Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/01/2025
Oggetto: Tributi
IVA 2009-
Giudicato esterno
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero n. 5168 del ruolo generale dell’anno 20 20 proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3920/09/19 depositata in data 27 giugno 2019, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 novembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva rigettato l’appello proposto nei confronti de ll’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 108/07/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, sulla base delle risultanze del p.v.c. della Guardia di Finanza del 24 giugno 2010, disconoscendo, in capo alla contribuente, la natura di società sportiva dilettantistica per accedere alle agevolazioni tributarie ex lege n. 398 del 1991 aveva recuperato, per il 2009, maggiore Iva sulle fatture emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE afferenti a prestazioni di servizi ritenute effettuate nell’esercizio di attività commercial e.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha ritenuto: 1) infondata l’eccezione di giudicato esterno con riguardo a precedenti sentenze relative a differenti periodi di imposta, in considerazione dei diversi presupposti di fatto rispetto a quelli oggetto del presente giudizio e del limite di applicabilità del giudicato esterno introdotto dalla giurisprudenza della Corte europea (sentenza della Corte di Giustizia del 3.9.2009, causa C-208), seguita da quella nazionale
(è richiamata Cass. n. 9710 del 2018) che, nel valorizzare il principio di autonomia dei periodi di imposta, aveva escluso l’efficacia del giudicato in altre annualità allorquando, in materia di Iva, l’interpretazione contenuta nelle decisioni passate in cosa giudicata fosse in contrasto con la disciplina comunitaria, compromettendone l’effettività; nella specie, l’avviso impugnato atteneva esclusivamente a violazioni in materia di Iva per cui alcuna efficacia di giudicato esterno potevano esplicare le precedenti sentenze, relative anche ad imposte diverse, trattandosi di ‘una fattispecie di violazione della normativa fiscale’;2) nel merito, la pretesa tributaria era legittima atteso che erano emersi in sede di indagine una serie di elementi da ritenersi pacifici, in assenza di contestazione, concorrenti a comprovare che la RAGIONE_SOCIALE, sebbene formalmente iscritta al Coni e a ll’ASI, non svolgesse, in via diretta, alcuna attività sportiva limitandosi a fornire servizi a RAGIONE_SOCIALE (alla quale era collegata da soci comuni) per i quali percepiva un elevato corrispettivo; in particolare, l’Ufficio aveva accertato : che la RAGIONE_SOCIALE non disponeva di locali in cui svolgere direttamente l’attività sportiva; tutti gli istruttori sportivi alle dipendenze della società erano impiegati esclusivamente presso il centro sportivo RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE; le due società avevano stipulato, in data 1.09.2003, un contratto con il quale RAGIONE_SOCIALE si impegnava a svolgere attività di assistenza nella gestione di corsi didattici di istruzione sportiva nell’ambito del centro sportivo RAGIONE_SOCIALE impiegando istruttori sportivi qualificati e di gradimento di RAGIONE_SOCIALE; due soci della RAGIONE_SOCIALE erano anche soci della RAGIONE_SOCIALE; contestualmente alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE tutto il personale dipendente della RAGIONE_SOCIALE era passato alla prima società; 3) la contribuente si era limitata a fornire a contrario una scarna documentazione consistente in inviti e richieste di assistenza rivolte alla società per lo svolgimento di attività sportive, prodotte in mere copie, dal contenuto generico, senza di mostrare l’effettivo svolgimento delle attività medesime; 4) infine, era infondata l’eccezione di indebito frazionamento dell’azione accertatrice formulata in riferimento all’emissione di due distinti avvisi per il 2009 atteso che detti atti si riferivano a tributi diversi, fondati su differenti presupposti, trattandosi, nel
caso in esame, di accertamento di un reddito non dichiarato mentre, nell’altro , del rilievo delle maggiori ritenute non operate dall’associazione a favore dei propri dipendenti.
