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Frodi carosello: la buona fede non basta, serve diligenza

La Corte di Cassazione ha confermato un accertamento fiscale per indebita detrazione IVA a carico di una società, ritenuta coinvolta in una frode carosello. La Corte ha stabilito che, in contesti di operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente per l’acquirente dimostrare la propria buona fede attraverso la regolarità formale delle operazioni, come il pagamento e la consegna della merce. È invece necessario provare di aver esercitato la massima diligenza per verificare l’affidabilità del fornitore e non essere coinvolto nello schema fraudolento.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frodi carosello e onere della prova: non basta la buona fede

Le frodi carosello rappresentano uno dei fenomeni più insidiosi nel panorama della fiscalità internazionale, capaci di generare ingenti danni all’erario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna ad affrontare questo tema, chiarendo in modo netto i confini della responsabilità dell’acquirente finale e l’onere probatorio a suo carico. La sentenza sottolinea un principio fondamentale: per sottrarsi alle conseguenze di operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente affermare la propria buona fede, ma occorre dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile.

I Fatti del Caso: una Presunta Frode Carosello

Una società si vedeva notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA su fatture relative ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, la società fornitrice era una mera “società filtro”, interposta tra una “società cartiera” (priva di qualsiasi struttura operativa) e la società acquirente, destinataria finale della merce. L’obiettivo dello schema era quello di permettere a quest’ultima di beneficiare di una detrazione IVA altrimenti non spettante.

La società contribuente si difendeva sostenendo di aver agito in totale buona fede, avendo regolarmente pagato la merce, ricevuto la consegna e verificato la partita IVA del fornitore. Aggiungeva, inoltre, che i prezzi praticati dal fornitore erano vantaggiosi ma non anomali. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano il ricorso, ritenendo provato il meccanismo fraudolento e insufficienti gli elementi portati dalla società a dimostrazione della sua estraneità.

L’Onere della Prova nelle Frodi Carosello

La questione centrale giunta all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda la ripartizione dell’onere della prova. In materia di frodi carosello, la giurisprudenza, sia nazionale che europea, ha delineato un quadro preciso.

Spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, due elementi costitutivi della pretesa fiscale:
1. La natura fittizia del fornitore (ovvero che il soggetto che ha emesso la fattura non è colui che ha realmente effettuato la cessione).
2. La consapevolezza o la conoscibilità della frode da parte dell’acquirente. Quest’ultimo, in base alla sua qualità professionale, avrebbe dovuto accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un contesto evasivo.

Una volta che l’Agenzia delle Entrate ha fornito elementi oggettivi e specifici a sostegno di questi due punti, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per non essere coinvolto nella frode, adottando la massima diligenza esigibile da un operatore accorto.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso della società, ha confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito. I Supremi Giudici hanno ribadito che l’Amministrazione Finanziaria aveva assolto al proprio onere probatorio. Erano stati infatti forniti elementi indiziari gravi, precisi e concordanti sulla natura di “società filtro” del fornitore, come l’assenza di una struttura aziendale (uffici, magazzino, utenze telefoniche) e le informazioni contraddittorie fornite dai suoi rappresentanti.

A fronte di tali elementi, la Corte ha ritenuto irrilevanti le prove fornite dalla società acquirente per dimostrare la propria buona fede. Circostanze come l’avvenuto pagamento della merce, la regolare consegna, la verifica della partita IVA e la congruità dei prezzi non sono state considerate decisive. Tali elementi, infatti, sono pienamente compatibili con lo schema delle frodi carosello, che si basa proprio su un’apparenza di legalità per mascherare l’evasione.

La Corte ha specificato che la buona fede non può essere presunta, ma deve essere provata dimostrando di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili per accertare che il fornitore non fosse coinvolto in una frode. La semplice affermazione di non sapere non è sufficiente, specialmente quando esistono indizi che avrebbero dovuto mettere in allarme un imprenditore diligente.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento rigoroso in materia di frodi carosello. L’insegnamento per le imprese è chiaro: la diligenza nella scelta dei partner commerciali non è un’opzione, ma un obbligo. Non basta fermarsi alla superficie di un’operazione apparentemente regolare. Di fronte a indizi di anomalia (prezzi eccessivamente bassi, fornitori di recente costituzione o privi di una solida struttura aziendale), l’imprenditore ha il dovere di approfondire le verifiche.

La prova della buona fede, per essere efficace, deve tradursi nella dimostrazione di un comportamento proattivo e diligente, volto a prevenire il coinvolgimento in schemi fraudolenti. Affidarsi esclusivamente alla regolarità formale dei documenti contabili e dei pagamenti espone l’impresa al rischio di vedersi disconosciuto il diritto alla detrazione IVA e di subire pesanti sanzioni.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode e la consapevolezza dell’acquirente?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche con elementi indiziari, non solo la fittizietà del fornitore ma anche che l’acquirente (destinatario della fattura) era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione fiscale.

La regolarità dei pagamenti e la ricezione della merce sono sufficienti a dimostrare la buona fede dell’acquirente in una frode carosello?
No. Secondo la Corte, queste circostanze sono considerate irrilevanti per dimostrare la buona fede, in quanto sono elementi pienamente compatibili e spesso necessari per la riuscita di una frode fiscale, che si basa proprio su un’apparenza di normalità dell’operazione commerciale.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolta in una frode?
L’impresa deve dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili per non prendere parte a una frode fiscale. Questo implica un comportamento attivo nel verificare l’effettiva esistenza e operatività del fornitore, specialmente in presenza di indizi che possano far sorgere il sospetto di irregolarità. La semplice verifica della partita IVA non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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