Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19260 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19260 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4371 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante legale pro tempore , NOME COGNOME nella loro qualità di ex soci della RAGIONE_SOCIALE , cessata in data 16/10/2017, rappresentati e difesi, per procura
Oggetto: TRIBUTI -rimborso IVA -diniego -giudicato esterno
speciale in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 814/10/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado de ll’EMILIA -ROMAGNA, depositata il 21/08/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in data 26/01/2010 e 01/03/2010 emise , ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, due note di credito a storno di due fatture emesse il 12 e 30 dicembre 2008 per acconti su due contratti preliminari di acquisto di beni immobili successivamente risolti consensualmente. All’esito di tale operazione, essendo venuta a vantare un credito IVA, la predetta società avanzò istanza di rimborso all’amministrazione finanziaria che la respinse per violazione del termine annuale previsto dal comma 3 del citato art. 26 per l’emissione di nota di variazione. La società contribuente propose ricorso avverso il diniego di rimborso che venne rigettato dalla CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Piacenza con sentenza poi confermata dalla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) dell’Emilia -Romagna con sentenza n. 1075/08/2019 del 17/05/2019, non impugnata e quindi divenuta definitiva.
Con successiva istanza del 15/12/2011, la società contribuente avanzò all’Agenzia delle entrate richiesta di rimborso del medesimo credito ai sensi dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Maturato il silenzio-rifiuto, la contribuente propose ricorso che venne rigettato dalla CTP di Piacenza. L’appello proposto avverso tale statuizione venne parzialmente accolto dalla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna con la sentenza in epigrafe indicata.
3.1. Secondo i giudici di appello il precedente giudicato intervenuto tra le parti non faceva stato in quel giudizio in quanto inidoneo a precludere il ricorso della parte contribuente alla procedura di rimborso di cui all’art. 21 citato. In ossequio, poi, al principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 10939 del 2015, secondo cui « l’inottemperanza dell’emittente agli adempimenti richiesti dall’art. 26 ult. cit. per provvedere alla correzione od all’annullamento della fattura erroneamente emessa, non può ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell’IVA indebita versata in eccedenza, laddove, con accertamento in fatto riservato al Giudice di merito, risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale » (sentenza, pag. 5), si riconosceva alla società contribuente il diritto al rimborso del minor importo di 96.980,14 euro, sussistendo il predetto rischio per la differenza di 22.109,86 euro.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replicano gli intimati con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente premette che la società RAGIONE_SOCIALE era cessata in data 16/10/2017 e che, essendo decorso il quinquennio dalla cancellazione e non operando l’ultrattività di cui all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, ha proposto il ricorso nei confronti di tutti gli ex soci dalla società cessata, in ossequio al principio affermato da Cass. n. 5605 del 2021.
Con il primo motivo la ricorrente deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. per avere i giudici di appello erroneamente escluso l’efficacia di giudicato alla
sentenza irrevocabile della medesima Corte di giustizia tributaria di secondo grado n. 1075/08/2019 emessa tra le stesse parti, che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di rimborso dello stesso tributo chiesto successivamente a rimborso ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 ed oggetto del presente giudizio.
L’eccezione di inammissibilità del motivo per mancanza di indicazione del tempo, del modo e del luogo di produzione nel giudizio d’appello della sentenza costituente giudicato esterno, che ha intrinseca natura di documento (Cass. n. 21560 del 2011, Cass. n. 12568 del 2014 e Cass. n. 7481 del 2024), è infondata e va rigettata atteso che sulla questione della regolarità della produzione della predetta sentenza nel giudizio di appello, quanto a forma (con attestazione del passaggio in giudicato) e tempestività (nel termine di cui al combinato disposto dagli artt. 32 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992), nella sentenza qui impugnata non vi è alcuna statuizione e nemmeno la controricorrente ha proposto al riguardo, come era suo onere, impugnazione incidentale condizionata per far valere l’eventuale error in procedendo in cui era incorso il giudice di merito, atteso che l’interesse del la ricorrente è soltanto quello di far valere l’erroneità della statuizione di esclusione dell’efficacia di giudicato di quella sentenza.
Nel merito il motivo è fondato.
Va premesso, al riguardo, che con sentenza n. 1075/08/2019 depositata in data 31/05/2019 la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) dell’Emilia -Romagna ha pronunciato tra le stesse parti (RAGIONE_SOCIALE, all’epoca non ancora cessata, ed Agenzia delle entrate) e sulla medesima questione, ovvero sul rimborso richiesto dalla società contribuente in relazione a fatture regolarmente registrate ma successivamente annullate con note di variazione emesse ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 e portate in detrazione in esito alla risoluzione consensuale dei contratti
preliminari cui le fatture annullate si riferivano. In quel caso il credito fu richiesto a rimborso in sede di dichiarazione annuale; nel presente giudizio, il medesimo credito è stato oggetto di richiesta di rimborso ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/92.
