Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 436 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 436 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13057/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME non in proprio ma in qualità di liquidatore e legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA n. 1589/2019 depositata il 20/05/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La Commissione Tributaria Regionale della Puglia ( hinc: CTR), con sentenza n. 1589/2019 depositata in data 20/05/2019, ha accolto, parzialmente, l’appello dell’amministrazione finanziaria contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari n. 90/2006, dichiarando tempestivi gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1998 e 1999 emessi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, fondati sul PVC redatto dalla Guardia di Finanza di Bari in data 01/08/2002.
Gli avvisi di accertamento erano stati annullati dal giudice di primo grado, con decisione confermata dalla CTR di Bari, successivamente cassata da questa Corte, con sentenza n. 8142/16 depositata in data 15/03/2016, previa dichiarazione di estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere relativamente all’ILOR 1997. A questo punto RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore, dichiarata fallita dal Tribunale di Bari, nell’inerzia della curatela ha riassunto i l giudizio davanti dalla CTR, ex art. 63 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, riproponendo le eccezioni di merito dedotte in giudizio e non esaminate dal giudice di prime cure. Nell’ambito del giudizio di riassunzione si era costituita anche l’amministrazione finanziaria, che ha insistito per la legittimità degli avvisi di accertamento e, all’udienza di discussione, ha eccepito la legittimità della controparte per effetto dell’in tervenuta estinzione della società.
La CTR, in merito al difetto di legittimazione attiva della società, ha rilevato che l’evento interruttivo – costituito dalla cancellazione dal registro delle imprese in data 31/07/2012 della società, successivamente dichiarata fallita in data 17/07/2013 -è intervenuto in pendenza di giudizio per cassazione, senza che tale circostanza sia stata sollevata, in tale sede, dalla parte appellata, né dall’Ufficio, fermo restando che, ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., è indispensabile e insostituibile la comunicazione formale dell’evento (assente nel caso di specie) ad opera del procuratore che assiste la parte in giudizio. La norma appena richiamata esclude, infatti, l’automatismo tra la perdita della capacità di stare in giudizio e l’interruzione del processo, richiedendo, a tal fine, la comunicazione formale del procuratore della parte, il quale ha una discrezionalità di provvedervi nel momento ritenuto più opportuno.
3.1. La CTR rileva, quindi, che dall’estratto del registro delle imprese la società è stata posta in liquidazione in data 17/04/2012 ed è stata cancellata dal registro delle imprese in data 31/07/2012. La dichiarazione di fallimento è del 17/07/2013. Ritiene, poi, che, in assenza di dichiarazione formale ex art. 300 cod. proc. civ. con riferimento all’evento interruttivo del 31/07/2012 devono considerarsi gli effetti derivanti dalla successiva dichiarazione di fallimento, alla luce di quanto previsto dall’a rt. 43 l.fall. Tale norma determina la perdita della capacità di stare in giudizio del liquidatore, sia come attore che come convenuto, in quanto la legittimazione processuale si trasmette in capo al curatore e il processo è automaticamente interrotto. La dichiarazione di fallimento non interrompe, tuttavia, il giudizio di legittimità (dove non trovano applicazione le comuni cause di interruzione), con la conseguenza che la causa prosegue in sede di riassunzione ex art. 63 d.lgs. n. 546 del 1992.
3.2. La legittimazione attiva, poi, spetta al curatore ex art. 43 l.fall. e la legittimazione del fallito può riconoscersi, eccezionalmente, solo nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento. 3.3. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità in merito all’art. 43 l.fall. secondo quanto rileva la CTR -è nel senso che la perdita di capacità processuale per effetto della dichiarazione di fallimento non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, i soli che possono eccepirla. Di conseguenza, se la curatela rimane inerte e il fallito agisce in giudizio per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l’eccezione, né il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di capacità o legittimazione (ex plurimis Cass., n. 5238 del 1999; Cass., 12879 del 1999; Cass., n. 6085 del 2011). Nel caso in esame, quindi, a fronte dell’inerzia del curatore a proseguire la
contro
versia deve essere riconosciuta la legittimazione del fallito ad esercitare il diritto alla tutela giurisdizionale.
