Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24804 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24804 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 1352-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Liquidatore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Controricorrente della sentenza n. 4100/14/2019 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 21 ottobre 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dagli atti difensivi delle parti si evince che l’Agenzia delle entrate notificò alla società tre distinti avvisi d’accertamento, relativi
Giudicato esterno – Revocazione 395 n. 5 cpc – Configurabilità Distinzione dall ‘ ipotesi della ricorribilità con ricorso per cassazione
agli ann i d’imposta 2007, 2008 e 2009, con i quali fu rideterminato l’imponibile . Q uanto all’anno 2008 l’imponibile fu rideterminato nell’importo di € 867.195,00 ai fini Ires, Irap e Iva. Ciò all’esito di una verifica dalla quale era emerso che i corrispettivi, riportati in atti pubblici per la vendita di unità abitative realizzate dalla società, non corrispondevano ai prezzi concordati nei contratti preliminari, ossia nella documentazione extracontabile.
La società impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che, come per le altre due annualità, accolse le ragioni della contribuente con sentenza n. 1465/2015.
L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con sentenza n. 3543/22/2017, in riforma delle statuizioni del giudice provinciale, a ccolse le doglianze dell’ufficio, confermando pertanto l’avviso d’accertamento.
La sentenza è stata quindi impugnata dalla società soccombente con ricorso per cassazione (iscritta al RG con n. 8679/2018).
Nelle more, dinanzi alla medesima Commissione regionale erano intervenute le due decisioni relative alle altre annualità, il 2007 ed il 2009. Con le suddette decisioni (la 6802/49/2016 e 6798/49/2016), entrambe depositate il 14.12.2016, sono state confermate le sentenze della Commissione provinciale, favorevoli alla contribuente. Ciò sulla base dell’esito del processo penale, cui era stato tratto il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, definitivamente assolto per insussistenza del fatto, esito apprezzato e mutuato dal giudice tributario nei suddetti giudizi relativi le annualità 2007 e 2009.
La società, pertanto, ritenendo che le statuizioni di queste ulteriori pronunce avessero efficacia di giudicato esterno anche riguardo ai fatti e alla vicenda oggetto della sentenza n. 3543/22/2017, ha proposto dinanzi alla Commissione regionale ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395 n. 5, c.p.c., accolto con sentenza n. 4100/14/2019.
Il Giudice della revocazione, dopo aver ricostruito la vicenda e le rispettive posizioni, ha affermato che, anche se al momento del ricorso introduttivo della revocazione essa fosse stata inammissibile, come eccepito dalla difesa erariale, perché non ancora passate in giudicato le sentenze relative alle altre annualità, per essere ancora pendente il giudizio de quo –
ciò che comunque riteneva infondato-, il giudicato esterno era da considerarsi ormai intervenuto. Ha poi rilevato che il quadro fattuale di riferimento di tutte e tre le decisioni d’appello era coincidente con il fatto penale , né l’amministrazione finanziaria aveva addotto ulteriori elementi che potessero distinguere i fatti addebitati nel 2008 da quelli contestati per il 2007 e 2009.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la società, ulteriormente integrato da memoria.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l ‘ufficio si duole della nullità della sentenza n. 4100/14/2019 per falsa applicazione dell’art. 64 D.Lgs 546/1992 e dell’art. 395, primo comma, n. 5) c.p.c., nonché per violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 11, comma 9, D.L. n. 50/2017, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.
La ricorrente evidenzia che le sentenze invocate dalla società, per l’ efficacia esterna di giudicato ad esse ricondotta, erano state depositate il 14.12.2016. Secondo i termini ordinari di impugnazione, esse, ove non impugnate, sarebbero passate in giudicato il 14.06.2017. Sennonché, per l’intervenuta legislazione condonistica, introdotta con d.l. n. 50 del 2017, il Legislatore aveva previsto la sospensione di tutti i termini di impugnazione per sei mesi, ex art. 11, comma 9, d.l. n. 50 cit. Poiché tale sospensione decorreva dal 24 aprile 2017, data anteriore alla scadenza del termine di impugnazione ordinaria (14.06.2017) delle suddette sentenze, la loro definitività per l’ipotesi di mancata impugnazione e gli effetti di giudicato esterno ad esse attribuibile doveva differirsi di sei mesi, e dunque intendersi spostata 14.12.2017.