5.1. Va premesso, in diritto ed in termini generali, che la problematica della configurabilità, nel processo tributario, dell’istituto del giudicato esterno e della conseguente efficacia espansiva, trova come punto di riferimento la sentenza delle Sezioni Unite, Cass. 16.6.2006, n. 13916: nello specifico, la Corte ha affermato che « qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo … tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato » (così in Cass. n. 23724 del 2023).
Orbene, come correttamente rilevato da Cass. n. 28528/2023, « questa Corte ha valorizzato a più riprese l’esigenza di salvaguardare, proprio attraverso l’intangibilità del giudicato, la certezza dei rapporti ormai esauriti (Cass. n. 6486 del 2000; Cass. n. 3745 del 2002;
Cass., sez. un., n. 3046 del 2007; Cass. n. 19495 del 2008). L’esigenza di stabilità dei rapporti è stata sottolineata anche dalla Corte Cost. (v. tra le altre Corte Cost. n. 330 del 1995), nonché più volte ribadita anche dal Giudice sovranazionale che, in materia fiscale, ha ritenuto pienamente compatibili con l’ordinamento comunitario la fissazione, da parte degli Stati membri, di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata (Corte Giust., 16 dicembre 1976, C-33/76, Rewe, punto 5; Corte Giust., 1° luglio 1997, C-261/95, COGNOME, punto 28; Corte Giust., 17 luglio 1997, C-90/94, RAGIONE_SOCIALE; Corte Giust., 17 novembre 1998, C228/96, RAGIONE_SOCIALE; Corte Giust., 21 gennaio 2010, C 472/08, RAGIONE_SOCIALE ».
Ciò precisato, va osservato che nel caso in esame viene in rilievo il giudicato sostanziale che trova la sua fonte normativa nell’art. 2909 cod. civ., che, a differenza del giudicato formale di cui all’art. 324 cod. proc. civ., stabilisce i limiti oggettiv i (il riferimento è all’oggetto del processo e a quanto dedotto e a quanto in esso deducibile) e soggettivi (il riferimento è alle parti) degli effetti sostanziali, ormai non più soggetti a modificazione, determinati dalla sentenza. E quello che viene invocato è il giudicato esterno che si forma in un diverso giudizio, tra le stesse parti ed avente lo stesso oggetto e ciò anche se il giudizio successivo ha delle finalità diverse (Cass., 29 dicembre 2021, n. 41895, Cass., 1° luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2012, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916).
7.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, con continuità rispetto al principio affermato dalle Sezioni unite nella citata sentenza n. 13916 del 2006, sussiste giudicato esterno qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato; in tal caso,
l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. Cass., 29 dicembre 2021, n. 41895, in motivazione; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37). Più specificamente, il giudicato esterno impedisce la proposizione di un nuovo giudizio caratterizzato dalla identità dei predetti elementi (soggetti e oggetto) ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche nell’ipotesi in cui il medesimo si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un dato che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto, sicché il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del «ne bis in idem», corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Cass., 11 gennaio 2022, n. 571; Cass., 26 luglio 2021, n. 21375).
7.2. Dunque, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto e tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel
principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale «norma agendi» cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta (Cass., 24 maggio 2022, n. 16684; Cass., 27 ottobre 2021, n. 38950; Cass., 20 febbraio 2020, n. 15171; Cass., 20 dicembre 2018, n. 32957).
7.3. A ciò aggiungasi che l’effetto espansivo del giudicato esterno si esplica non solo rispetto agli atti impositivi in senso stretto, ma anche in caso di istanza di rimborso, fermo, rispetto a quest’ultima, il limite derivante dal maturare dell’eventuale decadenza o
prescrizione, trattandosi di fatti ulteriori di carattere impedivo ed estintivo rispetto al diritto al rimborso (Cass. n. 16684 del 2022).
7.4. Pertanto, nel caso di specie, sussiste l’invocato giudicato formatosi tra le stesse parti ed in relazione alla medesima questione, ovvero del diritto della società contribuente al rimborso del credito IVA « conseguente al venir meno delle operazioni imponibili (le promesse di vendita di terreno edificabile) che avevano dato causa all’emissione delle fatture n. 67 e n. 68 ed al versamento dell’Iva sugli importi pattuiti », come si sostiene nel controricorso (pag. 4), cui aveva fatto seguito l’emissione e l’annotazione in contabilità di note di variazione dirette ad annullare quelle fatture.
