Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6879 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6879 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2008/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE incorporante la società RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, come da procura speciale unita al ricorso per cassazione, dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
Pec:EMAILordineavvocatiromaEMAILorg;
EMAIL;
–
ricorrente – contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 4058/2021, depositata in data 10 novembre 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE rilevando che la dotazione di filtro antiparticolato eseguita su veicoli immatricolati come euro 2 non era s ufficiente a consentire alla parte di usufruire dell’agevolazione fiscale richiesta non comportando una variazione della categoria di classificazione del mezzo; in particolare, il d.m. n. 39 del 2008 aveva disposto espressamente che l’installazione di sistemi idonei alla riduzione di detta massa determina un diverso inquadramento per i veicoli «ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato» e non comportava, pertanto, una completa equiparazione di tali veicoli a quelli di categoria euro 3 o superiore (come riportato anche sulla carta di circolazione dei veicoli); la classificazione in categoria euro 3 e superiore, non derivava soltanto dal rispetto dei limiti stabiliti per l’emissione della massa di particolato (PM10), ma poneva dei limiti anche relativi alle emissioni di ossido di carbonio e di ossido di azoto e, tra l’altro, proprio il parametro dell’ossido di azoto per i motori diesel era stato introdotto con la direttiva comunitaria 98/69 per la categoria euro 3, mentre non era previsto per la categoria euro 2; non era neppure consentita una interpretazione estensiva della norma
agevolativa, avente natura eccezionale e per questo non applicabile oltre ai casi esplicitamente previsti.
I giudici di secondo grado, sul secondo motivo di gravame, hanno osservato che le disposizioni nazionali non si ponevano in contrasto con quelle europee e che la direttiva 2003/96/CE, prevedendo all’art. 7 che gli Stati membri potevano introdurre un trattamento di favore per il gasolio commerciale, lasciavano facoltà di procedere ai legislatori nazionali, non imponendo alcun obbligo, con la conseguenza che la stessa non poteva risultare vincolante e che la stessa non aveva una portata self executing , presupponendo una regolazione specifica interna.
La società RAGIONE_SOCIALE incorporante la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione (o violazione) dell’art. 5 del d.m. 25 gennaio 2008, n. 39, per avere la sentenza impugnata ritenuto che tale norma, che prevedeva i requisiti minimi per l’omologazione dei filtri antiparticolato, implicasse che non vi fossero filtri antiparticolato che oltre a raggiungere i requisiti minimi potessero ridurre altri inquinanti, oltre al particolato, così da far raggiungere al veicolo una categoria ambientale superiore alla euro 2. La motivazione della sentenza impugnata aveva fatto discendere la mancata equiparazione dei veicoli della società a quelli euro 3 o euro 5 dal d.m. 25 gennaio 2008, n. 39, che aveva ad oggetto i presupposti per l’omologazione dei filtri antiparticolato; si trattava di una falsa applicazione di tale normativa
tecnica, di rango secondario, che non aveva alcuna rilevanza fiscale e che, piuttosto, confermava la riduzione degli agenti inquinanti proprio con l’applicazione del filtro antiparticolato. Il d.m. 25 gennaio 2008, n. 39, in realtà, non era di alcun aiuto alla interpretazione o all’applicazione della norma fiscale, né escludeva che per mezzo dell’applicazione di un sistema FAP omologato potessero essere ridotti altri inquinanti, ovvero, nel caso di specie, le emissioni gassose e abbattuta l’opacità dei fumi , come dimostrato in giudizio con la perizia di parte prodotta nel giudizio di primo grado e la scheda tecnica dei FAP montati dai veicoli della società. Era, in ultimo, privo di rilievo l’argomento sostenuto nella sentenza impugnata sull’interpretazione estensiva di una pretesa agevolazione, in quanto, la società non aveva chiesto alcuna agevolazione, ma piuttosto aveva sostenuto che i propri veicoli fossero divenuti di categoria euro 3 o superiore e aveva chiesto l’applicazione di tale normativa senza alc un effetto estensivo.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Secondo il d.m. 25 gennaio 2008 n. 39, contenente il « Regolamento recante disposizioni concernenti l’omologazione e l’installazione di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato emesso da motori ad accensione spontanea destinati alla propulsione di autoveicoli », l’installazione di uno di questi sistemi riconosciuto idoneo per un tipo di motore determina, « ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato », l’inquadramento del medesimo tipo di motore nella fascia di appartenenza richiesta nella domanda di omologazione (art. 5); gli Uffici della motorizzazione civile, a richiesta dell’utenza, procedono alla visita sui singoli autoveicoli per verificare la conformità del sistema installato al tipo omologato (art. 6); « Successivamente all’effettuazione, con esito positivo, della visita di cui all’articolo 6 », gli Uffici « aggiornano la carta di circolazione dell’autoveicolo mediante l’apposizione sulla stessa di una dicitura recante la seguente annotazione: ‘Autoveicolo dotato di sistema per la riduzione della
massa di particolato, con marchio di omologazione … Ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato, è inquadrabile quale Euro…… ‘» (art. 7).