3.Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 90 della legge n. 289 del 2002, 4, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, 148 del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere la CTR ritenuto le prestazioni di servizio rese da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE effettuate nell’esercizio di attività commerciale senza considerare che non solo la contribuente era iscritta al Coni e all’ASI, ma che anche RAGIONE_SOCIALE destinataria delle prestazioni di organizzazione di corsi di didattica sportiva di cui al contratto del 1.9.2003, era – come documentato in atti – affiliata all’ ente di promozione sportiva nazionale ASI. Pertanto, ad avviso della ricorrente, diversamente da quanto statuito dal giudice di appello, ricorrevano, nel caso di specie, i presupposti per escludere, ai sensi dell’art. 4, comma 2, cit., la natura commerciale di RAGIONE_SOCIALE, atteso che trattavasi di attività resa da una società sportiva dilettantistica conforme alle finalità istituzionali dell’ente -in particolare, di promozione dell’educazione fisica e diffusione delle pratiche sportive – nei confronti di una società affiliata al medesimo ente di promozione sportiva cui partecipava il prestatore del servizio.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 132, comma 4, c.p.c. nonché dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR ritenuto decisive e non contestate circostanze che -come, in specie, quella relativa al passaggio, nel 2003, del personale della società RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE– erano state puntualmente contestate nei gradi di merito.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 bis , 43 del d.P.R. n. 600/73, 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, 24 e 111 Cost. per avere la CTR confermato la legittimità dell’avviso di accertamento in questione sebbene l’Ufficio avesse indebitamente frazionato, per il medesimo anno di imposta, la pretesa tributaria in più atti impositivi, fondati sul medesimo presupposto costituito dal disconoscimento delle agevolazioni fiscali previste per le società sportive dilettantistiche.
4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2909 c.c. e in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546/92 e 132, comma 2, c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie concreta l’art. 2909 c.c. con riguardo alle precedenti sentenze della CTP di Roma (n. 241/53/12, n. 320/08/2013, 321/08/2013) passate in giudicato (nelle quali era stata riconosciuta la natura di ente non commerciale della società contribuente e l’espletamento da parte di quest’ultima di un’attività istituzionale propria di una RAGIONE_SOCIALE) stante l’asserita diversità d ei presupposti considerati nelle dette sentenze sebbene, alla luce del contenuto degli avvisi di accertamento (per gli anni 2005 e 2006) oggetto delle stesse, si evincesse la identità delle questioni, essendo stata dall’Ufficio contestata, per tutte le ann ualità di imposta (2005, 2006, 2009), la natura giuridica delle prestazioni – di assistenza nella gestione di corsi didattici di istruzione sportiva nell’ambito del centro sportivo RAGIONE_SOCIALE – rese dalla contribuente in favore di RAGIONE_SOCIALE in forza di un medesimo contratto stipulato tra le due società in data 1.9.2003 e considerate dall’Amministrazione come espletamento di attività commerciale. La CTR avrebbe poi invocato i limiti al principio del giudicato esterno imposti dall’effettività del diritto comunitario, limitandosi a riferire di una generica violazione della normativa Iva senza indagare l’esistenza di comportamenti fraudolenti o abusivi posti in essere dalla contribuente; peraltro, le attività di istruzione sportiva rese dalla RAGIONE_SOCIALE risultavano esenti da Iva alla
luce dell’art. 132, lett. i) della direttiva n. 112 del 2006 (che aveva riproposto il dettato dell’art. 13, parte A, n. 1 lett. m della sesta direttiva comunitaria).
5.Il quarto motivo- da esaminare logicamente in via prioritaria- è fondato.
5.1.In via preliminare, va ricordata la fondamentale regola di diritto affermata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), secondo cui “In assenza di una normativa comunitaria in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)” (sentenze della Corte di giustizia 3 settembre 2009, in causa C-2/08, RAGIONE_SOCIALE, punto 24; 10 luglio 2014, C- 213/13, RAGIONE_SOCIALE contro Comune di Bari e altri, punto 54; 16 marzo 2006, R.COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE, C-234/04, punto 22).Ciò posto, la CGUE ha comunque precisato, in termini generali, che «qualora le norme procedurali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere esercitata, conformemente ai principi di equivalenza e di effettività, e sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione oggetto del procedimento principale alla normativa dell’Unione» tenendo conto dell’interpretazione di tale normativa offerta successivamente dalla Corte medesima (cfr. CGUE 10 luglio 2014, in causa C-213/13, COGNOME, punti 62 e 64).
