Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22562 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22562 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 6897/2024 R.G., proposto da:
COGNOME NOME COGNOME cf CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che ex lege la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 8240/15/2023 della Corte di giustizia tributaria di II grado della Sicilia, depositata il 12 ottobre 2023;
E
Sul ricorso n. 11010-2024 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che ex lege la rappresenta e difende –
Accertamento – Giudicato esterno – Efficacia – Limiti
CONTRO
COGNOME NOME COGNOME cf CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 3725/2023 della Corte di giustizia tributaria di II grado della Sicilia, depositata il 24 aprile 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 12 marzo 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalle sentenze e dai ricorsi si evince che l’Agenzia delle entrate notificò al contribuente, esercente attività di riparazione e sostituzione di pneumatici per autovetture, tre avvisi d’accertamento, relativi agli anni 2012/2014 , per incongruenze rilevate nei dati risultanti da lle dichiarazioni fiscali. Per l’anno 2012 l’accertamento era stato fondato sullo studio di settore; per le altre due annualità su ll’accertamento di maggiori redditi, desunti da annotazioni contabili che si assumevano non veritiere in merito a rimanenze di pneumatici dichiarati in quantità eccessiva, e per gran parte dei quali se ne era denunciato il furto il 20 giugno 2014, con quantificazione del valore pari ad € 210.468,00 . L’Amministrazione finanziaria ritenne che la denuncia di furto celasse la cessione in nero degli pneumatici e, dividendo i ricavi occulti nelle due annualità 2013 e 2014, contestò un maggior imponibile per ciascuna delle annualità con i relativi atti impositivi ( avviso d’accertamento n. TYZ01C301030/2017 per il 2013 e l’avviso di accertamento n. TYZ01C301033/2017 per il 2014).
Con il ricorso iscritto nel RG con n. 6897/2024 il contribuente impugnò l’avviso d’accertamento relativo all’anno d’imposta 2014 dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ragusa, che con sentenza n. 756/02/2019 accolse le ragioni annullando l’atto.
L’Agenzia delle entrate impugnò la pronuncia dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania (poi Corte di giustizia tributaria di II grado della Sicilia), che con sentenza n. 8240/15/2023, in riforma della sentenza di primo grado, accolse l’appello.
Il giudice d’appello , esposte le rispettive difese, dopo aver riconosciuto l’applicabilità dell’a rt. 4, comma 2, del d.P.R. n 441/1997, da ciò desumendo che le differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture di magazzino -di cui al d.P.R. n. 600 del 1973o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze finali registrate dallo stesso contribuente costituiscono presunzioni di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, qualora tali differenze si siano verificate in tale periodo e, quindi, anche per i periodi d’imposta precedenti all’anno in corso al momento della verifica, ma che siano comunque stati oggetto di controllo, ha rilevato che «d all’esame delle scritture di magazzino, risulta palese la non corrispondenza con le dichiarazioni fiscali del ricorrente: la distinta analitica al 31.12.2013 riporta la medesima merce indicata nella distinta analitica al 31.12.2012, oltre alla merce acquistata nel 2013; osserva che la merce giacente era allocata in un piccolo locale di appena mq 80, usato dalla ditta a partire dal 29 settembre 2013, inadeguato per grandezza a contenere una ingente quantità di pneumatici; parte della merce asseritamente rubata nel giugno del 2014, è elencata nella distinta delle rimanenze al 31.12.2014; nonostante l’ingente quantità di merce in giacenza, nel 2014 ne acquista di nuova. Tutti elementi che inducono a ritenere fondata la ricostruzione del reddito operata dall’Ufficio ».
Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Con il ricorso iscritto nel RG con n. 11010/2024, Il contribuente impugnò l’atto relativo all’anno d’imposta 2013 dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ragusa, che con sentenza n. 854/3/2019 accolse il ricorso. L’appello fu respinto dalla Corte di giustizia di II grado della Sicilia con la sentenza 3725/13/2023. Il giudice regionale ha ritenuto che non fosse stato rispettato il contraddittorio endoprocedimentale ai fini Iva, e, quanto alle imposte dirette, che l’accertamento si fosse basato ‘su congetture e illazioni ‘, senza che l’Agenzia avesse offerto dati oggettivi, muniti della necessaria certezza e gravità indiziaria.