3.4. Passando all’esame della legittimità degli avvisi di accertamento n. 884030200274 (per maggiore IVA e IRAP relative all’anno 1998) e n. 88403200285 (per maggiore IVA, IRPEG e IRAP relative all’anno 1999) la CTR -ritenuta la tempestività dell’attività di accertamento svolta dall’amministrazione finanziaria – ha rilevato come tali avvisi traessero origine dal PVC della Guardia Finanza del 01/08/2002, da cui era scaturita l’emissione degli avvisi di accertamento n. 8843000448 e n. 803388 relativi agli anni 1996, 1997 afferenti all’ILOR e all’IVA. Considerata la definizione favorevole al contribuente dei giudizi di impugnazione di questi ultimi avvisi con sentenza del giudice di primo grado n. 153/17/03 depositata in data 24/10/2003, dove sono stati ricondotti all’attività industriale della RAGIONE_SOCIALE i ricavi contestati (quali il contributo straordinario in conto di capitale concesso dal Ministero dell’Industria, prodotti finiti c/vendite e ricavi e pr oventi vari ritenuti dall’Ufficio riferibili ad attività di mera commercializzazione) e sono stati ritenuti non fittizi i finanziamenti del socio COGNOME (che per l’amministrazione occultavano prestazioni e cessioni in nero), la CTR -trattandosi di contestazioni analoghe a quelle degli avvisi di accertamento del presente procedimento fondate sullo stesso PVC -ritenute non fondate con sentenza passata in giudicato, ha concluso che la statuizione contenuta in quest’ultima non potesse che riflettersi anche sull’esito del presente giudizio. Stante l’identità soggettiva e oggettiva delle contestazioni relative alle medesime imposte, devono ritenersi coperti dal passaggio in giudicato della sentenza n. 153/17/03 depositata il 24/10/2003 i ricavi contestati, erroneamente ritenuti derivanti da attività di commercializzazione,
così come i finanziamenti contestati del socio Caggese negli anni 1998 e 1999.
3.5. La CTR rileva, peraltro, come l’Ufficio si sia limitato, nell’atto d’appello, a ribadire la tesi della fittizietà dei finanziamenti, senza contrastare in alcun modo gli effetti della sentenza n. 153/17/2003, restando immotivata l’acquiescenza a quest’ultima, rispetto all’insistenza nel richiedere il riconoscimento della legittimità del recupero a tassazione operato, sulla base dei medesimi presupposti, nella presente controversia.
3.6. Infine, ha rilevato come le sopravvenienze attive -come provato dalla società contribuente -fossero riconducibili, in parte, al contributo in conto di capitale, in parte a costi dedotti nei precedenti esercizi (rivelatisi poi insussistenti), in parte a prodotti finiti c/vendite, mentre i ricavi e proventi vari risultano connessi all’attività industriale. Ha poi ritenuto ingiustificata la ritenuta carenza di documentazione comprovante l’esito dell’attività svolta in quanto non prevista da alcuna norma , la rettifica dell’IVA addebitata per errata maggiore fatturazione effettuata in conformità all’art. 19 d.P.R. 26/10/1972, n. 633.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
Il sig. NOME COGNOME in qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dichiarata fallita dal Tribunale di Bari in data 18/07/2013 ha resistito con controricorso.
La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha depositato requisitoria scritta.
Considerato che:
Con il primo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 43 l.fall. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva che la CTR -in assenza dell’imprescindibile dichiarazione dell’evento interruttivo ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ. , costituito dal sopravvenuto fallimento della società contribuente in pendenza del giudizio di legittimità -ha riconosciuto alla società fallita, tramite il suo difensore, la legittimazione a esercitare il diritto alla tutela giurisdizionale, stante l’inerzia del curatore. Rileva, tuttavia, che successivamente alla dichiarazione di fallimento l’unico legittimato a rappresentare la società, ai sensi dell’art. 43 l.fall., è i l curatore. L’unica eccezione riguarda la tutela dei diritti strettamente personali e i rapporti patrimoniali, nella sola ipotesi di inerzia della curatela. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, il totale disinteresse della curatela deve emergere dagli atti di causa. La CTR nel caso in esame non ha esplicitato gli elementi informativi sulla base dei quali ha ritenuto sussistere il disinteresse della curatela a coltivare il giudizio.
Con il secondo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente rileva che nel caso in esame gli avvisi di accertamento impugnati sono stati annullati per la semplice ragione che esisteva una precedente sentenza passata in giudicato che aveva annullato gli avvisi di accertamento ILOR per l’anno 1996 e IVA per l’anno 1997, muovendo dall’assunto che tutti gli atti impositivi erano fondati sullo stesso PVC. Nel richiamare il giudicato esterno, tuttavia, la CTR non ha fatto alcun puntuale riferimento alla fattispecie concreta e non ha svolto alcun accertamento di fatto per l’individuazione degli elementi della pretesa tributaria sottoposti alla sua valutazione, limitandosi a rilevare l’identit à oggettiva e soggettiva della relativa valutazione.
