Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19129 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19129 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24757/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 453/2022 depositata il 21/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La società RAGIONE_SOCIALE in fallimento impugnava avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per IRES, IRAP (relative al 2010) e recupero di IVA (in relazione al 2011).
Il Fallimento impugnava con separati ricorsi e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Verona, riuniti i giudizi, respingeva il ricorso contro il recupero di IRES e IRAP e accoglieva con riferimento all’IVA.
Con la sentenza in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Veneto, a sua volta, respingeva l’appello erariale e accoglieva l’appello incidentale della Curatela.
I giudici d’appello ritenevano gli atti impugnati viziati da lesione del contraddittorio in quanto non preceduti da un « confronto preventivo sulla situazione economica e fiscale della società », come previsto dall’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/73, introdotto dal d.lgs. n. 358/1997 e abrogato dall’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 128/2015, che prevede una preventiva richiesta di chiarimenti da inviarsi al contribuente mediante raccomandata. L’eventuale emissione degli atti accertativi doveva essere preceduta da tale confronto sugli elementi rilevanti: gli immobili della società erano destinati non al mero godimento da parte dei soci ma all’espletamento di attività economica « frustrata » sia dalla crisi del settore edilizio sia dai problemi finanziari della società; il test di operatività era stato superato con l’inserimento degli immobili tra le rimanenze, contestato dall’Ufficio che aveva considerati quei beni come immobilizzazioni.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate fondato su due motivi.
Non resiste con controricorso il Fallimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art.360 n.3 c.p.c ., «violazione e/o falsa applicazione dell’art.12, comma 7 L.212/2000, dell’art.30 L.724/1994, dell’art.2697 c.c. e dell’art.2909 c.c. (giudicato esterno da Cass. 15239/2020)» .
1.1. Osserva la ricorrente che, con riferimento al distinto diniego del rimborso del credito IVA per il 2009, il contenzioso era
stato definito con sentenza n. 15239/2020 di questa Corte che aveva respinto il ricorso contro la sentenza n. 291/2018 della CTR del Veneto, la quale aveva accertato che si trattava di società non operativa, che gli immobili erano stati acquistati dalla RAGIONE_SOCIALE, società controllante la RAGIONE_SOCIALE, che sui terreno acquistati non era stata svolta alcuna attività, che il test di operatività era stato superato solo perché tali beni erano stati inseriti tra le rimanenze.
1.2. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, la CTR aveva erroneamente applicato l’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973, relativo all’abuso del diritto, mentre la procedura di cui all’art. 30 l. n. 724/1994 non richiede alcun contraddittorio con il contribuente; quindi, con riferimento ai tributi non armonizzati non era necessario il contraddittorio; con riguardo all’IVA, invece, vi era stato un contraddittorio, attraverso inviti a comparire ed acquisizione di documentazione, e comunque esso non avrebbe portato elementi nuovi riguardo a quanto già a conoscenza dell’Ufficio e riversato nel precedente giudizio relativo al 2009.
1.3. E’ fondata la questione del giudicato esterno relativamente all’IVA. In proposito deve rilevarsi che il tema del giudicato esterno e della conseguente efficacia espansiva trova come punto di riferimento la sentenza delle Sezioni Unite, Cass. 16.6.2006, n. 13916, la quale ha affermato che « qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo
scopo ed il petitum del primo … tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato » (Cass. sez. un., n. 13916 del 2006).
1.3.1. Occorre altresì ricordare che « a) il processo tributario non è un giudizio sull’atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, anche all’accertamento del rapporto; b) si deve escludere che il giudicato (salvo che il giudizio non si sia risolto nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione) esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili -nei limiti della «specificità tributaria» -da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile; c) se è vero che l’autonomia dei periodi d’imposta comporta l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, è altrettanto vero che una siffatta indifferenza trova ragionevole giustificazione solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo (ad es. la capacità contributiva, le spese deducibili); vi sono, peraltro, anche elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta, quali le qualificazioni
giuridiche (es. “ente commerciale”), assunte dal legislatore quali elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione per una pluralità di periodi d’imposta, ovvero la rendita catastale e la spettanza di una esenzione o agevolazione pluriennale; d) va quindi escluso che il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta sia idoneo a «fare stato» per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, bensì solo in relazione a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo; e) nella fattispecie ivi considerata, concernente una esenzione pluriennale, il tempo costituisce un elemento referente della fattispecie medesima, assumendo la pluriennalità carattere costitutivo dell’esenzione (o agevolazione), in quanto il relativo arco temporale di estensione è stabilito in ragione di una considerazione unitaria di un insieme di periodi di imposta, trattati sostanzialmente come una sorta di maxiperiodo », Cass., n. 8138 del 2018).