Con due motivi l ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, cui ha resistito il contribuente con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Nell’adunanza camerale del 12 marzo 2025 le cause, previa loro riunione, sono state decise.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Trattando della causa con numero di ruolo anteriore (6897/2024), il contribuente con il ‘ primo ‘ motivo ha innanzitutto eccepito il «giudicato esterno, ai sensi dell’art. 324 c.p.c. (giudicato formale) e dell’art. 2909 cod. civ. (giudicato sostanziale)».
Per conseguenza con il ‘ secondo ‘ motivo ha lamentato la «violazione dell’art. 12, co. 7, legge n. 212/2000, ratione temporis in vigore, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. – Eccezione di giudicato».
Con il ‘ terzo ‘ motivo si è doluto della «v iolazione dell’art. 39, co. 1, lett. d), DPR. n. 600/73 nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. -Eccezione di giudicato».
I tre motivi, concretizzandosi tutti in una eccezione di giudicato, vanno trattati unitariamente per afferire alla medesima questione, ossia la pretesa efficacia di giudicato della sentenza emessa dalla Corte di giustizia di II grado della Sicilia, sez. staccata di Catania, la n. 3725/13/2023, relativa alla controversia qui pure riunita, la n. 11010/2024, e afferente al l’impugnazione dell’avviso d’accertamento n. CODICE_FISCALE per l’anno d’imposta 2013. Nella prospettazione difensiva del contribuente tale sentenza, tardivamente impugnata dall’Agenzia delle entrate , sarebbe passata in giudicato e, riguardando accertamenti comuni con la controversia relativa all’anno d’imposta 2014, avrebbe effetto di giudicato esterno nei riguardi del giudizio iscritto nel RG con n. 6897/2024.
La difesa del contribuente ritiene sussistenti i presupposti per il riconoscimento degli effetti del giudicato esterno , trattando quella causa l’avviso d’accertamento notificato al contribuente dall’ ufficio per l’anno d’imposta 2013, basato sui medesimi presupposti e sulle medesime presunzioni di quello qui in oggetto, afferente al l’anno d’imposta 2014 . Gli atti impositivi sarebbero scaturiti dal medesimo procedimento accertativo, a seguito del quale erano stati emessi due ‘ atti gemelli, diversi solo negli
importi ed impugnati sulla scorta degli stessi identici motivi, con piena coincidenza, dunque, di petitum e causa petendi ‘ .
Specifica anche che il giudicato è invocato per la prima volta in sede di legittimità, essendosi formato successivamente alla conclusione del giudizio di appello, in esito al quale è stata emessa la sentenza qui impugnata. Evidenzia inoltre che si tratterebbe di fattispecie sovrapponibili per fatti identici rispetto ad entrambe le annualità d’imposta.
Ad ulteriore specificazione dell’effetto espansivo del giudicato relativo alla sentenza n. 3725/13/2023, con il secondo ed il terzo motivo assume dunque che la sentenza relativa all’anno d’imposta 2014 sarebbe errata perché emessa in violazione tanto dell’art. 12, co mma 7, legge n. 212/2000, in merito al mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, quanto in violazione delle regole di governo delle prove presuntive, ex art. art. 39, comma 1, l. d), dPR. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c.
A prescindere dalla circostanza che l’accertamento del la tardività dell’impugnazione della sentenza n. 3725/13/2023, e dunque del suo passaggio in giudicato dall’ottobre 2023 , deve essere ancora scrutinato da parte di questo collegio, trattandosi di questione controversa tra le parti, l’eccezione di giudicato esterno è infondata e va rigettata.
In tema di efficacia del giudicato esterno, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta (Sez. U, 16 giugno 2006, n. 13916). Con riguardo a tale ultimo aspetto la medesima pronuncia ha infatti puntualizzato che, pur se tale autonomia comporta di regola l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un periodo d’imposta rispetto ai fatti che si siano verificati fuori dal periodo considerato, tale indifferenza trova giustificazione solo in relazione a quei fatti
che non abbiano caratteristica di durata e siano comunque variabili da periodo a periodo, ritenendo al contrario che facciano stato le qualificazioni giuridiche (residente o non residente, ente commerciale o non commerciale, ecc.) o altri elementi preliminari, capaci di avere una stabilità ultrannuale.