5.2.In passato, la Corte di giustizia aveva stabilito che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una norma nazionale come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale norma impedisca il recupero di un aiuto di stato erogato in
contrasto con il diritto dell’Unione europea e la cui incompatibilità con il mercato comune sia stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva (Corte giust. 18 luglio 2007, causa C-119/05, RAGIONE_SOCIALE c. Soc. RAGIONE_SOCIALE). Ma, in quel caso, la decisione della Commissione che dichiarava indebiti gli aiuti di Stato era intervenuta antecedentemente alla formazione del giudicato nazionale, col quale, di contro, il giudice aveva riconosciuto il diritto all’erogazione dell’aiuto di Stato, trascurando, quindi, la decisione della Commissione. La stessa Corte di giustizia d’altronde, successivamente (Corte giust. 22 dicembre 2010, causa C-507/08, Commissione europea c. Governo Slovacchia) in esito ad un ricorso per inadempimento concernente una vicenda in cui si trattava di recuperare degli aiuti di Stato consistenti nella rimessione parziale di un debito fiscale di una società nell’ambito della procedura di concordato, ha escluso la rilevanza della sentenza COGNOME osservando che «la pronuncia giurisdizionale dotata di forza di giudicato di cui si avvale la Repubblica slovacca è anteriore alla decisione con cui la commissione ha imposto il recupero dell’aiuto controverso» (punto 57).
5.3.La Corte di giustizia ha poi affermato che il diritto unionale osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale come l’art. 2909 c.c. in una causa vertente sull’Iva concernente un’annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva «in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta» (Corte giust. 3.9.09, C-2/08, Amministrazione dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle entrate contro RAGIONE_SOCIALE). In particolare, ad avviso della CGUE, ostacoli di tale portata all’applicazione effettiva delle norme comunitarie in materia di IVA «non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati in contrasto con il principio di effettività». Trattasi, pertanto, di una ipotesi peculiare nella quale la Corte di Lussemburgo ha rimodulato i limiti oggettivi della res iudicata , impedendo che una decisione
giurisdizionale divenuta definitiva, fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie relative a pratiche abusive in materia di IVA in contrasto con il diritto comunitario, possa estendere i propri effetti anche ad altri periodi di imposta.
5.4.In linea generale, sul tema dell’opponibilità del giudicato esterno la stessa giurisprudenza comunitaria ha sempre rimarcato “l’importanza che riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione che negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell’intangibilità del giudicato. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione. Pertanto, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto” (sentenze della Corte di giustizia 10 luglio 2014, C-213/13, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contro Comune di Bari e altri, punti 58 e 59; 3 settembre 2009, in causa C-2/08, RAGIONE_SOCIALE, punto 22-23). Al riguardo, la Corte di giustizia ha precisato che, in linea di principio, gli effetti del giudicato vanno salvaguardati “salvo ipotesi del tutto particolari o che investono la stessa ripartizione di competenze tra gli Stati membri e la UE” (cfr. CGUE 10 luglio 2014, in causa C-213/13, Pizzarotti, punto 61; 3 settembre 2009, in causa C-2/08, RAGIONE_SOCIALE, punto 25; 18 luglio 2007, in causa C-119/05, COGNOME punti 52 e 62).