Ha dunque concluso che alla data del 6.09.2017, data di pubblicazione della sentenza revocata ex art. 395, n. 5, c.p.c., sull’assunto del contrasto con il giudicato di altre pronunce, queste ultime non erano ancora passate in giudicato e pertanto la revocazione era carente dei suoi presupposti.
Il motivo è fondato.
RGN 1352/2020 Consigliere rel. NOME Deve intanto affermarsi che la ricostruzione della difesa erariale sui termini di impugnabilità delle sentenze, il cui giudicato esterno è invocato
dalla società contribuente, è corretta, avendo inciso sul termine ultimo di impugnazione l’intervenut o d.l. n. 50 del 2017, che ha previsto la sospensione semestrale di tutti i termini di impugnazione (art. 11, comma 9, d.l. n. 50 cit.).
Ciò chiarito e premesso, la giurisprudenza di legittimità, tenendo conto della necessità di garantire il rispetto dei principi di certezza della decisione e di preservazione dal pericolo di contrasto tra decisioni relative ai medesimi fatti (cfr. Sez. U., 25 maggio 2001, n. 226), e ciò sulla base anche della efficacia esterna di un giudicato, ha inteso tuttavia segnare il perimetro entro il quale, ove l’efficacia esterna di un altro provvedimento non sia stata esaminata dall’organo giudicante in seno al provvedimento adottato, essa possa essere fatta valere attraverso lo strumento processuale della revocazione, ex art. 395, n. 5, c.p.c., oppure a mezzo dell’ordinario mezzo impugnatorio, anche in sede di legittimità.
È stato dunque affermato che, in tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita nel corso dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Sez. U, 20 ottobre 2010, n. 21493; cfr. anche Cass., 8 gennaio 2014, n. 155; 4 novembre 2015, n. 22506; 3 novembre 2016, n. 22177). Diversamente, nelle ipotesi in cui l’esistenza di tale giudicato abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata in giudizio, la sentenza d’appello difforme non è impugnabile con il ricorso per revocazione ma solo con il ricorso per cassazione (Cass., 4 ottobre 2022, n. 28733).
D’altronde l’eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito, prescindendo da qualsiasi volontà dispositiva della parte, e tanto proprio in considerazione del suo rilievo pubblicistico, che la rende comunque rilevabile d’ufficio (Cass., 7 gennaio 2021, n. 48).
Si è quindi riconosciuta l’esperibilità del rimedio della revocazione contro la sentenza d’appello che non abbia tenuto conto del giudicato formale intervenuto prima del deposito della sentenza stessa, in quanto l’esaurimento della fase di merito si ha solo con il deposito della sentenza di secondo grado, che è il momento in cui il giudice d’appello si spoglia della
contro
versia. Sino a quel momento è possibile far valere il giudicato esterno in sede di appello, producendo in giudizio la sentenza munita di attestato di definitività da parte della cancelleria, anche attraverso un’apposita istanza al giudice che consenta una rimessione della causa sul ruolo. Ove invece il giudicato si sia formato successivamente al deposito della sentenza di appello, il rimedio esperibile sarà quello del ricorso per cassazione (Cass., 23 maggio 2019, n. 13987).
D’altronde, il discrimen collegabile al momento in cui il giudicato sia intervenuto, a seconda che esso si epifanizzi entro il deposito della sentenza, che con quel giudicato sia in contrasto, o successivamente, era ben chiaro sin dagli arresti più lontani, laddove si affermava che il rimedio della revocazione, per le ipotesi in cui il giudicato esterno si fosse formato nel corso del giudizio di secondo grado, ma non era stato eccepito in giudizio dalla parte interessata, era da considerarsi «coerente con la giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di giudicato esterno, considerato che la possibilità di dedurre per la prima volta nel giudizio di cassazione l’eccezione di giudicato esterno che, per essersi formato nelle more del giudizio di merito, poteva essere in quella sede dedotto, risulta chiaramente esclusa sia dalla sentenza 226/01 che dalla sentenza 13916/06.» (cfr. Sez. U, n. 21493 del 2010; sulla indeducibilità in sede di legittimità cfr., più di recente, anche Cass., 20 settembre 2023, n. 26916; 29 febbraio 2024, n. 5370).