Può conseguentemente affermarsi che in relazione alle imposte periodiche l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che per legge hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o fattispecie per le quali l’accertamento concerne la ‘qualificazione’ di un rapporto ad esecuzione prolungata (cfr. Cass., 4 marzo 2021, n. 5939; 28 novembre 2019, n. 31084). Deve cioè trattarsi di elementi costitutivi della fattispecie, capaci di estendersi ad una pluralità di periodi di imposta, assumendo così carattere tendenzialmente permanente (cfr. Cass., 15 settembre 2017, n. 21395; inoltre 7 dicembre 2021, n. 38950; 3 marzo 2021, n. 5766; 10 ottobre 2019, n. 25516; si veda anche 16 maggio 2019, n. 13152).
Deve peraltro avvertirsi che gli effetti espansivi del giudicato non possono riguardare definizioni di controversie fondate sulla interpretazione di norme giuridiche. In tema di giudicato esterno, infatti, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, nella quale questa Corte ha confermato la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale, respingendo l’eccezione di giudicato esterno, aveva operato un’autonoma valutazione della fattispecie oggetto di giudizio, relativamente alla legittimità del metodo utilizzato dall’Ente comunale per la stima dell’immobile soggetto ad ICI).
Sul punto si è precisato che il giudicato esterno opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione, presupponendo che soggetti, petitum e causa petendi siano comuni alla causa anteriore e a quella successivamente intrapresa. Per converso, la mera identità delle questioni giuridiche o di fatti da esaminare non crea alcun vincolo a carico del giudice investito del secondo giudizio -non applicandosi la regola dello stare decisis –
che è al più suscettibile di venire in considerazione ai fini della condivisione delle argomentazioni svolte nella precedente sentenza, nella misura in cui le stesse appaiano pertinenti anche alla fattispecie oggetto del nuovo giudizio e risultino dotate di efficacia persuasiva tale da giustificare l’adesione ad esse, ma non per questo può assumere forza vincolante (Cass., 4 gennaio 2024, n. 211).
Così perimetrato l’alveo entro cui occorre apprezzare ‘l’oggetto’ dell’efficacia del giudicato esterno, nel caso ora all’attenzione del collegio , è intanto evidente che la identità delle questioni e dei fatti non collima affatto con il limes entro cui opera la capacità di espansione dell’efficacia di un giudicato, essendovi con certezza identità dei soggetti ma, ad un tempo trattandosi dell’accertamento di fatti che non rientrano tra quelli che ‘ per legge hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o fattispecie per le quali l’accertamento concerne la ‘qualificazione’ di un rapporto ad esecuzione prolungata ‘.
Anzi, considerando le questioni decise con la sentenza, alla quale si intende attribuire l’ efficacia espansiva del suo giudicato, innanzitutto la stessa avrebbe riconosciuto il mancato rispetto del contradittorio.
Sennonché, l’accoglimento dell e difese del contribuente, fondate sull’inosservanza del contraddittorio, si traduce in una decisione fondata su ll’interpretazione giuridica delle regole che disciplinano il contraddittorio, il che già pone quella statuizione fuori del perimetro del giudicato esterno. E questo è tanto più evidente quando si consideri che quella statuizione, per giunta, si pone in contrasto frontale con tutta la giurisprudenza di legittimità, che con interpretazione consolidata e granitica afferma almeno da un decennio che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in
cui risulti specificamente sancito (per tutte, cfr. Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823).
Parimenti, quanto alle valutazioni operate in quella sentenza sulle ragioni addotte dal contribuente a giustificazione delle contestazioni elevate dall’amministrazione finanziaria con l’atto impositivo, si tratta di giudizi fondati sulle regole di governo delle prove, e relative all’accertamento di fatti incapaci di estendersi ad una pluralità di periodi di imposta e certamente privi di caratteri tendenzialmente permanenti, che non possono creare alcun vincolo nei confronti del giudice investito del giudizio successivo.
