Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8605 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8605 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23319 -2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COSENZA , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 4590/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CALABRIA, depositata l’11/12/ 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/3/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME (titolare dell’impresa individuale «NOME COGNOME») propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Calabria aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 3122/2018 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza, in rigetto del ricorso proposto avverso sollecito per mancato pagamento TARI 2014 in favore del Comune di Cosenza.
Il Comune resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 19, comma 3, e 21 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e dell’art. 2697 c.c. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente esonerato il Comune dall’onere di provare la corretta notifica dell’avviso di pagamento, prodromico rispetto all’atto impugnato, affermando che era intervenuta sanatoria del relativo vizio della notifica per dimostrata conoscenza del suddetto avviso da parte del contribuente, allegato alla richiesta di esenzione dal pagamento della TARI 2014, depositata presso gli uffici comunali.
1.2. La doglianza è infondata.
1.3. Questa Corte ha affermato che, nell’ipotesi di nullità della notifica dell’atto impositivo, tale nullità è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., secondo comma, per effetto del raggiungimento del suo scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione, ad opera di quest’ultimo, dell’atto invalidamente notificato (cfr. Cass. n. 18480 del 2016, Cass. n. 5057 del 2015, Cass. n. 1238 del 2014).
1.4. In particolare, questa Corte ha anche chiarito che la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove l’atto abbia raggiunto lo scopo (cfr. Cass. n. 21071 del 2018, Cass. n. 654 del 2014).
1.5. È il raggiungimento dello scopo, infatti, e cioè consentire al contribuente la piena conoscenza dell’atto impositivo, quel che realizza il nucleo forte di tutela dell’esercizio del diritto di difesa cui sono parametrare tutte le garanzie offerte dall’ordinamento perché tale effetto sia davvero conseguito, senza dar rilievo ad aspetti puramente formali che ostacolino la pronuncia sostanziale di giustizia alla quale tende l’ordinamento.
1.6. La sanatoria, tuttavia, non esplica alcun effetto sui requisiti di validità ed esistenza dell’avviso di accertamento, non potendo, quindi, impedire il decorso del termine di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio della potestà impositiva, eventualmente maturato precedentemente al fatto sanante (cfr. Cass. n. 654 del 2014, Cass. n. 10445 del 2011), situazione che, tuttavia, non è dedotta nel caso concreto.
1.7. Poiché sulla scorta di quanto accertato, in fatto, con valutazione insindacabile nella presente sede, se non nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (censura che non è stata proposta ed è comunque inammissibile nel caso in esame, poiché si verte in ipotesi di doppia conforme ex art. 348ter , comma 5, c.p.c., rispetto alla quale parte ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360, n. 5, c.p.c.; cfr. Cass. nn. 26774 del 2016, 5528 del 2014), l’atto risulta aver raggiunto il proprio scopo in conseguenza della conoscenza dello stesso che il ricorrente ha dimostrato allegandolo alla richiesta di esenzione della medesima imposta, e poiché un’eccezione di decadenza dal potere impositivo come conseguenza dell ‘ affermata nullità della notificazione dell’avviso di accertamento non risulta
essere stata neppure formulata, è palese l’infondatezza della questione sottostante, cui consegue il rigetto del mezzo.
1.8. Le censure rivolte, inoltre, a contestare l’erroneità della sentenza impugnata a causa del la mancata allegazione dell’avviso di accertamento alla richiesta di esenzione, in quanto intese a denunciare un preteso travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -, trovano il loro istituzionale rimedio solo nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un., n. 5792 del 2024).
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. violazione dell’art. 324 c.p.c. e 2909 c.c. per avere la Commissione tributaria regionale omesso di valutare « l’esistenza di giudicato sulla medesima pretesa erariale tra le parti relativo a diverse annualità dell’imposta con definitivo accertamento del diritto all’esenzione dal pagamento dell’imposta rifiuti del ricorrente ».
2.2. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza «per omessa pronuncia sull’esistenza di giudicato formato sulla medesima pretesa erariale tra le parti relativo a diverse annualità dell’imposta richiesta a favore del contribuente, e di esenzione dal pagamento dell’imposta rifiuti».
2.3. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, ex art. 360 n. 5) c.p.c., omesso esame di fatto decisivo in relazione alla dedotta «esistenza di giudicato formato sulla medesima pretesa erariale tra le parti relativo a diverse annualità dell’imposta richiesta a favore del contribuente, e di esenzione dal pagamento dell’imposta rifiuti».