5.5.La Corte di giustizia, ritornando sulla questione (Corte giustizia, grande sezione, 6 ottobre 2015, causa C-69/14, T. c. Gov. Romania), con riguardo al diritto di ottenere il rimborso di tributi riscossi in uno Stato membro in violazione del diritto unionale, ha stabilito che il diritto dell’Unione, in base ai principi di equivalenza e di effettività, dev’essere interpretato nel senso che non osta al fatto che a un giudice nazionale non spetti la possibilità di revocare una decisione giurisdizionale definitiva pronunciata nel contesto di un ricorso di natura civile.
E ciò anche quando tale decisione risulti incompatibile con un’interpretazione del diritto dell’Unione accolta dalla Corte di giustizia successivamente alla data in cui la decisione è divenuta definitiva, finanche qualora, di contro, una tale possibilità sussista per le decisioni giurisdizionali definitive incompatibili con il diritto dell’Unione pronunciate nel contesto dei ricorsi di natura amministrativa. E’ stata, quindi, ribadita l’importanza che riveste anche nell’ordinamento giuridico dell’Unione il principio dell’intangibilità del giudicato, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, di modo che il giudice nazionale non è vincolato dal diritto dell’Unione a disapplicare le norme processuali interne che conferiscono forza di giudicato ad una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò consentirebbe di rimediare ad una situazione nazionale contrastante col diritto unionale.
5.6.Questi principi sono stati ribaditi nella sentenza del 4 marzo 2020, causa C34/19, RAGIONE_SOCIALE contro Ministero dello Sviluppo economico e Ministero dell’economia e delle finanze, ha ribadito che “il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che esso non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, anche qualora ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza con ciò escludere la possibilità per gli interessati di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica de/loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione” (punto 71).
5.7.Ancora, nella sentenza del 16 luglio 2020, causa C -424/19, Cabinet de avocat UR c. Administratia Sector 3 a Finantelor Publice prin Diregla Generala” Regionarà a Finantelor Publice Bucure5ti, la Corte di Lussemburgo- sulla questione pregiudiziale se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta a che, nell’ambito di una controversia relativa all’Iva (nella specie, concernente la domanda di cancellazione di uno studio legale con sede in Romania dal registro dei soggetti passivi e di rimborso Iva), un giudice nazionale applichi il principio dell’autorità di cosa giudicata, qualora
l’applicazione di tale principio costituisca un ostacolo a che detto giudice prenda in considerazione la normativa dell’Unione in materia di IVA. – ha affermato che « Il diritto dell’Unione osta a che, nell’ambito di una controversia relativa all’imposta sul valore aggiunto (IVA), un giudice nazionale applichi il principio dell’autorità di cosa giudicata, qualora tale controversia non verta su un periodo d’imposta identico a quello di cui trattavasi nella controversia che ha dato luogo alla decisione giurisdizionale munita di tale autorità, né abbia il medesimo oggetto di quest’ultima, e l’applicazione di tale principio costituisca un ostacolo a che tale giudice prenda in considerazione la normativa dell’Unione in materia di IVA ». In particolare, nella detta pronuncia si precisa che « laddove la decisione giurisdizionale divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione erronea delle norme dell’Unione in materia di IVA, la non corretta applicazione di tali norme si riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sia possibile correggere tale erronea interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 30). Orbene, ostacoli di tale portata all ‘ applicazione effettiva delle norme del diritto dell’Unione in materia di IVA non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati contrari al principio di effettività (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 31)» (punti 32 e 33).
5.8.Sulla scia della giurisprudenza della Corte di giustizia quella di legittimità ha affermato che «il diritto dell’Unione europea, così come costantemente interpretato dalla Corte di Giustizia, non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione, salva l’ipotesi, assolutamente eccezionale, di discriminazione tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno, ovvero di pratica impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario » (Cass., sez. 5, 27 gennaio 2017, n. 2046; Cass. sez. 5, 29 luglio 2015, n. 16032;
Cass., sez. 1, 6 maggio 2015, n. 9127; Cass. 15 dicembre 2010, n. 25320.) e « salva la peculiare ipotesi di contrasto con una decisione definitiva della Commissione europea emessa prima della formazione del giudicato » (Cass. sez. 5, 13 luglio 2018, n. 18642).