Ma, sotto tale aspetto, nel caso di specie vi è una ulteriore considerazione da aggiungere, ossia che se anche per un momento dovesse riconoscersi efficacia di giudicato a quella sentenza, essa dovrebbe in ogni caso confrontarsi che l’altra decisione, ormai passata in giudicato e decisa da questo collegio nella medesima adunanza, relativa a ll’anno d’imposta 2012, relativa al giudizio n. 17006/2017. In essa risultano definitivamente riconosciute le ragioni erariali e, pur fondata sul rilievo iniziale dello scostamento dallo studio di settore applicabile, l’accertamento dei redditi è stato determinato sulla base delle prove presuntive, ex art. 39 del d.P.R. n. 600 cit., rispetto al quale le ragioni con cui il contribuente ha contrastato le pretese erariali erano le medesime vagliate per i successivi due anni d’imposta (in particolare le precarie condizioni di salute in cui versava).
Ebbene, si tratta di una sentenza passata in giudicato successivamente a quella il cui giudicato è invocato ora dalla difesa del contribuente, e nel contrasto dei giudicati vige la regola secondo cui in caso di contrasto tra giudicati, al fine di stabilire quale fra due giudicati debba prevalere, occorre fare ricorso al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale sul primo, salvo che la sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione (Cass., 25 gennaio 2024, n. 2462).
In conclusione, sotto qualunque profilo voglia esaminarsi l’eccepito giudicato invocato dal contribuente, esso è inapplicabile e i motivi vanno dunque rigettati.
Con il quarto motivo il contribuente ha denunciato la «Falsa applicazione dell’art. 4, co. 2, DPR. n. 441/97, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c ».
RGN 6897/2024 e 11010/2024 Consigliere rel. NOME La sentenza avrebbe erroneamente fatto ricorso all’art. 4, co. 2, d.P.R. n. 441
del 1997, invocato dall’ufficio e secondo il quale ‘ Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui alla lettera d) dell’articolo 14, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo ‘ . La difesa del ricorrente sostiene che si trattava invece di una erronea applicazione della norma, mancando il presupposto della ‘rilevazione fisica’ dei beni merce (gli pneumatici), che per un verso avrebbe richiesto un accesso in magazzino, mai avvenuto, per altro verso, soprattutto, risultava accertata in via meramente presuntiva, sul presupposto dell’esistenza di un magazzino ‘gonfiato’ , dedotto dal solo elemento della asserita falsità del furto delle gomme, con conseguente inapplicabilità dell’art. 4, comma 2, cit.
Con il quinto motivo il contribuente ha denunciato la «v iolazione dell’art. 2, co. 3, DPR. n. 441/1997, in rapporto all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.». La sentenza di appello, applicando l’art. 4, co. 2 del DPR. n. 441/1997 , relativa alla presunzione di cessione e di acquisto delle differenze inventariali che si siano verificate nel periodo oggetto di controllo, aveva disconosciuto il valore probatorio della denuncia di furto, invece tempestivamente depositata, e che non vi era ragione di disattendere.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché relativi alla medesima questione, la errata applicazione della presunzione di cessione dei beni non rinvenuti presso la sede dell’impresa, sono inammissibili.
In disparte la circostanza che il quarto motivo è in palese contrasto con l ‘ effettivo mancato rinvenimento della merce nel deposito in cui gli pneumatici avrebbero dovuto essere custoditi, così che non rileva se un accesso al deposito vi sia stato oppure no, quando poi si considerano le difese del ricorrente, che con il quinto motivo ritiene non giustificata la presunzione di falsa denuncia del furto dei beni in deposito, è sufficiente leggere il passaggio della sentenza impugnata sul punto, per comprendere che sulla falsità o meno della denuncia di furto il giudice ha motivato in modo esaustivo, riconoscendo le ragioni e le prospettazioni erariali.
RGN 6897/2024 e 11010/2024 Infatti dalla lettura della sentenza è dato evincere che il giudice regionale ha ritenuto che «d all’esame delle scritture di magazzino, risulta palese la non
corrispondenza con le dichiarazioni fiscali del ricorrente: la distinta analitica al 31.12.2013 riporta la medesima merce indicata nella distinta analitica al 31.12.2012, oltre alla merce acquistata nel 2013; osserva che la merce giacente era allocata in un piccolo locale di appena mq 80, usato dalla ditta a partire dal 29 settembre 2013, inadeguato per grandezza a contenere una ingente quantità di pneumatici; parte della merce asseritamente rubata nel giugno del 2014, è elencata nella distinta delle rimanenze al 31.12.2014; nonostante l’ingente quantità di merce in giacenza, nel 2014 ne acquista di nuova. Tutti elementi che inducono a ritenere fondata la ricostruzione del reddito operata dall’Ufficio ».
