Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33588 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33588 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
Oggetto:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23865/2023 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso nel presente giudizio, in virtù di procura speciale alle liti in calce del presente atto, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME (PEC: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 2909/11/23 depositata in data 04/05/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–COGNOME NOME proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento TF503AE01854/2020 relativo ad IVA, IRES e IRAP per l’anno d’imposta 2015 emesso dall’Agenzia delle Entrate, D.P. II di Napoli anche nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di cui costui veniva individuato come legale rappresentante e coobbligato in solido delle somme dovute dalla società;
la CTP rigettava il ricorso; appellava il contribuente;
la CTR con la sentenza impugnata ha accolto il gravame ritenendo l’assenza di elementi che consentano di far ritenere provata la responsabilità del COGNOME per il periodo contestato (anno 2015);
ricorre a questa Corte l’Amministrazione finanziaria con atto affidato a tre motivi di gravame;
Considerato che:
il primo motivo deduce la violazione del giudicato esterno e degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; si censura la violazione del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 4463/36/2022 depositata l’11/04/2022 e non ulteriormente impugnata (come attestato dalla certificazione in atti): secondo parte ricorrente la CGT di primo grado di Napoli ha erroneamente deciso il ricorso proposto da NOME COGNOME contro l’avviso di accertamento n. TF501AE02795/2020 per l’anno d’imposta 2015, con il quale l’Ufficio gli contestava l’avvenuta percezione degli utili quale socio per l’accertamento emesso nei confronti della società ‘RAGIONE_SOCIALE Sempre secondo il ricorrente, dovevasi prendere atto del giudicato esterno ridetto, che rileva in modo decisivo sul presente processo, poiché fa stato sul coinvolgimento del NOME COGNOME nelle vicende societarie per l’anno di imposta 2015, essendo oramai acclarata definitivamente l’accertata partecipazione agli utili illecitamente prodotti
dalla RAGIONE_SOCIALE con altrettanto definitivo accertamento processuale dei fatti rilevanti e pregiudicanti quelli dell’attuale processo; – il motivo è infondato;
Cons. Est. NOME COGNOME 3 – va premesso che costituisce invero consolidato indirizzo di questa Corte il principio secondo cui, con riguardo alla materia tributaria, “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una
pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta” (Cass. Sez. Un. 16 giugno 2006, n. 13916);
– si è in particolare precisato che “l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (Cass. n. 6953 del 2015, n. 2433 del 2013)’, Cass. sez. V, 28.6.2017, n. 16067.
– invero, il ridetto invocato giudicato riguarda la responsabilità per tributi in capo al COGNOME NOME quale socio al 95% della società RAGIONE_SOCIALE percipiente -in forza della c.d. ristretta base societaria, che lo vede in sostanza aver qualifica quasi di c.d. ‘socio unico’ -i redditi sottratti all’imposizione a livello societario e poi appresi a livello della compagine sociale senza transito degli stessi nelle scritture contabili e quindi in dichiarazione;
diversamente, nel presente giudizio si controverte in ordine alla sua responsabilità, come evidenziato dalla sentenza della CTP riportata in ricorso per cassazione che lo individua come soggetto che ha ‘…agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio’;
con altrettanta chiarezza, la sentenza il cui giudicato si invoca riferisce invece che ‘…l’atto impugnato indica numerosi elementi informativi che consentono di presumere l’esistenza di utili extracontabili imputabili anche al Morrone -oltre che alla società e agli altri amministratori di fatto- in proporzione alla sua partecipazione nel 2015 (era socio al 95%) …’;
ancora, essa sentenza ritiene da escludersi che ‘…COGNOME, che ha operato quale rappresentante della società a ristretta base azionaria cui è contestata la percezione di utili extracontabili ‘, abbia ‘… fornito la prova contraria, producendo elementi idonei a contestare gli esiti delle indagini e atti a superare la presunzione a base dell’avviso di accertamento’;
difettano quindi i requisiti per l’applicazione al presente giudizio dell’invocato giudicato;
il secondo motivo si incentra sulla violazione degli artt. 2727, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.: si censura la sentenza per violazione degli artt. 2727 e seguenti c.c. in materia di prova per presunzioni in quanto ritiene l’Amministrazione ricorrente che la Corte di merito di secondo grado abbia errato nella valutazione dei fatti e nella delibazione delle prove avendo escluso immotivatamente tutti gli indizi qualificati che avrebbero permesso di operare legittime presunzioni su cui fondare la prova anche per l’annualità in contestazione;
il motivo è inammissibile;
esso sollecita la Corte a un riesame del materiale probatorio in atti e quindi a una nuova valutazione delle prove, operazione non consentita a questo Giudice di Legittimità;
il terzo motivo censura la pronuncia gravata per omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; secondo parte ricorrente la sentenza avrebbe espresso di motivazione viziata laddove ha annullato l’accer tamento per non aver allegato e provato l’Ufficio i fatti storici noti posti a fondamento della presunzione semplice di corresponsabilità nella frode del COGNOME (socio e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE) con riferimento all’anno di imposta oggetto dell’accertamento, il 2015;
alla CGT sarebbe sfuggito, secondo il ricorrente, il fatto storico che nell’anno 2015 l’iva evasa sull’ammontare degli acquisti intracomunitari è stata pari ad €. 382.842,00, su un imponibile di €.3.828.423,00, come risulta a pag. 56 del PVC redatto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; inoltre, sarebbe stato del tutto omesso anche il fatto storico che nella ricostruzione dei redditi e ricavi evasi dalla società i verbalizzanti hanno considerato, oltre al margine commerciale conseguito negli anni 2016 e 2017, anche quello realizzato nel 2015, valutando le operazioni illecite commesse dal COGNOME; ancora, sarebbe risultato omesso il fatto storico costituito dalle vendite in evasione per l’anno 2015 pari ad € 4.519.836,19 nelle quali l’amministratore COGNOME ha avuto un ruolo; infine, pure sarebbe stato omesso il fatto storico del rinvenimento presso i locali della RAGIONE_SOCIALE siti in Carinaro (CE) di appunti manoscritti afferenti ad una contabilità parallela riferibile a false operazioni commerciali intrattenute dall’amministratore COGNOME insieme ad altro soggetto, NOME COGNOME, nel corso dell’anno 2015;
il motivo è inammissibile;
Cons. Est. NOME COGNOME 6 – tutti tali elementi -idonei a fornire prova indiziaria della sussistenza di operazioni sottratte a imposizione -sono circostanze di fatto, peraltro in parte esaminate della CTR, che vengono nuovamente sottoposte, nel
tentativo di ottenere una revisione del meritus causae , a questa Corte, alla quale detta operazione non è consentita;
comunque, costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133);
non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nè le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152) né gli elementi istruttori; neppure una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439 ma anche Cass. V, n. 34288/2019);
nel caso di specie la parte ricorrente, pur avendo fatto valere formalmente nel motivo l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, mira in realtà ad ottenere una rivisitazione e diversa valutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di Legittimità perché di esclusiva spettanza del giudice di merito; di qui l’inammissibilità della censura (in argomento, tra moltissime, si rimanda a Cass. Sez. Un., Sentenza n. 34476 del 27/12/2019);
in conclusione, quindi, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 13.000,00 oltre a 15% per spese generali, CPA e iva come per legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024.