Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32886 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32886 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25262/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.della LOMBARDIA- MILANO n. 1823/2016, depositata il 31/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di consolidante, ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia che, in accoglimento dell’appello della Agenzia delle Entrate, ha riformato la sentenza della C.T.P di Milano, con cui era stata accolta la domanda di annullamento dell’avviso di accertamento che, per l’anno di imposta 2007, aveva accertato nei confronti della consolidata RAGIONE_SOCIALE, l’errata deduzione della quota annuale di fine mandato dell’amministratore, ai sensi dell’art. 105, comma 4 T.U.I.R.
La sentenza della C.T.R. ha ritenuto equiparabile, a fini fiscali, ai sensi dell’art. 105 T.U.I.R., la deducibilità del compenso erogato all’amministratore a titolo di trattamento di fine mandato (T.F.M.) -da intendersi quale indennità di fine rapporto prevista per le collaborazioni coordinate e continuativea quello erogato al lavoratore subordinato a titolo di trattamento di fine rapporto (T.F.R.), avuto riguardo all’ammontare dell’importo in proporzione al compenso annuale, da dividersi, in entrambi i casi, per 13,5. Ciò posto, ha rilevato che, nel caso di specie, l’importo del T.F.M. deliberato dalla società, a fronte dell’incarico triennale conferito all’amministratore, era pari al 416,77% del suo compenso annuale, risultando così eccedente la somma deducibile, in applicazione dell’art. 105, commi 1 e 4 del T.U.I.R in combinato disposto con gli artt. 17 e 50 T.U.I.R..
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE formula due motivi di ricorso.
Con il primo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 4) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2909
cod. civ.. Sostiene che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare l’eccezione di giudicato, essendo intervenuta, per l’anno di imposta 2004, sentenza irrevocabile della C.T.R. di Napoli n. 350/2012, inerente al medesimo rapporto, da ritenersi vincolante per i giudizi relativi ai successivi periodi di imposta. Ricorda che, l’Agenzia delle Entrate, con separati avvisi di accertamento aveva originariamente contestato alla società consolidata RAGIONE_SOCIALE l’indebita deduzione di parte dell’accantonamento del fondo T.F.M. per gli anni 2004 -20052006-2007, in quanto, a suo dire, eccendente il limite consentito ai sensi dell’art. 2120 cod. civ., che disciplina le modalità di calcolo del T.F.R. per i lavoratori dipendenti, dovendo applicarsi gli artt. 105, commi 1 e 4 e 50 T.U.I.R., che consentono di determinare la quota deducibile per competenza solo in quella misura. Dei relativi avvisi di accertamento, notificati anche alla soc. RAGIONE_SOCIALE in qualità di consolidante, ed impugnati da entrambe le società, quello inerente all’annualità di imposta 2004 -trattato separatamente dagli altri, sebbene le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate fossero identiche – era stato accolto, con sentenza della C.T.R.. della Campania del 27 giugno 2012 n. 350/5/2912, passata in giudicato (produce sentenza con attestazione di irrevocabilità). La decisione irrevocabile, negando l’applicabilità della disciplina del T.F.R. a quella relativa al T.F.M., ha ritenuto privo di fondamento normativo l’assunto per il quale dall’art. 105, comma 1 , T.U.I.R., sarebbe ricavabile che il criterio generale esclusivo in ordine ai parametri di calcolo per gli accantonamenti sarebbe quello di cui all’art. 2120 cod. civ.. Invero, secondo la pronuncia, l’estensione delle previsioni di cui ai primi due commi dell’art. 105 cit. -come richiamati dal quarto comma della medesima disposizione- agli accantonamenti relativi alle indennità dovute per rapporti diversi di cui all’art. 17 T.U.I.R., fra le quali quella avente ad oggetto la
cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 50, comma 2 T.U.I.R., deve intendersi solo nel senso di rendere applicabile la disciplina relativa alla deducibilità degli accantonamenti nei limiti della quota maturata nell’esercizio, secondo il criterio di competenza. Mentre i singoli rapporti, la misura delle relative indennità, e di conseguenza degli accantonamenti, restano regolati dalla disciplina loro propria, all’unica condizione -realizzatasi nel caso di specie- che il diritto all’indennità medesima sia dimostrato da atto di data certa, anteriore all’inizio del rapporto. Sottolinea che la C.T.R. ha omesso di considerare che l’accertamento di cui alla sentenza passata in giudicato, relativa all’anno di imposta 2004, si fonda sulla soluzione di una questione di questione di fatto e di diritto, da intendersi come ‘unico fatto’, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite n. 13916 del 16 giugno 2006, così esplicando i suoi effetti giuridici per tutte le annualità oggetto di distinti avvisi di accertamento.
Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 1 e 105, comma 4 T.U.I.R.. Quest’ultima disposizione, infatti, stabilendo che le previsioni di cui al primo e secondo comma si applichino anche ad indennità quali il T.F.M., rinvia, senza deroghe o limitazioni, alla disciplina prevista dal codice civile nella specifica materia. Sicché se per il T.F.R., in quanto a modalità di calcolo, si applica l’art. 2120 cod. civ., ciò condizionando anche la deducibilità a fini fiscali, in assenza di analoghe modalità di quantificazione dell’emolumento, la stessa disciplina non può estendersi al T.F.M.. Rileva che il trattamento di fine mandato rientra fra i compensi che possono essere riconosciuti agli amministratori dall’assemblea ordinaria dei soci, ai sensi dell’art. 2389 cod. civ.. Siffatta disposizione, infatti, non distingue fra compensi annuali
ed indennità di fine mandato, perciò il T.F.M. va inteso come una modalità di retribuzione dell’amministratore, con effetto differito, in ogni caso rimessa all’autonomia contrattuale delle parti. Appare, dunque, evidente che il richiamo all’art. 105, comma 1 T.U.I.R. non ha altro effetto se non quello di limitare la deducibilità dei relativi accantonamenti a quelli maturati nel periodi di imposta, purché il diritto all’indennità risulti da verbale dell’assemblea avente data certa anteriore all’inizio del rapporto.
