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Frode IVA: quando la consapevolezza esclude la detrazione

Una società si è vista negare la detrazione dell’IVA a causa di una frode IVA legata a fatture per sponsorizzazioni parzialmente inesistenti. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di merito, chiarendo che per negare la detrazione, l’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche con presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. La sentenza sottolinea l’importanza della diligenza professionale per le imprese al fine di evitare il coinvolgimento in schemi fraudolenti.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode IVA e Sponsorizzazioni: L’Onere della Prova e la Diligenza dell’Impresa

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’analisi cruciale sulla frode IVA nel contesto di operazioni di sponsorizzazione fittizie e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. Una recente decisione chiarisce che per negare la detrazione dell’IVA, non basta dimostrare l’esistenza di uno schema fraudolento, ma è necessario provare che l’impresa coinvolta fosse consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, di partecipare a tale schema. Approfondiamo i dettagli del caso e i principi affermati dalla Corte.

I Fatti: Un Articolato Schema di Sponsorizzazioni Fittizie

Il caso nasce da una verifica fiscale a carico di una società di tecnopolimeri, alla quale veniva contestata l’indebita detrazione di costi e IVA per operazioni ritenute soggettivamente e parzialmente oggettivamente inesistenti. L’indagine della Guardia di Finanza aveva smascherato un complesso sistema di frode.

Due soggetti italiani avevano creato società fittizie nel Regno Unito e in Irlanda. Queste società venivano utilizzate per emettere fatture per servizi di sponsorizzazione, principalmente nel campionato mondiale Superbike, a favore di clienti italiani. I corrispettivi fatturati erano notevolmente gonfiati rispetto al valore reale degli spazi pubblicitari acquistati dai team motociclistici. Le società sponsor italiane pagavano le fatture esorbitanti e, successivamente, ricevevano indietro una parte cospicua degli importi versati sotto forma di ‘ristorni’ in contanti. Questo meccanismo permetteva alle aziende di creare costi fittizi, abbattendo l’imponibile e detraendo illecitamente l’IVA.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Onere della Prova nella Frode IVA

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione alla società, ritenendo che l’Agenzia delle Entrate non avesse provato la sua partecipazione alla frode. La Corte di Cassazione, invece, ha ribaltato questa decisione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia.

La Suprema Corte ha censurato la sentenza di secondo grado per aver analizzato il caso in modo superficiale, omettendo di valutare elementi indiziari cruciali forniti dall’Amministrazione Finanziaria. Tra questi, spiccava un documento informatico trovato sul computer di uno degli artefici della frode, che indicava chiaramente l’importo ‘reale’ delle sponsorizzazioni, pari a circa il 16% di quello fatturato alla società. Altri elementi ignorati erano la totale assenza di struttura operativa delle società estere emittenti e il fatto che i ‘main sponsor’ delle stesse scuderie pagassero corrispettivi molto inferiori a parità di visibilità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sul principio della ripartizione dell’onere della prova in materia di frode IVA. La Corte chiarisce che spetta all’Amministrazione Finanziaria provare due elementi:
1. La fittizietà dell’operazione (in questo caso, l’interposizione di società estere fittizie e la parziale inesistenza oggettiva per sovrafatturazione).
2. La consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

La Corte specifica che la prova della ‘consapevolezza’ non richiede la dimostrazione di un accordo criminoso, ma è sufficiente provare, anche tramite presunzioni, che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ della frode, usando l’ordinaria diligenza professionale. Una volta che l’Ufficio ha fornito un quadro indiziario solido, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nello schema fraudolento. La semplice regolarità contabile o dei pagamenti non è sufficiente a fornire tale prova contraria. Nel caso specifico, la retrocessione di una parte significativa del corrispettivo a un soggetto diverso dall’emittente della fattura era un forte indizio che la società avrebbe dovuto cogliere.

Conclusioni

La decisione rappresenta un importante monito per tutte le imprese. La partecipazione a schemi di frode IVA, anche inconsapevole ma dovuta a negligenza, può portare al disconoscimento del diritto alla detrazione. Per le aziende, emerge la necessità di adottare un approccio di massima diligenza nelle transazioni commerciali, specialmente con partner nuovi o esteri. È fondamentale verificare la reale struttura operativa dei fornitori e la congruità dei prezzi richiesti rispetto ai valori di mercato. Ignorare ‘campanelli d’allarme’ come prezzi anomali o complesse strutture societarie può essere interpretato come un indicatore di colpevole negligenza, con conseguenze fiscali molto pesanti.

Cosa deve provare l’Amministrazione finanziaria per negare la detrazione dell’IVA in un caso di frode?
L’Amministrazione deve provare l’oggettiva fittizietà del fornitore o dell’operazione e, anche in via presuntiva, che il contribuente fosse a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

Cosa può fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede e non essere coinvolta in una frode IVA?
L’impresa deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Questo implica verificare la reale esistenza e operatività del fornitore e la congruità delle condizioni economiche della transazione, non potendo limitarsi a invocare la regolarità formale dei documenti contabili.

La regolarità della contabilità e dei pagamenti è sufficiente a escludere il coinvolgimento in una frode?
No. Secondo la Corte, la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è una prova sufficiente per dimostrare l’estraneità alla frode, in quanto tali elementi sono spesso presenti proprio nelle operazioni fraudolente e si basano su documenti facilmente falsificabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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