1.3.2. Si è così affermato che il principio del giudicato esterno non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi, si giustifica solo in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo, e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente sì da potersi, a tal fine, considerare gli stessi come unicum e non come differenti periodi frazionati (cfr. Cass. n. 38950
del 2021; Cass. n. 15171 del 2020; Cass. n. 14509 del 2016; Cass. n. 4832 del 2015; Cass. n. 16684 del 2022).
1.3.3. In questo caso il diniego del rimborso IVA, tanto per il 2009 quanto per il 2011, verte sulla medesima situazione fattuale relativa all’acquisto di due terreni dalla società controllante RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass. n. 15239 del 2020 e ricorso per cassazione nel presente giudizio pagg. 3 -4); nel giudizio relativo al credito IVA per il 2009 si è accertata, con forza di giudicato, « l’evidente antieconomicità delle operazioni immobiliari poste in essere, dal momento che gli immobili furono comprati ad un prezzo molto più alto rispetto a quello al quale furono successivamente posti in vendita circa due anni dopo dalla Curatela » e si è concluso che « tale discrasia dimostra che le compravendite dei terreni furono effettuate per regolare rapporti interni al gruppo e configurare nuovi assetti societari e non per svolgere l’attività d’impresa asseritamente programmata, consistente nella costruzione di immobili destinati alla vendita », negandosi così il diritto di detrazione e, quindi, il rimborso dell’IVA.
1.3.4. Si tratta di accertamenti aventi rilievo oltre l’ambito temporale oggetto del giudizio cui si riferiscono secondo il principio per cui « in tema di giudicato esterno, se uno dei due giudizi, tra le stesse parti e riguardanti il medesimo rapporto giuridico, è definito con sentenza passata in giudicato, poiché l’accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause forma la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della decisione, di detto accertamento è precluso il riesame; tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si sono verificati al
di fuori dello stesso non opera rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente » (Cass. n. 8291 del 2025).
1.3.5. Tale giudicato andrà valutato alla luce del mutamento della cornice normativa determinato dalla decisione della Corte di giustizia (sentenza 7 marzo 2024, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -341/22), la quale ha stabilito che « l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità … ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle ». Pertanto, l’art. 30 l. n. 724 del 1994, fondandosi su una ‘supposizione’, ossia su una ‘presunzione’ estranea alla disciplina IVA in cui il diritto di detrazione restare ancorato alla ‘realtà effettiva’, va disapplicato, non potendosi far derivare la privazione del diritto di detrazione dall’entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso. A questa stregua tale diritto va riconosciuto se: a) nel corso del periodo d’imposta controverso, in relazione al quale l’autorità tributaria ha reputato la società non operativa, la stessa abbia effettivamente esercitato un’attività economica (indipendentemente dallo scopo o dai risultati), intesa come comprensiva di ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità; b) la società medesima abbia impiegato i beni e servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dai risultati delle attività economiche; c) le operazioni non si inseriscano in una frode (connotata anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe
dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso, inteso anche, come si esprime la sentenza della CGUE (v. par. 33 -36), quale ‘realizzazione di una costruzione artificiosa’ (Cass. n. 33424 del 2024; Cass. n. 24416 del 2024; Cass. n. 24442 del 2024; Cass. n. 22249 del 2024). Con riguardo ai punti a) e b), inoltre, va sottolineato che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (v. Cass. n. 25635 del 2022; Cass. n. 23994 del 2018).