Si tratta cioè di un accertamento in fatto, che pone soprattutto in evidenza l’inidoneità del deposito a contenere tan ti pneumatici (indice che conferma l’inesistenza originaria di tutta quella quantità di gomme e dunque del furto subito), così come pone in evidenza la singolarità che parte della merce rubata (nel giugno 2014) risultava ancora tra le rimanenze al 31 dicembre 2014.
I motivi sono dunque infondati, quando non inammissibili.
Con il sesto motivo il ricorrente si duole della «v iolazione dell’art. 36, d.lgs n. 546/1992 e 132, co. 2, n. 4) c.p.c., in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.». Il giudice d’appello avrebbe riconosciuto la fondatezza delle contestazioni erariali, elencando circostanze di fatto erronee, allegate dall’Agenzia delle entrate per giustificare la presunzione di cessione in ‘nero’ della merce. Nonostante il contribuente avesse confutati tali elementi, la sentenza avrebbe omesso di esaminare teli elementi difensivi, limitandosi a formulare considerazioni generiche.
Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
A parte che, come già evidenziato, si tratta di un accertamento in fatto, che non può certe essere rinnovato in sede di legittimità, e che comunque appare prima facie immune da salti logici o errori materiali, in ogni caso, è appena il caso di ribadire che compito del giudice è quello di esprimere una valutazione esaustiva in ordine alla fondatezza o meno delle ragioni, fattuali e giuridiche, addotte dalla parte nel processo, senza necessariamente rispondere a ciascuna delle censure o argomentazioni sollevate. La giurisprudenza di legittimità sul punto ha chiarito che nella redazione della motivazione della sentenza il giudice non è tenuto ad occuparsi
RGN 6897/2024 e 11010/2024
espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga in maniera concisa gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass., 20 novembre 2009, n. 24542; 2 dicembre 2014, n. 25509; 9 febbraio 2021, n. 3126, le ultime due con riguardo agli obblighi di motivazione del giudice d’appello). Ancora, il principio risulta ulteriormente esplicitato quando si afferma che ai fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dagli artt. 132, secondo comma, n. 4, 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell’esito dell’esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (Cass., 4 marzo 2011, n. 5241).
Peraltro, in tema di vizio di motivazione, si è anche valorizzato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 20 giugno 2024, n. 17005; 27415/2018).
E ancora che l’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., come riformulato ex art. 54 d.l. n. 83 del 2012, prevede un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
contro
versia); va peraltro escluso che tale omesso esame possa riguardare l’argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica (Cass., 6 febbraio 2025, n. 2961).
La Commissione regionale si è attenuta a tali principi, valorizzando gli elementi che, secondo una ponderazione logica della pregnanza valoriale di essi, ha ritenuto sufficienti a dimostrare la fondatezza delle ragioni erariali.
In definitiva, il ricorso avverso la sentenza n. 8240/15/2023 deve essere rigettato.
2.Trattando ora della causa con numero di ruolo posteriore (11010/2024), l’Agenzia delle entrate con il primo motivo ha denunciato la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, ratione temporis applicabile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.» . La Corte territoriale avrebbe errato, oltre che nel ritenere omesso il contraddittorio endoprocedimentale, anche per non aver tenuto conto che il vizio di omissione del contraddittorio per le imposte armonizzate richiede anche l’allegazione della prova di resistenza.
Con il secondo motivo la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), DPR. n. 600/73 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., ovvero violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e d ell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.». La Corte di II grado, nel ritenere illegittimo l’avviso di accertamento, non avrebbe verificato la ricorrenza di presunzioni gravi precise e concordanti, in una valutazione complessiva degli elementi allegati dall’Ufficio, così profilandosi anche una motivazione apparente.