Il primo motivo è fondato.
4.1 Per dare soluzione alla questione introdotta con la doglianza occorre, innanzitutto, precisare che ‘In tema di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado, qualora la sua esistenza non sia stata eccepita dalla parte interessata, la sentenza d’appello pronunciata in difformità è impugnabile con il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. e non con quello per cassazione, mentre, nelle ipotesi in cui l’esistenza di tale giudicato abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata in giudizio, la sentenza d’appello difforme non è impugnabile con il ricorso per revocazione ma solo con il ricorso per cassazione’ ( ex multis : Sez. 5, Sentenza n. 28733 del 04/10/2022)
4.2 Ora, benché la società contribuente non si sia costituita nel giudizio di appello, introdotto dall’Ufficio, nondimeno, la medesima ha formulato l’eccezione di giudicato esterno sin dal giudizio di primo grado (cfr. memoria illustrativa pag. 12). La circostanza non è contestata dall’Agenzia delle Entrate, che sul punto si difende sul merito, senza far valere l’inammissibilità del motivo. E’ altrettanto pacifico che la sentenza qui impugnata non si pronunci sull’eccezione di giudicato.
4.3 Posto che ‘Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque
prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto’ (ex multis Cass. n. 12754 del 21/04/2022 ), deve rilevarsi come la sentenza di secondo grado, a fronte dell’eccezione di giudicato formulata dalla parte contribuente in prima cura, avrebbe comunque dovuto pronunciarsi al riguardo, indipendentemente dalla costituzione della parte vittoriosa e dalla sua riproposizione in grado di appello.
4.4 Fatta questa precisazione, occorre richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui ‘Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare
significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale ‘norma agendi’ cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta. (Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; in principio è stato ribadito dalla giurisprudenza successiva di questa sezione: cfr. fra le tante: Cass. n. 13152 del 16/05/2019; id., Sez. 5, n. 16675 del 29/07/2011; id., Sez. 5, n. 9512 del 22/04/2009).
4.5 Nel caso di specie, il trattamento di fine mandato, da riconoscersi all’amministratore al termine del suo incarico triennale, è stato determinato da una delibera assembleare del
22 marzo 2004 (fatto pacifico e ripreso in sentenza nella descrizione del fatto).
4.6 Rispetto alla questione contestata dai separati avvisi di accertamento inerenti alle annualità 2004, 2005, 2006, la sentenza della C.T.R. della Campania, sez. stacc. di Salerno, del 27 giugno 2012, divenuta irrevocabile, decidendo sull’anno di imposta 2004, ha escluso la fondatezza della tesi dell’equiparabilità fiscale fra T.F.R. e T.F.M. sotto il profilo dell’ammontare dell’importo deducibile, da determinarsi secondo l’Ufficio, nella misura del compenso annuale diviso per 13,5, anche per le indennità dovute per rapporti diversi da quelli di lavoro subordinato (art. 17 T.U.I.R.). La pronuncia ha, infatti, affermato che laddove l’art. 105, comma 4 , T.U.I.R. richiama i primi due commi della stessa disposizione non intende affatto estendere alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 T.U.I.R. la disciplina di cui all’art. 2120 cod. civ. -posto che essa è dettata unicamente per i rapporti di lavoro subordinato- ma si limita a prevedere che anche per quel tipo di indennità si applichi la disciplina degli accantonamenti nei limiti della quota maturata nell’esercizio, secondo il criterio di competenza, restando, tuttavia, i rapporti e le relative indennità soggette alle norme legali e convenzionali loro proprie. Con la conseguenza che nessun limite alla determinazione dell’ammontare dell’indennità di fine mandato, può ricavarsi dalle norme sul lavoro subordinato, neppure a fini strettamente fiscali.
4.7 La decisione, dunque, risolve la questione che costituisce punto fondamentale comune alla presente controversia -relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento per l’annualità di imposta dell’anno 2007 -stabilendo la premessa logica della disciplina tributaria applicabile in ordine alla misura della deducibilità dell’accantonamento del trattamento di fine mandato. Siffatta
statuizione preclude il riesame dello stesso punto di fatto e di diritto, stante, da un lato, l’unicità del rapporto e della deliberazione con la quale è stato stabilito l’importo da erogare all’amministratore a fine mandato, dall’altro, la permanenza della soluzione giuridica concernente gli elementi costitutivi della fattispecie non suscettibile di variazioni in relazione ai diversi periodi di imposta. Come affermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite, testé richiamata, infatti, il giudizio tributario mira all’accertamento del merito della pretesa fiscale, imponendo di valorizzare l’efficacia regolamentare del relativo giudicato ‘quale norma agendi cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi di imposta’ (Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006).
4.8 Non possono, dunque, trovare ingresso le osservazioni formulate dalla Agenzia delle Entrate, con il controricorso, avuto al fatto che l’orientamento giurisprudenziale ivi richiamato -che esclude l’efficacia condizionante del giudicato su periodi di imposta diversi da quello oggetto del giudizio- riguarda ipotesi in cui la sentenza passata in giudicato, si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli, relativi ad una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sulla base del giudicato la controversia può essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente. Le spese di lite dei gradi di merito possono essere compensate tra le parti, mentre le spese di lite di questo giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia delle Entrate e liquidate in euro 2 .000,00
oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 14 novembre 2024