5.9.In ordine all’applicabilità ai rapporti di durata, in materia tributaria, dell’efficacia del giudicato esterno, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo di imposta, questa Corte, nella sentenza a sezioni unite, n. 13916 del 16/06/2006 ha affermato il seguente principio di diritto: “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento
nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell ‘ atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale ” norma agendi ” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”.
5.10.Successivamente, sul tema, questa Corte, sez.5, nella sentenza, n. 4832 del 11/03/2015 ha precisato che “In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale”. Nella detta pronuncia, si è affermato che ” l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, IVA, vari tributi locali, ecc), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle sezioni unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d’imposta in una sorta di “maxiperiodo”: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa. E a tali casi può equipararsi quello in cui l’accertamento concerna la qualificazione di un rapporto
contrattuale ad esecuzione prolungata (come nel caso deciso dalla citata Cass. n. 25762 del 2014). Al di fuori di dette ipotesi, va esclusa l’efficacia estensiva del giudicato; e ciò anche per quelle fattispecie che le sezioni unite definiscono “tendenzialmente” permanenti (come le “qualificazioni giuridiche”), ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza (la natura di un ente può essere “commerciale” in un anno e non in un altro, un soggetto può essere “residente” in un anno e poi perdere tale requisito, etc.): del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite precisa che l’efficacia preclusiva del giudicato opera ” fino a quando quella qualificazione (…) non sia venuta meno fattualmente o normativamente”, il che equivale a dire che il giudice tributario deve comunque accertarne l’esistenza in relazione all’annualità d’imposta in considerazione, senza essere vincolato da un giudicato concernente un periodo diver so” (punto 2.5. della parte motiva). Al detto indirizzo ha dato seguito Cass. 15 settembre 2017, n. 21935 e Cass. 28 settembre 2018, n. 23495.
5.11.La rilevanza del principio comunitario di effettività quale limite alla operatività del giudicato nazionale è stata chiaramente evidenziata da questa Corte affermando il seguente principio di diritto “le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 (Olimpiclub), la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto euro-unitario” (sentenza, Sez. 5, n. 8855 del 04/05/2016; v. nello stesso senso, Sez. 5, Sentenza n. 16996 del 05/10/2012, nella specie, la S.C. ha negato il valore di giudicato esterno a sentenze di merito che, pronunciandosi con riferimento ad avvisi di accertamento in materia di IVA emessi in contestazione di fatture per operazioni inesistenti in ordine ad anni diversi di imposta, avevano escluso la fittizietà di tali operazioni; Sez. 5,
Sentenza n. 12249 del 19/05/2010 secondo cui: ‘ Le controversie in materia di IVA sono annoverabili fra quelle che richiedono il rispetto di norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria, come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema comunitario di imposta; in applicazione del principio, la S.C. ha disconosciuto il valore di giudicato esterno di sentenze che, pronunciatesi con riferimento ad avvisi di accertamento in materia di IVA relativi a anni diversi di imposta, avevano escluso che un contratto di comodato di impianti sportivi, stipulato fra una società ed un’associazione sportiva al solo fine di ottenere un risparmio fiscale, integrasse gli estremi dell ‘ abuso di diritto). Sulla stessa linea, questa Corte ha sottolineato che “il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto, salvo che, in materia di IVA, ciò comporti l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività” (Sez. 5 – , Ordinanza n. 9710 del 19/04/2018).
5.12. Questa Corte nella sentenza n. 31084 del 2019 (in una fattispecie relativa a un rapporto ad esecuzione prolungata avente ad oggetto la realizzazione, in più anni, delle medesime opere pubbliche), ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui: «In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta,
o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata; né il diritto dell’Unione europea, così come costantemente interpretato dalla Corte di Giustizia, impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata di una decisione, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo di imposta, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione, salvo le ipotesi, assolutamente eccezionali, di discriminazione tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno, ovvero di pratica impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario ovvero di contrasto con una decisione definitiva della Commissione europea emessa prima della formazione del giudicato»(conforme Sez. 5, Sentenza n. 5939 del 04/03/2021).