1.3 Atteso il tenore della normativa regolamentare, correttamente la Commissione tributaria regionale ha concluso che la dotazione di filtro antiparticolato eseguita su veicoli immatricolati come euro 2 non era s ufficiente a consentire alla parte di usufruire dell’agevolazione fiscale richiesta non comportando una variazione della categoria di classificazione del mezzo e altrettanto correttamente i giudici di secondo grado hanno evidenziato che il d.m. n. 39 del 2008 aveva disposto espressamente che l’installazione di sistemi idonei alla riduzione di detta massa determina un diverso inquadramento per i veicoli « ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato » e non comportava, pertanto, una completa equiparazione di tali veicoli a quelli di categoria euro 3 o superiori (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).
1.4 E’ opportuno chiarire, in proposito, che l’omologazione, come definita dall’art. 3 della direttiva 2006/46/CE è « la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti … », e che la classificazione relativa alle emissioni inquinanti dei veicoli a motore rientra nella procedura di omologazione, tanto è vero che gli Stati membri « non possono rifiutare l’omologazione CEE né l’omologazione di portata nazionale di un veicolo » se tale veicolo risponde alle prescrizioni in materia (art. 2 direttiva 70/220/CEE del Consiglio, del 20 marzo 1970; art. 2 direttiva 88/77/CEE del 3 dicembre 1987) (cfr. Cass., 22 agosto 2023, n. 25002; Cass., 11 agosto 2023, n. 24598).
1.5 Come è stato già precisato da questa Corte, le direttive che si sono succedute nel tempo, quanto alla classificazione a fini ambientali, mantengono questo collegamento con l’omologazione del veicolo e
intervengono sulle prescrizioni e i requisiti richiesti al fine di adeguare la normativa al progresso scientifico e tecnologico: da un lato, sono mutate nel tempo metodologie e criteri di controllo, in considerazione delle innovazioni intervenute nel settore automobilistico e nelle tecnologie antinquinamento, d’altro lato le misurazioni da effettuare riguardano una ampia gamma di emissioni inquinanti. Per esempio, la direttiva 1999/96/CE, indicata dal d.m. n. 39/2008 quale riferimento per la fascia «euro 3», immediatamente superiore a quella di appartenenza dei veicoli in questione («appartengono a tale fascia i motori omologati ai sensi delle direttive da 1999/96/CE a 2001/27/CE, riga A», v. art. 2), oltre ad aver previsto «nuovi cicli di prova per l’omolog azione», ha stabilito che « Le emissioni da misurare prodotte dallo scarico del motore includono i componenti gassosi (monossido di carbonio, idrocarburi totali per i motori diesel nella sola prova ESC; idrocarburi diversi dal metano per i motori diesel e a gas nella sola prova ETC; metano per i motori a gas nella sola prova ETC e ossidi di azoto), il particolato (solo motori diesel) e il fumo (motori diesel nella sola prova ELR) » (allegato III, punto 1.3). Le categorie «euro» implicano, quindi, verifiche e accertamenti che non si esauriscono nella misurazione dei livelli di emissione di particolato e sono strettamente legate allo stato tecnologico e scientifico del momento della loro introduzione; l’indicazione «veicoli di cate goria euro 2 o inferiore», di c ui all’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015, deve riferirsi, quindi, alla categoria attribuita a quel tipo di veicolo in sede di omologazione, rappresentativa della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando, ai fini della sua determinazione, l’installazione di sist emi di riduzione delle emissioni di particolato successivamente all’immatricolazione (Cass., 23 ottobre 2023, n. 29354, in motivazione).
1.6 Rafforza questa conclusione, inoltre, il fatto che l’art. 1 comma 645 citato è finalizzato al conseguimento di risparmi da destinare agli
interventi di cui ai commi 640, 647,648, 650, 651, 654, 655 e 866, tra i quali vi è quello di favorire l’acquisto di mezzi di ultima generazione e il rinnovo del parco mezzi destinati al trasporto pubblico locale e regionale (comma 866). Emerge la finalità di incentivare il rinnovo del parco automobilistico che verrebbe pregiudicata se si estendesse la sua applicazione anche a mezzi obsoleti ma modificati (cfr. Cass., 7 giugno 2023, n. 16009, in motivazione).