Preliminarmente deve essere tuttavia vagliata l’eccezione di tardività del ricorso erariale, che, qualora fondata, comporterebbe l’inammissibilità del ricorso avverso la sentenza impugnata e la sua definitività.
l’Agenzia delle entrate, nel proporre il ricorso per cassazione con notifica eseguita il 7 maggio 2024, ha premesso che «la sentenza in epigrafe indicata, oggetto del presente ricorso, è stata depositata il 24.4.2023; tuttavia, trattandosi, nella fattispecie, di controversia definibile ai sensi dell’art. 1, commi 186 – 203, L. 29 dicembre 2022, n. 197, il termine di impugnazione lungo, che sarebbe scaduto il 24.10.2023, è rimasto automaticamente sospeso per undici mesi (in quanto ricadente nel periodo ricompreso tra il 1°
gennaio 2023 ed il 31 ottobre 2023), ai sensi dell’art. 1, comma 199 della ridetta legge n. 197. Il presente ricorso deve ritenersi, pertanto, tempestivamente proposto».
La difesa del controricorrente ritiene invece intempestivo il ricorso per ‘violazione dell’art. 1, co mma 199, l. n. 197 del 2022 , dell’art. 327 c.p.c., del l’art. 38, co mma 3, d.lgs. n. 546 del 1992 e all’art. 1, l. n. 742 del 1969, così come modificato dal l’art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, conv. con modif. nella l. n. 162 del 2014 ‘ .
In particolare, ha osservato che la sentenza n. 3725/2023, qui al vaglio della Corte, sarebbe divenuta definitiva il 24.11.2023, non potendo pertanto trovare ad essa applicazione la disciplina invocata dell’ufficio ricorrente in ordine alla sospensione dei termini.
Assume che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, poiché la sentenza impugnata era stata pubblicata il 24 aprile 2023, considerata la sospensione feriale dei termini, il termine ultimo scadeva il 24 novembre 2023, oltre dunque il 31 ottobre dell’anno. Ad essa non trovava pertanto applicazione la sospensione dei termini di impugnazione di undici mesi e pertanto il ricorso notificato il 7 maggio 2024 era da considerarsi tardivo e inammissibile.
L’eccezione è fondata.
Il comma 199 della l. n. 197 del 2022 così recita: «Per le controversie definibili sono sospesi per undici mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore della presente legge e il 31 ottobre 2023».
È pacifico che nel caso di specie il termine ultimo per l’impugnazione della sentenza, depositata il 24 aprile 2023, fosse da identificarsi nel 24 novembre 2023, tenendo conto dei sei mesi per l’impugnazione del provvedimento non notificato, ex art. 327 c.p.c., oltre che del termine di sospensione feriale (1/31 agosto).
La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale è invece del tutto estranea ai termini di sospensione straordinaria previsti in tutte le discipline condoniali avvicendatesi negli ultimi anni (ex multis, cfr. Cass, 6 febbraio 2023, n. 3598, in riferimento al d.l. d.l. 23 ottobre 2018 n. 119).
Di contro, proprio per quanto espressamente previsto dal d.l. 197 del 2022, era necessario che il termine d’impugnazione scadesse tra la data di entrata in vigore della legge e il 31 ottobre 2023 (cfr. Cass., 24 dicembre 2024, n. 34349).
Il termine lungo di impugnazione della sentenza ora impugnata scadeva il 24 novembre 2023 e dunque in data successiva al 31 ottobre 2023.
Ne consegue che la disciplina della sospensione straordinaria dei termini d’impugnazione delle sentenze, introdotta dal comma 199 del d.l. 197 del 2022 non poteva trovare applicazione al caso di specie.
Il ricorso erariale è pertanto intempestivo e va dichiarato inammissibile.
All’esito del processo, rigetta il ricorso n. 6897/2024, promosso da COGNOME NOME, dichiara inammissibile il ricorso n. 11010/2024, promosso dall’Agenzia delle ent rate.
Compensa le spese di causa per entrambe le cause riunite.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso n. 6897/2024, promosso da COGNOME Salvatore, dichiara inammissibile il ricorso n. 11010/2024, promosso dall’Agenzia delle entrate. Compensa le spese di causa per entrambe le cause riunite. Per la causa n. 6897/2024, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2025