2.4. Le doglianze, da esaminare congiuntamente, in quanto sottese alla medesima questione giuridica, vanno disattese.
2.5. Il giudicato derivante dalle sentenze citate ed allegate al ricorso (sentenza n. 544/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza,
sentenza n. 545/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, sentenza n. 2968/2018 della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, sentenza n. 1196/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, sentenza n. 1303/2020 della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, sentenza n. 405/2017 della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, sentenza n. 2883/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, sentenza n. 131/2018 della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro), pur vertendo tra le stesse parti e sui medesimi locali anche qui dedotti, hanno tuttavia avuto ad oggetto, come confermato dallo stesso ricorrente annualità impositive diverse da quella del presente giudizio.
2.6. Ricorre in proposito il consolidato orientamento di legittimità -originatosi da Cass. SSUU n. 13916/2006 e poi innumerevoli volte richiamato, anche nella specifica materia della tassa rifiuti -secondo cui l’efficacia espansiva del giudicato formatosi tra le stesse parti può in effetti investire anche annualità diverse da quelle in esso contemplate, ma a condizione che si verta di accertamenti fattuali o qualificazioni giuridiche del rapporto segnate sia da stabilità normativa, sia da durevolezza e tendenziale invarianza nel tempo, essendo stato affermato che nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente, mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo (cfr. ex plurimis Cass. n. 25516/2019; Cass. n. 38950/2021; Cass. n. 16684/2022; Cass. n. 2305/2024).
2.7. Nel caso di specie è lo stesso ricorrente a porre in evidenza come il portato sostanziale del giudicato esterno relativo alle sentenze nn. 544 e 545 (a cui le altre pronunce hanno poi attribuito efficacia di giudicato esterno) dovrebbe attestare -con forza preclusiva di intangibilità, ex art. 2909 c.c. -l’estensione dei locali destinati alla vendita, con la necessità, dunque, di individuare un elemento fattuale della vicenda impositiva per sua natura suscettibile di mutare negli anni e quindi -richiamando la giurisprudenza –
privo di quel «carattere stabile o tendenzialmente permanente» che si è visto giustificare l’espansione nel tempo del giudicato tributario esterno.
2 .8. L’accertamento in questione andava pertanto svolto dal giudice di merito con riguardo alla specifica annualità 2014, non potendosi a priori escludere che la superficie delle strutture destinate alla vendita o ad uffici o magazzini potesse essere diversa -in tutto o in parte -da quella dell’annualità colà considerata, non importa se per scelta aziendale, contingenza di mercato o qualsiasi altro fattore produttivo.
2.9. La doglianza del ricorrente risulta, quindi, in ogni caso infondata, anche considerato che tale conclusione si pone in linea con quanto affermato da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 8754 del 2023) in ordine alla non preclusività del giudicato esterno, oltre che sotto il già evidenziato e dirimente profilo delle diverse annualità in regime di incostanza, anche sotto l’ulteriore aspetto della generale non vincolatività dell’esito dell’attività (il c.d. proprium giurisdizionale) di interpretazione ed applicazione della legge (qui riferibile alla disciplina della mancata assimilabilità ai rifiuti urbani di quelli prodotti all’interno di determinate tipologie di strutture ai sensi dell’art. 195, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006).
2.10. Le sentenze in questione, per quanto rese tra le stesse parti, oltre ad aver riguardato annualità d’imposta differenti da quella qui dedotta , hanno dunque investito -nell’oggetto di asserita rilevanza preclusiva ex art. 2909 c.c. -elementi della fattispecie impositiva o esonerativa in realtà non vincolanti, sia perché per loro natura non durevoli e necessariamente stabili, bensì suscettibili in fatto di mutare nel tempo a seconda delle annualità considerate (come l’estensione dei locali destinati al la vendita), sia perché integranti stretta interpretazione della normativa di riferimento (presupposti normativi di assimilabilità dei rifiuti prodotti nelle stesse), attività di per sé insuscettibile di vincolo in un giudizio diverso (cfr. da ultimo Cass. n. 4920 del 2023 in motiv.).
2.11. A tale ultimo riguardo, per completezza, è opportuno infatti evidenziare che questa Corte, con riguardo alla suddetta questione, ha
affermato che in virtù di disposizioni dotate anch’esse di forza di legge, l’articolo 195, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, non può divenire operativo in assenza del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottato d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, il quale è finalizzato a definire «”i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani” ed è menzionato nello stesso articolo 195» (Cfr. Cass., Sez. 5, n. 1344 del 2019, in motiv., 9214 del 2018, in motivazione; Cass. n. 1987 del 2018, in motiv.; Cass. n. 18101 del 2017 in motiv.).
2.12. Ciò conferma pertanto come anche nel caso in esame l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non possa costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis (cfr. Cass. n. 5822 del 2024).
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore del Comune controricorrente, liquidandole in euro 2.410,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, nonché spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 27.3.2025.
Il Presidente (NOME COGNOME)