciplina del rapporto e il precedente provvedimento resta assorbito dal nuovo. Solamente in tale evenienza è ammissibile l’impugnazione del provvedimento espresso di diniego di autotutela (Cass., sez. 5, n. 1803 del 2019);
9.1.occorre considerare, tuttavia, che, in ogni caso, in materia tributaria vale il principio per cui: «Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’ accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.», così che detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, «non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi
caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente» (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde, ex plurimis, Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., 22 aprile 2009, n. 9512; v. altresì, in tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675);
7.1. nella fattispecie in esame è del tutto evidente che l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali integra, – così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti, elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta e, quindi, «potenzialmente mutevole»; (v. Cass. 21555/2022, Cass. 20969/2020 e Cass. 32741/2019), sicchè appare, in ogni caso, legittimo il diniego dell’ ente impositore il quale ha negato la vincolatività del giudicato;
7.2. va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: « in materia di TARSU l’ accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali integra, – così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti – elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta , con la conseguenza che la parte non può utilmente invocare, sotto tale profilo, il giudicato esterno relativo ad altre annualità » ;
il ricorso va, dunque, accolto per quanto di ragione; la sentenza impugnata deve essere cassata. Poiché non sono necessari ulteriori
accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito  ex  art.  384  cod.  proc.  civ.,  mediante  rigetto  del  ricorso introduttivo della parte contribuente;
8.1. sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese del giudizio  di  merito,  tenuto  conto  dello  svolgimento  della  vicenda processuale.  Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  gravano,  per  il principio della soccombenza, sulla società contribuente;
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della RAGIONE_SOCIALE; compensa integralmente le spese dei giudizi di merito; condanna la controricorrente alla refusione delle spese sostenute dal Comune di Olbia nel presente grado di legittimità che liquida in complessivi euro 5.800,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data