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 7, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2003/96/CE, in relazione all’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e 24 ter del d.lgs n. 504 del 1995, perché la definizione di «gasolio ad uso commerciale», contenuta nella direttiva, era direttamente applicabile e vincolante e non poteva essere modificata dalla normativa nazionale; la scelta opzionale del regime fiscale differente per il gasolio ad uso commerciale imponeva comunque allo Stato membro il rispetto dei limiti previsti dalla normativa euro-unitaria, mentre il legislatore nazionale aveva ristretto la fattispecie astratta con ulteriori elementi, quali appunto l’utilizzo di veico li che non fossero «di categoria euro 2 o inferiore», in tal modo creando una discriminazione non voluta dalla norma europea; ciò che era dimostrato anche dall’argomento testuale fornito dall’art. 18, paragrafo 11, della direttiva che prevedeva una deroga autorizzata, in favore dell’Italia, alla definizione di cui all’art. 7 della medesima direttiva, consentendo che per un periodo limitato (fino al 1° gennaio 2008), che fosse considerato gasolio ad uso commerciale anche quello utilizzato dai veicoli con carico massimo non inferiore a 3,5 tonnellate. In subordine, la società ricorrente formula istanza di rimessione alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE, avente ad oggetto il quesito: « Se l’art. 7 della Direttiva 2003/96/CE, che prevede la possibilità per gli Stati membri di distinguere il trattamento tributario del gasolio, utilizzato come propellente, ad uso commerciale o a uso non commerciale, debba
essere interpretato nel senso che la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» contenuta e definita nell’art. 7 non possa essere modificata dal legislatore nazionale con l’introduzione di altri e diversi requisiti ».
2.1 Il motivo è infondato, non ricorrendo alcun contrasto con la normativa sovranazionale.
2.2 In proposito, deve essere richiamato il precedente di questa Corte che ha affermato che la normativa interna di riferimento non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria 2003/96/CE e che ha statuito il seguente condivisibile principio di diritto: « Il credito d’imposta previsto dall’art. 1, comma 645, della l. n. 208 del 2015 e, successivamente, dall’art. 24 ter del TUA in favore degli autotrasportatori ivi indicati, riguardante le accise sul gasolio per autotrazione, si applica unicamente con riferimento ai veicoli catalogati nelle categorie Euro specificamente indicate dalla legge, senza che abbia alcun rilievo, ai fini della determinazione della categoria di appartenenza del veicolo, la eventuale installazione sullo stesso di un filtro antiparticolato omologato » (Cass., 22 agosto 2023, n. 25002 ed ancora Cass., 7 giugno 2023, n. 16009; Cass., 11 agosto 2023, n. 24598; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882).
2.3 Questa Corte, in particolare, esaminando il quadro normativo nazionale di riferimento ( art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e, a far data dal 3 dicembre 2016, art. 24 ter del TUA e decreto del Ministero dei trasporti 12 gennaio 2008, n. 39) ha evidenziato che tale normativa interna non è incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria 2003/96/CE, che, pur stabilendo un livello minimo di tassazione in un quadro complessivo che riconosce esplicitamente «flessibilità» (considerando 9), non esclude, tuttavia, la facoltà di prevedere esenzioni o riduzioni (considerando 8), e la facoltà per gli Stati membri di «introdurre o mantenere diversi tipi di tassazione sui prodotti energetici e sull’elettricità» (considerando 10),
lasciando a ciascun Stato membro «la scelta del regime fiscale da applicare in relazione all’attuazione del presente quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità» (considerando 11) (cfr. Cass., 22 agosto 2023, n. 25002, in motivazione).
2.4 La stessa giurisprudenza unionale ha precisato che la direttiva 2003/96/CEE, si propone di incoraggiare obiettivi di politica ambientale (così, Corte di giustizia, 7 marzo 2018, causa C-31/17) e, pertanto, non ha proceduto ad un’armonizzazione totale dell e aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si è limitata a fissare livelli minimi di tassazione armonizzati e, come si desume dagli artt. 5, 14, 15, 16, 17 e 19, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di introdurre aliq uote di imposta differenziate, esenzioni dall’imposizione o sgravi fiscali delle accise, lasciando un certo margine di discrezionalità agli Stati membri, purché nel rispetto del principio di parità di trattamento (cfr. Corte di giustizia, 30 gennaio 2020, in causa C-513/18) (cfr. Cass., 11 agosto 2023, n. 24598).