7.5. A fondamento della decisione impugnata, la CGT2 ha sostenuto che «la documentazione fiscale inerente alla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE -recte , inerente alla RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE ossia alla promittente acquirente-, allegata dall’appellante nel corso del processo di primo grado, consenta di superare in gran parte il rischio di perdita del gettito fiscale. Come si evince dal registro Iva acquisti, allegato n. 1 alla memoria depositata dall’appellante in primo grado, i n data 14/5/2010 venivano registrate le note di accredito emesse nel 2010 dalla società appellante rispettivamente il 26 gennaio e il 1° marzo che riportano, con segno negativo, l’imposta complessiva di € 119.000 (89.000 +30.000). Si rileva che l’annotazione della fattura non utilizzata a fini fiscali e riportata nel registro acquisti in modo tale da evidenziare il diritto alla detrazione, è una delle modalità che la RAGIONE_SOCIALE indica come idonea a eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale ».
Quindi, ad avviso dei giudici di appello, a fondamento dell’accoglimento parziale dell’istanza di rimborso v’è la considerazione che il rischio di perdita di gettito fiscale è stato eliso dalla registrazione delle due note di accredito del 2010.
7.6. V’è giudicato, tuttavia, che l’emissione di quelle note di credito fosse tardiva, e quindi inidonea a consentire al cedente/prestatore di procedere alla detrazione, ossia all’annullamento del debito d’imposta da cui era gravato quale soggetto passivo (in termini, v Cass. n. 5421 del 2025, pag. 11); e il giudicato è giustappunto quello prodottosi con la definitività della sentenza n. 1075/08/2019 della -alloraCTR dell’Emilia -Romagna.
7.7. La definitiva inoperatività del meccanismo previsto ex art. 26 del d.P.R. n. 633/72 è destinata a riverberarsi anche sull’altro soggetto dell’operazione , perché si tratta di due facce di una stessa operazione economica, che devono essere valutate in modo coerente (Corte giust. in causa C-396/16, T-2, punto 35).
7.8. È proprio in virtù di quel meccanismo, difatti, che dall’altro lato il cessionario/committente, non avendo più titolo per godere della detrazione, è tenuto a neutralizzarla : in base al testo all’epoca vigente dell’art. 26 del d.p.R. n. 633/72, «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte…il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.
Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti … ».
7.9. È ben evidente che la questione della legittimità della detrazione operata ex art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 poteva essere
accertata soltanto in quel giudizio (avente ad oggetto il provvedimento di diniego del rimborso fondato sull’emissione di note di variazione), ma non poteva essere nuovamente vagliata nel presente giudizio, neppure ai fini dell’ammissibilità del ricorso alla procedura di rimborso ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
7.10. In relazione a tale profilo, seppur sia indubbio che, « In ipotesi di indebito tributario in materia di IVA, il ricorso da parte del contribuente alla procedura di variazione ex art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 non è obbligatorio, ma è rimesso alla sua libera scelta, potendo egli sempre optare per l’esercizio dell’azione generale di rimborso » di cui all’art. 21 comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 14239/2017; più recentemente, Cass n. 24562/2022), è anche vero che il contribuente, se invece di effettuare la scelta per l’una o l’altra di dette modalità, le percorre infruttuosamente entrambe (come nel caso di specie), così da dover reagire giudizialmente avverso i provvedimenti di rigetto, assume su di sé il rischio di una pronuncia giudiziale irrevocabile intervenuta nell’ambito di uno dei due, per l’efficacia di giudicato che questa ha nell’altro giudizio, aventi entrambi ad oggetto il medesimo oggetto, costituito dal diritto del contribuente al rimborso dell’IVA relativa alla medesima operazi one commerciale.
Da tali ultime considerazioni discende l’ assorbimento del secondo motivo di ricorso con cui la ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto il procedimento di variazione delle operazioni imponibili di cui al citato art. 26, alternativo e fungibile all’azione generale di rimborso di cui al pure citato art. 21.
L’accoglimento del primo motivo e la conseguente applicazione del giudicato esterno comporta la cassazione della
sentenza impugnata e la decisione nel merito della causa ai sensi dell’art. 384, secondo comma, ultima parte, cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con rigetto dell’originario ricorso di parte contribuente.
In applicazione del principio della soccombenza, i controricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese di legittimità nella misura liquidata in dispositivo mentre vanno compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso di parte contribuente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.900,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025.