5.13. Nella specie, il giudice di appello non si attenuto ai suddetti principi (v. anche Cass. sez. 6-5, n. 26131 del 2021 tra le stesse parti relativamente all’impugnativa di altro avviso, relativo al 2008, basato sul medesimo processo verbale della GGFF) in quanto ha rigettato l’eccezione di giudicato esterno in relazione alle precedenti sentenze, tra le stesse parti, n. 241/53/12 e n. 320/08/2013 e n. 312/08/2013 della CTP di Roma pacificamente passate in giudicato- che avevano accertato la natura di società sportiva dilettantistica della RAGIONE_SOCIALE e la mancanza di fine di lucro delle prestazioni espletate nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (v. allegati n. 2.d.11 al ricorso) – affermando apoditticamente: 1) da un lato, ‘ la differenza dei presupposti di fatto considerati nelle sentenze divenute irrevocabili rispetto a quelli oggetto del giudizio ‘ ; con ciò senza considerare che -avuto riguardo al contenuto degli avvisi di accertamento, già prodotti nei gradi di merito e allegati al ricorso, relativi alle annualità 2005 e 2006, oggetto di impugnazione nei giudizi definiti con le previe sentenze divenute irrevocabili – trattavasi della medesima contestazione in ordine al la natura commerciale dell’ente, avente origine da un unico p.v.c. della G.d.F. di Roma del 24.6.2010, sulla base degli stessi rilievi in punto di fatto
(mancanza da parte della RAGIONE_SOCIALE di locali e spazi nei quali svolgere direttamente l’attività sportiva ; impiego degli istruttori sportivi, alle dipendenze della società in virtù di contratti di collaborazione sportiva, esclusivamente presso il centro sportivo RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE; stipula, in data 1.9.2003, di un contratto tra la contribuente e RAGIONE_SOCIALE con il quale la prima si impegnava a svolgere l’attività di assistenza nell’attività di gestione di corsi didattici di istruzione spo rtiva nell’ambito del centro sportivo RAGIONE_SOCIALE impiegando istruttori sportivi qualificati e di gradimento della RAGIONE_SOCIALE; comunanza di due soci della società contribuente con quelli di RAGIONE_SOCIALE; trasferimento del personale dipendente di Eurosport alla contribuente contestualmente alla costituzione di quest’ultima in data 9.7.2003 ) ; 2) dall’altro, l’operatività dei limiti al principio del giudicato esterno imposti dall’effettività del diritto comunitario secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia (è richiamata la sentenza del 3.9.2009, C-2/08) fatta propria dalla giurisprudenza nazionale (è richiamata Cass. n. 9710 del 2018), atteso che ‘ l’avviso di accertamento in contestazione atteneva unicamente a violazioni in materia di Iva, nessuna efficacia di giudicato esterno potevano assumere le precedenti sentenze, peraltro relative anche a imposte diverse, trattandosi… di una fattispecie di violazione della normativa fiscale ‘; con ciò, il giudice di appello nell’escludere l’efficacia, nel giudizio in esame, del giudicato esterno -relativamente alle sentenze, tra le stesse parti, di cui sopra nelle quali era stata acclarata la natura non commerciale della società contribuente, in contrasto con quando contenuto nel verbale della GGFF posto a base dell’accertamento dei diversi anni d’imposta – si è limitato a riferire di una violazione della normativa in tema di Iva lungi dal verificare se l’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata costituisse un ostacolo a che tale giudice prendesse in considerazione la normativa dell’Unione in materia di Iva e, in particolare, se le previe sentenze irrevocabili in questione fossero fondate su un’interpretazione erronea delle norme dell’Unione in materia.
6. L’accoglimento del quarto motivo rende inutile la trattazione dei restanti motivi, con assorbimento degli stessi.
7.In conclusione, va accolto il quarto motivo, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024