Venendo allora al caso di specie, risulta pacifico che le sentenze, favorevoli alla società, relative agli anni d’imposta 2007 e 2009, furono depositate il 14 dicembre 2016. Sennonché, il termine semestrale per l’impugnazione dinanzi al giudice di legittimità, termine ultimo oltre il quale (14 giugno 2017) , per l’ipotesi di mancata impugnazione, le stat uizioni in esse contenute sarebbero divenute definitive con efficacia di giudicato, anche esterno (ovviamente previa verifica della sussistenza dei presupposti per l’efficacia esterna) , risultava sospeso per sei mesi dalla disciplina condoniale introdotta dal d.l. 50 del 2017 del 24 aprile 2017 . L’effetto era che esse potevano essere oggetto di impugnazione non più entro il 14 giugno 2017, bensì sino al 14 dicembre 2017, e dunque solo a partire da tale data, ove non impugnate, avrebbero potuto considerarsi passate in giudicato.
Ne discende che la sentenza per la quale il giudice regionale ha disposto la revocazione (la n. 3543/22/2017), depositata il 6 settembre 2017, è stata
RGN 1352/2020 Consigliere rel. NOME
emessa quando ancora quelle sentenze non avevano forza di giudicato, né interno né esterno.
Il giudicato sopraggiunto, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, avrebbe potuto invece costituire oggetto di motivo d’impugnazione, o comunque, ancorché scaduti i termini per l’impugnazione , poteva essere addotto in sede di legittimità.
Né ha pregio affermare, come sostiene il giudice tributario d’appello, che comunque, per essere intervenuta la definitività di quelle sentenze, e il giudicato sulle loro statuizioni, nella pendenza del giudizio per revocazione, questo teneva in piedi il processo, così che l’insorgenza del giudicato esterno era da ritenersi intervenuta nella pendenza del processo medesimo.
È principio consolidato che il ricorso per revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 e 5 c.p.c., costituisce un mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato (Sez. U, 11 novembre 2019, n. 29082; cfr., inoltre, 11 gennaio 2017, n. 552; 16 settembre 2012, n. 14970; 24 aprile 2009, n. 9826).
D’altronde, ove così non fosse, l’intero schema del discrimine circa lo strumento processuale cui ricorrere per far valere l’efficacia esterna di un giudicato, come descritto e sostenuto dalla consolidata giurisprudenza richiamata, si svuoterebbe di contenuti ove dovesse accedersi ad una interpretazione, come quella formulata nella sentenza ora al vaglio di questa Corte.
Il motivo in conclusione va accolto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe la necessità d ell’esame de l secondo motivo, con cui l’Ufficio ha lamentato la f alsa applicazione dell’art. 20 d.lgs. n. 74 del 2000, e dell’art. 116 c .p.c ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e del terzo motivo, con cui ha denunciato la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., censure con cui in sostanza l’erario pone in dubbio il contenuto e la stessa efficacia esterna delle statuizioni delle medesime sentenze.
La sentenza va pertanto cassata, perché era inammissibile il ricorso per revocazione promosso dinanzi alla CTR, ex art. 382 ult. comma cpc.
Poiché peraltro non è necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, e pertanto la causa può essere decisa anche nel merito ex art. 384, secondo
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comma, c.p.c., per quanto già illustrato, il Collegio non può che rilevare che il ricorso per revocazione della sentenza d’appello n. 3543/22/2017 era inammissibile, perché pronunciata prima dell’intervento di pronunce da far valere con gli effetti del giudicato. Il giudicato sulle statuizioni relative a queste ultime, eventualmente sopraggiunto alla predetta sentenza, poteva invece essere motivo di impugnazione dinanzi al giudice di legittimità (avverso la richiamata sentenza n. 3543/22/2017), oppure questione da far comunque valere in sede di legittimità.
All’esito del giudizio , e ai fini della regolamentazione delle spese, quelle del processo per revocazione su cui si è pronunciata la Commissione tributaria regionale della Lombardia vanno compensate, mentre quelle relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, cassa la sentenza n. 4100/14/2019 qui impugnata, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza n. 3543/22/2017 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia. Compensa le spese del giudizio per revocazione celebrato dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia. Condanna la controricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025