2.2. In ogni caso, in relazione alla questione dell’estensione del giudicato formatosi sulle controversie relative all’IVA e all’ILOR per gli anni 1996 e 1997 la giurisprudenza ne ha più volte negato l’estensione in presenza di controversie relative a impo ste diverse. Nel caso di specie la controversia relativa al 1999 si riferisce anche a recuperi a fini IRPEG. Non solo: il giudicato relativo a una posta (attiva o passiva) che muta di anno in anno, come nel caso in esame, riguarda solo la specifica annualità cui la posta si riferisce, non potendo trovare applicazione in altri periodi di imposta.
Con il terzo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 19 d.P.R. 26/10/1972, n. 633, dell’art. 218 d.P.R. n. 218 del 1978 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La ricorrente ha rilevato che, con l’avviso di ac certamento è stato accertato un reddito d’impresa, a fini ILOR, pari a £ 59.005.000 e una maggiore imposta di Euro 4.936,81, con l’irrogazione di sanzioni per Euro 5.924,28. Rileva che la società ricorrente, per il 1997, aveva dichiarato un reddito imponibile ai fini IRPEG e ILOR pari a £ 427.731.000, totalmente esentato da tassazione per effetto dell’esenzion e decennale ex legge n. 64 del 1986, di cui la contribuente godeva in virtù del provvedimento n. 98/3804/135 del 06/11/1998. In detto reddito, tuttavia, la contribuente aveva fatto concorrere ricavi agevolabili a fini ILOR, che non potevano, tuttavia, godere di tale beneficio. Si trattava, infatti, di proventi straordinari per l’importo di £ 6.288.000, estranei al reddito realizzato nel ciclo produttivo dello stabilimento che, in quanto non conseguiti attraverso un ciclo di lavorazione, ma frutto di proventi straordinari e ricavi finanziari, non rientravano nella produzione industriale e non erano assimilabili al reddito industriale per cui non rientravano nel regime di esenzione decennale prevista ai fini ILOR dalle norme
citate. Parimenti, non era agevolabile il risultato di operazioni puramente commerciali determinate in £ 52.716.464, trattandosi di ricavi di vendita di prodotti finiti, quali modulistica fiscale e apparecchiature elettroniche acquistate come prodotti finiti e ven duti. L’Ufficio metteva in evidenza l’irregolarità delle scritture contabili obbligatorie, non essendo stata tenuta una contabilità separata, così come previsto dall’art. 26, secondo comma, d.P.R. n. 601 del 1973, per il reddito industriale e il reddito commerciale, dal momento che l’esenzione è prevista solo per i redditi industriali.
3.2. Analoghe conclusioni riguardano le annualità di imposta 1998 e 1999, per le quali dal pvc redatto in data 01/08/2002 è emerso che la RAGIONE_SOCIALE ha omesso di fatturare e dichiarare ricavi rispettivamente per £ 166.448.000 e £ 556.209.248, scaturiti da finanziamenti fittizi effettuati dal socio COGNOME in quanto consistenti spesso in importi assai modesti tali da supportare la tesi di una preordinata alimentazione del conto cassa societario con proventi in nero regolati prevalentemente con contanti e/o assegni.
La controricorrente ha contestato la fondatezza di tutti e tre i motivi di ricorso proposti.
La Procura Generale della Corte di cassazione nella requisitoria scritta ha posto, in via preliminare, la questione relativa agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese sulla legittimazione del liquidatore della società estinta, questione affatto distinta da quella relativa alla legittimazione del debitore dichiarato fallito rispetto a quella del curatore. Ha poi concluso in merito all’infondatezza del primo motivo, all’inammissibilità del terzo motivo e alla fondatezza del secondo motivo di ricorso.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, il primo motivo è infondato. Nella specie la società RAGIONE_SOCIALE risulta cancellata dal registro delle imprese in data 31/07/2012 (come risulta dalla stessa
sentenza impugnata) ed è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Bari in data 18/07/2013. Dalla lettura del ricorso in cassazione risulta che gli avvisi di accertamento oggetto del presente procedimento sono stati impugnati davanti alla Commissione Provinciale di Bari che (ritenendo fondata l’eccezione di decadenza dell’amministrazione finanziaria dai termini di accertamento) ha accolto il ricorso del contribuente con sentenza 09/06/2006, n. 90/09/2006. La CTR, con sentenza del 23/01/2008, n. 184/02/2007 ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio, che ha proposto, con atto notificato in data 18/09/2009, ricorso in cassazione, accolto con la sentenza di questa Corte n. 8142 del 22/04/2016.