1.4. E’ fondato anche l’altro profilo, che censura la sentenza impugnata nella parte in cui si è affermata l’illegittimità dell’accertamento a causa del mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale nei termini previsti dall’art. 36 bis, comma 4, d.P.R. n. 600/1973.
1.4.1. Questa Corte ha già osservato che « a seguito dell’entrata in vigore della legge nr. 223/2006 che ha modificato l’art 30 l. 724/1994 la procedura del test di non operatività non richiede alcun contraddittorio con il contribuente » (Cass. n. 25266 del 2020, non massimata, punto 3.14.). Il previo contraddittorio, già imposto dall’originario art. 30, comma 4 l. n. 724/94, deve difatti intendersi senz’altro abrogato, essendo svolta dall’istanza di interpello la funzione di presentazione delle ragioni del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento. La modifica è coerente con la nuova disciplina, introdotta con la legge n. 296/2006 (v. art.1 comma 109 che ha espunto l’inciso « salvo prova contraria » dal primo comma dell’art. 30, cit.), secondo cui la “non operatività” della società scaturisce automaticamente dal mancato superamento del test e gli effetti del reddito minimo discendono direttamente dal testo normativo, indipendentemente dall’intervento dell’ufficio impositore. Il richiamo all’art. 37 bis d.P.R. n.600/1973 non è
dirimente nella fattispecie in esame, in quanto i commi 4 e 8 non prevedono la possibile compresenza e cumulabilità in un’unica fattispecie di un previo contraddittorio e di un’istanza di interpello, ma riservano il primo all’ipotesi di disconoscimento di vantaggi privi di valide ragioni economiche, con conseguente accertamento di attività elusiva, e il secondo alla disapplicazione di norme limitatrici di vantaggi (antielusive), richiesto dal contribuente che dimostri l’inesistenza di effetti elusivi nel suo caso. L’unica parte della norma operante per le società di comodo è quindi il comma 8 sulle modalità di presentazione dell’istanza disapplicativa; solo prima delle modifiche introdotte ai sensi del previgente art. 30, comma 4, l’Agenzia delle entrate doveva inviare una richiesta di chiarimenti, il cui mancato invio determinava la nullità del successivo avviso di accertamento. Il nuovo sistema, invece, prevede che sia la società contribuente che, se vuole sfuggire alle strette maglie della presunzione legale sulle società “di comodo”, ha la facoltà (non l’obbligo) di avviare la procedura di disapplicazione, restando diversamente esposta all’accertamento ex lege , sempre fatta salva la possibilità di prova contraria nei rigorosi limiti dettati dall’art. 30 novellato (Cass. n. 4445 del 2022).
1.4.2. Valgono, quindi, le regole generali, secondo cui, come chiarito dalle Sezioni Unite, « in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato
tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto » ( cfr . Cass. sez. un., n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017). Non trattandosi di verifica fiscale ma accertamento cd. ‘a tavolino’, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale soltanto con riferimento alle imposte armonizzate, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (tra le ultime, Cass. n. 37234 del 2022), dovendosi altresì precisare, che « le modalità per la sua realizzazione non sono a forma vincolata, essendo sufficiente assicurare l’effettività dello stesso, indipendentemente dagli strumenti in concreto adottati, quali il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come l’inoltro di questionari ed il riconoscimento dell’accesso agli atti » (Cass. n. 18489 del 2024).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art.360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.36 D.lgs.546/1992 e dell’art.132 n.4 c.p.c., motivazione apparente o comunque perplessa, per aver la sentenza apoditticamente ritenuto l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale senza tener conto delle doglianze formulate dall’Amministrazione appellante.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
2.3. In questo caso, come si desume anche dalla superiore espositiva del fatto, la motivazione attinge il c.d. ‘minimo
costituzionale’. Va altresì ribadito come il giudice di merito non sia tenuto a dar conto dell’esame di tutte le prove prodotte o acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, ma possa limitarsi ad esporre sinteticamente gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione e ad evidenziare, con motivazione logica e adeguata, le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo invece reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass., n. 961 del 2015; Cass., n. 22801 del 2009; Cass., n. 3601 del 2006; Cass. n. 520 del 2005).
Conclusivamente, accolto il primo motivo e rigettato il secondo, la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.