Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21521 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21521 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
Oggetto: Tributi
OPERAZIONI SOGGETTIVA MENTI INESISTENTI- C.D. COGNOME
ORDINANZA
Sul ricorso n. 19076 del ruolo generale dell’anno 201 8 proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, in persona del curatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME in forza di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ultimo difensore, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 5373/17/2017, depositata in data 18 dicembre 2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, in persona del curatore pro tempore , propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva rigettato l’appello principale proposto nei confronti d ell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , e quello incidentale dell’Ufficio, avverso la sentenza n. 371/24/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione, per il 2009, costi indebitamente detratti ai fini Iva in relazione a fatture afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE quale società risultata c.d. ‘filtro’ tra la cartiera RAGIONE_SOCIALE e la contribuente.
2. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) quanto alla contestazione relativa alla indebita detrazione Iva in relazione alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, afferenti operazioni soggettivamente inesistenti – premesso che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, incombeva sul l’Ufficio la prova, anche indiziaria, della fittizietà del fornitore, mentre era onere del contribuente dimostrare la propria buona fede, ossia di trovarsi ‘ nell’oggettiva situazio ne della non conoscenza delle pregresse operazioni di cessioni ‘ -nella specie, l’Ufficio aveva provato, con elementi
oggettivi e puntuali – che non avevano formato oggetto di contestazione da parte dell ‘ appellante – la fittizietà della cedente (RAGIONE_SOCIALE quale c.d. società ‘filtro’ interposta tra una precedente società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la contribuente mentre quest’ultima si era limitata ad eccepire il regolare pagamento e la consegna regolare della merce nei tempi richiesti, elementi irrilevanti sul piano della prova a contrario ; peraltro, la stessa società aveva dichiarato che la cedente aveva garantito ‘buoni prezzi , anche se non più bassi ‘ ; né la stessa aveva provato di avere effettuato alcuna ricerca commerciale e l’asserita verifica della partita Iva della cedente appariva irrilevante; 2) andava rigettato l’appello incidentale dell’Ufficio circa l’assunta inammissibilità del ricorso introduttivo proposto in data 6.6.2014 a fronte di una assunta notifica, a mezzo servizi o postale, dell’avviso di accertamento presso la sede legale della società contribuente in data 31.3.2014 ossia – essendo stato, in mancanza temporanea della destinataria, il plico depositato presso l’Ufficio postale – decorsi dieci giorni dalla data (21.3.2014) dell’invio del CAD stante l’ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata; al riguardo, ad avviso della CTR, il dies a quo per la decorrenza del termine ex art. 21 del d.lgs. n. 546/92 coincideva con la not ifica dell’avviso di accertamento in data 8.4.2014 presso il curatore del fallimento, con conseguente tempestività del ricorso introduttivo presentato in data 6.6.2014.
Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
4 . In data 7.5.2025, l’Avv.to NOME COGNOME ha depositato rinuncia al mandato difensivo per il Fallimento.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente, con riguardo alla rinuncia al mandato difensivo depositato, in data 7.05.2025, dall’Avv.to NOME COGNOME per il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, va osservato che ‘Per effetto del principio della cosiddetta ” perpetuatio ” dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso
d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata’ (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26429 del 08/11/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 7920 del 2023).
2 .Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, n. 4 del d.lgs. n. 546/92 e degli artt. 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. per avere la CTR confermato la legittimità dell’avviso, con una motivazione apparente, limitandosi apoditticamente ad affermare che le operazioni dovevano considerarsi soggettivamente inesistenti stante la emersa mancanza di una struttura aziendale in capo alla cedente-fatturante RAGIONE_SOCIALE laddove tale circostanza poteva essere indice della evasione delle imposte da parte della fornitrice non già della non effettività delle vendite alla contribuente; né tantomeno la CTR avrebbe esplicitato le ragioni di un asserito coinvolgimento della società contribuente nella frode.
2.1.Il motivo è infondato.
2.2.Come precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018; n. 22949 del 2018; Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021). Nella sentenza impugnata, la CTR -assolvendo al proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale”- ha confermato la legittimità della ripresa, ai fini Iva, in relazione alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE asseritamente afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti in quanto l’Ufficio aveva provato,
attraverso oggettivi elementi indiziari, che ‘ la fornitura non era stata resa dal fatturante ‘ e, in particolare, il carattere di c.d. società ‘filtro’ del fornitore RAGIONE_SOCIALE quale soggetto interposto tra una precedente società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (RAGIONE_SOCIALE e la contribuente ( ‘ il carattere soggettivamente inesistente delle operazioni discendeva dal fatto che le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non disponevano di struttura aziendale per lo svolgimento dell’attività; mancavano uffici, il magazzino e l’utenza telefo nica; la società cedente non aveva fornito alcuna documentazione contabile circa le asserite vendite e i presunti responsabili avevano fornito informazioni contraddittorie ‘) ; a fronte di tali elementi presuntivi -che non avevano formato oggetto di contestazione da parte della società contribuente quest’ultima aveva eccepito l’avvenuto pagamento della merce e la sua regolare consegna, circostanze ritenute irrilevanti sul piano della prova a contrario poiché ‘costituivano la base per le cessioni contestate’; peraltro, la stessa contribuente aveva dichiarato che la cedente aveva garantito ‘buoni prezzi , anche se non i più bassi ‘ ; né aveva dimostrato di avere effettuato alcuna ricerca commerciale mentre l’asserita verifica della partita Iva della cedente appariva irrilevante.
3. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19,21 e 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nonché degli artt. 2697 c.c. e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto legittima la ripresa Iva in relazione alle contestate fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE afferenti ad asserite operazioni soggettivamente inesistenti in quanto: 1) l’Ufficio aveva provato che ‘ la fornitura non era stata resa dal fatturante ‘ laddove, per giurisprudenza della Corte di giustizia (è richiamata la sentenza del 6.12.2011, causa C-285/2011) e di legittimità (sono richiamate Cass. n. 7900/2013; n. 25799/2014), l’indagine probatoria dell’Amministrazione non poteva esaurirsi nella sola prova della fittizietà del fornitore, dovendo includere ricerche circa la ‘colpevolezza’ del cessionario, pena l’instaurazione di un ‘sistema di responsabilità oggettiva’; in particolare, secondo la Corte di giustizia, l’Amministrazione doveva dimostrar e, in base ad elementi oggettivi, che il soggetto passivo sapesse o potesse conoscere che
l’operazione invocata si inscriveva in una evasione; 2) la società contribuente non aveva provato la sua ‘buona fede’, sebbene quest’ultima – adottando tutte le misure ragionevolmente esigibili per non prendere parte ad una frode fiscaleavesse dimostrato, tramite la produzione dei DDT, l’effettivo acquisto della merce da DEMA e non da un diverso fornitore, nonché il pagamento e la rivendita della stessa a terze società.
3.1.Il motivo è infondato.
3.2. Sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C277/14), questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del 30/10/2018; Cass, sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33598; Cass. Sez. 5, Ord. n. 15369 del 20/07/2020; n. 28562 del 2021); come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9851), la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o
avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.
3.3.Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
3 .4.Con riguardo al ‘tipo’ di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’I.V.A. il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 2, e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/14; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11) che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C 277/14, par. 50). L’onere
dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve dunque essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass. n. 9851 del 2018, cit .; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, n. 15369 del 2020). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., sez. 5, 2/12/2015, n. 24490). In via meramente esemplificativa, poiché la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, questa Corte ha precisato che possono costituire elementi di rilevanza sintomatica della conoscenza e/o conoscibilità della frode da parte del cessionario: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in
cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018).
3.5.Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34531; Cass., Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 15356; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5748; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25779). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Sez. 5, Ordinanza n. 28165 del 2022).
3.6.Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di ” avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto “, stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021).
3.7.Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce
ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato… partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle “). Nessun rilievo assume poi la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni , poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 19/12/2019, n.33915; Cass. sez. 5, n. 25192 del 2022). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente » (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015; Cass. sez. 5, n. 17153 del 2018).
3.8. Nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, in quanto – a fronte della ripresa Iva in relazione alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE afferenti ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti -pur avendo premesso che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ‘ incombeva sull’Amministrazione finanziaria fornire la prova che la fornitura non fosse stata resa dal fatturante e ciò poteva essere dimostrato anche mediante prove indiziarie mentre era onere del contribuente dimostrare la propria buona fede e che si trovava nell’oggettiva sit uazione della non conoscenza delle pregresse operazioni di cessioni ‘ ha ritenuto assolto l’onere probatorio a carico dell’Ufficio ,
in ossequio ai principi sopra richiamati, atteso che nella fattispecie: 1) quest’ultimo aveva dimostrato che ‘ la fornitura non era stata resa dal fatturante ‘ e, in particolare, il carattere di società ‘filtro’ della fornitrice RAGIONE_SOCIALE tra una precedente società RAGIONE_SOCIALE e la contribuente ( ‘ il carattere soggettivamente inesistente delle operazioni discendeva dal fatto che le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non disponevano di struttura aziendale per lo svolgimento dell’attività; mancavano uffici, il magazzino e l’utenza telefonica; la società cedente non aveva fornito alcuna documentazione contabile circa le asserite vendite e i presunti responsabili avevano fornito informazioni contraddittorie ‘) ; 2) tali elementi presuntivi non avevano costituito oggetto di contestazione da parte della contribuente; il che ha significato sostanzialmente l’accertamento da parte della CTR dell’assolvimento da parte dell’Amministrazione dell ‘onere di dimostrare, in base ad elementi oggettivi e specifici, la conoscenza e/o conoscibilità da parte della società RAGIONE_SOCIALE del meccanismo fraudatorio costituendo – per giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018) – elemento di rilevanza sintomatica della conoscenza e/o conoscibilità della frode da parte del cessionario la circostanza che ‘il contribuente rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera’ come risultato, nel caso di specie, avendo la contribuente ‘ acquistato ‘ da una società ‘filtro'( DEMA) a sua volta interposta tra una precedente ‘cartiera’ (MBR) e la medesima; quanto al piano della prova a contrario , la CTR si è, altresì, attenuta ai suddetti principi, nel ritenere l’asserita verifica della partita Iva della cedente, l’avvenuto pagamento della merce in questione e la regolare consegna della stessa, circostanze irrilevanti per comprovare la ‘ buona fede ‘ della contribuente (ossia di avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto); questa Corte ha, al riguardo, precisato che, sul piano della prova a contrario non può avere rilievo la regolarità della contabilità, come anche l’effettività dell’esecuzione delle
prestazioni e dei relativi pagamenti, posto che oggetto della prova dell’Ufficio (e della prova contraria del contribuente) è una frode commessa a monte della catena distributiva e non dal contribuente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851); né peraltro – come correttamente argomentato dalla CTR – assume rilievo sul piano della prova a contrario l’inesistenza di un dimostrato vantaggio per la sostanziale conformità dei prezzi di vendita alla media di mercato (‘ la medesima appellante ha dichiarato che il cedente garantiva buoni prezzi, anche se non i più bassi ‘) trattandosi di un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
4.In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.900,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 11 giugno 2025