In sostanza, nelle more del precedente giudizio di cassazione, con il quale è stata definita la cd. fase rescindente, la società è stata, dapprima cancellata dal registro delle imprese e, successivamente, è stata dichiarata fallita.
7. Nel caso di specie, in punto di legittimazione, non viene tanto in rilievo la questione relativa all’applicazione dell’art. 43 l.fall., considerato che è pacifica l’inerzia della curatela e che tale fatto sarebbe di per sé sufficiente, in thesi, a rendere possibile la legittimazione della società fallita a impugnare l’atto impositivo emesso nei confronti di quest’ultima. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che: « Qualora i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo può impugnarlo, ex art. 43 l.f., a condizione che il curatore si sia astenuto dall’impugnazione, assumendo un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di detto stato di inerzia comporta, per il fallito, il difetto della capacità processuale di impugnare l’atto
impositivo, vizio suscettibile di essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. » (Cass., Sez. U, 28/04/2023, n. 11287). Di conseguenza, il primo motivo di ricorso è infondato.
7.1. Tuttavia, è necessaria una precisazione: dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’odierna parte ricorrente abbia eccepito il difetto di legittimazione passiva all’udienza di discussione davanti alla CTR (v. pag. 5) . Quest’ultima, pronunciandosi su tale questione, ha ritenuto indispensabile e insostituibile la comunicazione formale dell’evento da parte del procuratore ai sensi e per gli effetti dell’art. 300 cod. proc. civ. , rilevando che: « la predetta norma esclude un diretto automatismo tra la perdita della capacità di stare in giudizio e l’interruzione del processo in quanto richiede che, a tal fine, vi sia la comunicazione formale del procuratore della parte divenuta incapace, così che, in assenza di tale comunicazione l’iter processuale prosegue come se la parte continuasse ad essere capace, non essendo sufficiente all’effetto interruttivo la pura conoscenza dell’evento.»
Nessuno dei profili di ricorso in cassazione ha attinto tale statuizione, con la conseguenza che il difetto di legittimazione del liquidatore della società estinta -anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014 -non può essere rilevato ex officio in questa sede. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che: « La decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio. » (Cass., Sez. U., 20/03/2019, n. 7925).
Il terzo motivo è inammissibile, sia perché funzionale a una valutazione di merito avulsa dal sindacato di legittimità della presente corte, sia perché la ricorrente non illustra i profili di illegittimità della sentenza posti a fondamento del motivo di ricorso.
Il secondo motivo è fondato. Con riferimento alla sentenza n. 153/17/03 precedentemente intervenuta tra le stesse parti si legge nella pronuncia impugnata: « Trattasi di contestazioni di merito analoghe a quelle di cui agli avvisi di accertamento oggetto del presente contenzioso fondate sull’esito dello stesso processo verbale di constatazione, disconosciute con la richiamata sentenza n. 153/17/03, passata in giudicato, la cui statuizione non può che riflettersi anche sul presente giudizio.»
Con tale argomentazione la sentenza impugnata non si è attenuta a quanto precisato da questa Corte in materia di giudicato esterno e cioè che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass., 07/12/2021, n. 38950).
Oltre al richiamo alla precedente sentenza inter partes (v. supra ), dalla lettura degli ulteriori riferimenti contenuti nella motivazione della sentenza impugnata non risulta quali siano gli elementi di continuità tra i singoli periodi di imposta dai quali è stata tratta la conclusione della vincolatività di quanto accertato nella sentenza
della CTR n. 153/17/03 passata in giudicato. Sono stati fatti generici riferimenti alle sopravvenienze attive, a costi dedotti negli esercizi precedenti risultati insussistenti, di per sé non riconducibili a poste contabili destinate a ripetersi nel corso dei singoli periodi di imposta. In relazione ai rapporti contrattuali esaminati non è stato, parimenti, precisato perché i risultati rilevati in un determinato esercizio presentassero elementi di plausibilità anche in relazione agli esercizi successivi.
Alla luce di quanto sin qui rilevato deve essere accolto il secondo motivo e rigettati gli altri due motivi di ricorso. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo e rigetta gli altri motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 08/11/2024.