2.5 Anche di recente la Corte di Giustizia ha precisato che « Al riguardo, si deve notare che il paragrafo 1 di detto articolo 7 prevede che i carburanti sono soggetti a livelli minimi di tassazione. Infatti, come risulta dal considerando 3 e dall’articolo 4 di tale direttiva, quest’ultima mira non già ad armonizzare in modo esaustivo le aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si limita a fissare livelli minimi di tassazione. 41.L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/96 dispone quindi che la facoltà concessa agli Stati membri di prevedere livelli di tassazione diversi a seconda dell’uso, commerciale o non commerciale, del gasolio utilizzato come propellente è soggetta al rispetto dei livelli minimi di tassazione stabiliti da tale direttiva. Inoltre, la disposizione in parola impedisce agli Stati membri di fissare l’aliquota di tassazione del gasolio commerciale ad un livello inferiore all’aliquota nazionale in vigore al 1º gennaio 2003. Tali elementi indicano che l’entrata in vigore di detta direttiva non doveva comportare una
diminuzione del livello di tassazione del gasolio commerciale. 42.In tali circostanze, la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» non può essere oggetto di un’interpretazione estensiva » (Corte di Giustizia UE, 16 novembre 2023, in causa C-391/22).
2.6 Va confermata, dunque, la piena compatibilità unionale di una previsione che riconosca un credito agevolato per il pagamento delle accise sul gasolio per autotrazione a specifiche categorie di autotrasportatori, oggettivamente individuate tra gli autotrasportatori che svolgono attività di trasporto di merci o persone, in modo tale da non ledere il principio di parità di trattamento; che il credito d’imposta è riconosciuto limitatamente all’utilizzazione, per l’attività di trasporto, di veicoli con classificazione superiore a euro 2 e che le agevolazioni previste per i veicoli di una determinata categoria «euro» si riferiscono alla categoria attribuita al veicolo in sede di omologazione, rappresentativa della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando che, successivamente all’immatricolazione, siano stati installati sistemi di riduzione delle emissioni di particolato (cfr. Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882; Cass., 17 giugno 2023, n. 16009).
2.7 Ciò che rende non accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, che presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria e che non ricorre allorché l’interpretazione sia autoevidente, oppure, come nel caso di specie, il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale a meno che non involga un’interpretazione generale ed astratta (cfr. Cass., 1 settembre 2023, n. 25612; Cass., 16 giugno 2017, n. 15041).
2.8 Due ulteriori considerazioni meritano di essere svolte. La prima sulla interpretazione estensiva della norma agevolativa, avente natura eccezionale e per questo non estensibile oltre ai casi esplicitamente previsti, dovendosi richiamare la Corte di Giustizia che ha
specificamente affermato che « In tali circostanze, la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» non può essere oggetto di un’interpretazione estensiva » (Corte di Giustizia UE, 16 novembre 2023, in causa C-391/22), oltre che il consolidato principio giurisprudenziale, applicabile al caso in esame dove viene in rilievo l’applicazione di una agevolazione di imposta, secondo cui « non può essere esteso l’ambito operativo, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall’art. 14 preleggi, per cui l’agevolazione contestata non opera al di fuori delle ipotesi specificamente numerate » (Cass., 20 maggio 2005, n. 10646, in tema di Ici; Cass., 2 ottobre 2009, n. 21144, in tema di imposte ipotecarie e catastali; Cass., 18 gennaio 2017, n. 1113, in tema di agevolazioni in materia edilizia e mancata utilizzazione dell’area nel quinquennio; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882, in tema di regime agevolato in materia di accise sul gasolio per autotrazione). La seconda, in tema di direttive europee, avendo la Corte Costituzionale affermato che la direttiva è immediatamente applicabile quando è sufficientemente dettagliata nei propri contenuti e non necessita, dunque, di alcun provvedimento di attuazione da parte dello Stato membro (Corte Cost., sentenza 2 febbraio 1990, n. 64; Corte Cost., sentenza 18 aprile 1991, n. 168; v. anche Cass., 10 dicembre 2019, n. 32227 e Corte di Giustizia U.E., 25 maggio 1993, in causa 193/91), mentre la direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007 è stata recepita con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 28 aprile 2008.
2.9 Nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha fatto buon governo dei principi suddetti, avendo ritenuto legittimo il diniego dell’istanza di rimborso delle accise sul gasolio commerciale per autotrasporto trattandosi di veicoli immatricolati euro 2, dotati di filtri antiparticolato (FAP), in quanto tali esclusi dall’agevolazione ai sensi
dell’art. 1, comma 645, della l egge n. 208 del 2015; i giudici di appello, in particolare, hanno correttamente ritenuto che le disposizioni nazionali non si ponevano in contrasto con quelle europee e che l’art. 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/96/CE, non obbligava lo Stato italiano ad estendere il regime agevolativo indiscriminatamente a tutti i veicoli, ivi compresi quelli che, senza un supporto quale il FAP, avrebbero dovuto essere interdetti dalla circolazione proprio in virtù dei principi unionali fissati in materia di antinquinamento e che la disposizione comunitaria presupponeva una regolazione specifica interna tale da escludere sul punto una portata self executing della direttiva (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 25 febbraio 2025.